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di Ettore Falconieri                    


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Ginevra, 30 dicembre 2005 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21- 22- 23 - 24 - 25
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  BUON ANNO!  

   Lettera aperta al presidente dell'Abi
  Dott. Maurizio Sella
 

   Egregio Presidente,
circa tre anni fa, mi presi la libertà di scriverle una lettera nella quale descrivevo comportamenti scorretti ed inefficienze di alcune banche nei confronti di un’azienda nella quale ero coinvolto ed esprimevo, in termini cortesi e corretti, alcune osservazioni non lusinghiere sul sistema bancario italiano. Che conosco bene, cosi’ come conosco sistemi bancari di altri paesi. E concludevo la lettera dicendo : « Nell’Italia che progredisce e migliora in tanti aspetti e vicende della società, anche in campo economico, sta maturando la consapevolezza che tanti comportamenti e modi di essere vanno cambiati. E per quanto riguarda le banche anche l’Abi potrà fare, e sono certo farà, la sua parte.»
   Ebbi una approfondita risposta di adesione dal presidente della Confindustria cui mandai copia, ma non ebbi il piacere di avere una risposta da lei od un semplice riscontro dal suo ufficio. Nulla di grave, naturalmente, ma il guaio è che l’Abi da tempo non risponde neanche al - grido di dolore – che sale da privati ed operatori economici che non ritengono certo un passo avanti, per fare un esempio, le montagne di carta, inneggianti alla trasparenza, con le quali le banche li sommergono, trasparenza che, spesso, è appunto solo sulla carta.
   Il tessuto economico italiano è retto da iniziative imprenditoriali di piccole dimensioni che sono in prevalenza strutturalmente sottocapitalizzate e, di conseguenza, gli affidamenti bancari sono determinanti per la loro sopravvivenza. Cio’ fa si che il loro potere contrattuale con le banche sia mediocre e debbano sottostare a tassi, spese, oneri che non hanno pari in altri paesi. Situazione non dissimile da quella di molti correntisti e risparmiatori per un qual complesso di inferiorità che nasce dall’ignoranza di usi bancari. Questo stato di cose consente la sopravvivenza e l’equilibrio di bilancio a molte banche italiane con strutture burocratiche e costi onerosi che non hanno, pertanto, nessuno stimolo a ridurre. Tutto questo è una pesante palla al piede dell’economia italiana e non è piu’ ragionevole fare finta di niente.
   La motivazione a rovesciare questa situazione, essendo vantaggiosa per le banche, non puo’ nascere da considerazioni economiche. Non puo’ che nascere da considerazioni di carattere etico per rispetto a tutta la comunità. Motivazione che non puo’ essere semplicemente una evoluzione. Perché, data la situazione e l’indifferenza di molti al problema, è di una rivoluzione etica che ha bisogno il sistema bancario italiano. Rivoluzione etica, non solo per portare i costi dei rapporti bancari italiani a livelli di altri paesi, ma anche per fare si’ che tanti comportamenti che altrove vengono considerati inaccettabili non siano piu’ considerati peccatucci veniali che non è il caso di drammatizzare. E le rivoluzioni etiche non si fanno solo con i regolamenti e le circolari. Poiché attengono alle responsabilità di persone ed enti si fanno soprattutto con le parole, con le esortazioni, con i richiami alla coscienza, all’onestà ed alla dignità di ciascuno. Ed anche all’orgoglio di cittadini il cui paese, non è un mistero per nessuno, è, eticamente parlando, di una spanna al di sotto di quella di piu’ mature democrazie.
Ma su questo argomento il silenzio dell’Abi è assordante. Come lo è stato quando banche sono rientrate da affidamenti di dubbio esito tramite obbligazioni proposte ad ignari risparmiatori. Cosi’ come lo è in queste settimane su vicende di pura ruberia sulle quali, se mi consente di ricitarmi, attirai timidamente la sua attenzione con quella lettera alludendo alle malefatte di una - banca popolare di una ricca provincia lombarda -.
   Certo, fa parte del Dna storico di molti enti e potentati che contano nel nostro paese la tendenza a minimizzare, a lasciar correre, a non drammatizzare, a ritenere che tutto passerà e si dimenticherà, affinchè tutto resti come prima e il volgo non sappia. Anche per il timore di turbare equilibri, compromessi, interessi, consolidati o precari che siano, o di creare reazioni a catena che coinvolgano istituti e personalità. Ma ora sono in gioco valori ben piu’ importanti della immutabile routine di una associazione o della prudenza di responsabili nel non agitare troppo le acque anche pensando alla propria posizione. Ora non è esagerato dire che è in gioco l’immagine di tutto un paese e allora bisogna alzare la voce come si fa nelle rivoluzioni.
   Bisogna dare uno scossone che lasci il segno per dare a privati, operatori economici ed a tutto il paese la certezza che si vuol cambiare. Non è piu’ il tempo di circolari ad associati, di scambi confidenziali tra chi, bancariamente parlando, conta, di riunioni riservate, di sommesse tutele. Ora è il tempo della filippica, dell’arringa, del pane al pane. Che non intaccherebbero la solidità ( con qualche nota eccezione, nel complesso, trascurabile) del sistema bancario italiano, la fiducia dei cittadini, la serenita e l’impegno degli addetti ai lavori bancari che, nella stragrande maggioranza, operano con impegno e dedizione, ma che dovranno convincersi che certi peccatucci veniali sono ora mortali e non sono piu’ ammissibili. Perché, signor presidente, gli Italiani sono un popolo intelligente e sono stufi di essere considerati come cittadini che non possono essere turbati da verità anche sgradevoli, che non sanno, che non possono capire. Sanno, capiscono benissimo e sono, caso mai, turbati da chi li prende per dei bamba.
   Tanto piu’ che, in questo momento storico tanto critico ( piu’ di quanto troppi pensino) per la collacazione e l’immagine dell’Italia nel mondo, gli interessi di una categoria, di una associazione, di una corporazione, di un notabile, per quanto legittimi, comprensibili e condivisibili, non devono prevalere sull’interesse di tutti i cittadini e del paese, contrariamente a quanto pensava un recente dimissionario che ha anteposto interessi particolari a quelli dell’Italia facendo un danno che ci vorrà tempo per far dimenticare.
   Dare uno scossone etico significa anche che chi ha responsabilità associative e di immagine deve sentirsi impegnato a mediare in continuazione tra egoismi ed altruismi nel comune interesse e per un ideale che tutti unisca. Anche questo è democrazia. E questo vale non solo per l’Abi, ma per ogni altra istituzione rappresentativa, sindacati inclusi. I rappresentanti di enti, associazioni, corporazioni non sono conquistatori che si dividono la torta od ambasciatori presso una potenza rivale. Sono, devono essere portatori di interessi legittimi, quando onesti e condivisibili, da discutere e definire nel comune interesse del paese.
   Le vicende di questi mesi le danno, signor presidente, la motivazione e la scusa per farsi sentire. Nell’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini, dopo la tempesta ( speriamo passata) e la quiete pastorale ( attuale in cui molti si interrogano ), squilli di tromba annunciano il famoso crescendo che dà carica. La faccia sua. Correrà il piacevole rischio di passare alla storia.
   Con rispettosa cordialità.

Ettore Falconieri

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  Ettore Falconieri,
genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli. Ha pubblicato «Il RITORNO DEI LUPI» (Lombardi), una novella filosofica e «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» (Archinto).
   «I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro»
(SeBook
ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» focalizzandole sulle religioni.

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