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di Ettore Falconieri                    


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Ginevra, 15 Giugno 2006 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21- 22- 23 - 24 - 25 - 26 -  27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47
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    Quell'antistorica opposizione alla Tav...

   L
e opposizioni alla Tav fatte da aborigeni della Val di Susa rappresentano una unicità storica. È la prima volta, dopo l’avvento di un minimo di convivenza organizzata, che le popolazioni dei passi alpini e zone viciniori si oppongono al potenziamento di strutture che ne facilitino o ne migliorino le modalità di transito. Transito che ha sempre rappresentato una risorsa economica per quelle popolazioni alpine, senza la cui collaborazione, non avrebbe potuto esistere o sarebbe stato, comunque, più arduo.
     È sconosciuta ai più la microstoria dei passi alpini che pur è così interessante e avventurosa.
     I Romani, una volta sottomessele, lasciavano una certa libertà alle popolazioni che vivevano attorno ai passi, ma come contropartita esse dovevano impegnarsi a mantenerli aperti ed a mettere a diposizione uomini ed animali per aiutare chi passava. Negli anni a cavallo della nascita di Cristo, potente fu Cottius (che diede nome alla alpi Cozie), re della val di Susa e zone attigue, i cui sudditi controllavano il Monginevro ed il Moncenisio. Moncenisio sul quale si installò presto anche la chiesa con i Benedettini che fondarono nel 726 la famosa abbazia di Novalesa.
     Mentre fu San Bernardo d’Aosta, attorno al 1050, che fondò l’altrettanto famoso ospizio del Gran San Bernardo che prima di lui era chiamato mons Jovis dai Romani e mont Joux successivamente. Storie e leggende si intrecciano sulle vicende dei frati dell’ospizio (e dei loro cani) per dare conforto materiale e spirituale a chi passava. Ma talvolta, anche se la storia ufficiale non lo dice, si sono anche comportati da feroci esattori imponendo gabelle non dovute a viaggiatori solitari ed indifesi. Fece storia la traversata di Napoleone prima della vittoria di Marengo, nell’aprile del 1800 quando c’era ancora molta neve. La Grande Armèe era certamente grande e potente, ma senza l’aiuto dei locali non sarebbe mai passata. Tra l’altro, i cannoni furono trascinati sulla neve dentro tronchi d’albero scavati per la lunghezza. Ma Napoleone non pagò mai il conto ed il comune di Orsières ai piedi del valico si ritiene tuttora creditore dello stato francese
    Oggi, i famosi cani sono a valle, gestiti come curiosità cinofila ed all’ospizio sono rimasti tre frati svizzeri che, con l’aiuto di colf extracomunitarie, si dedicano anche ad ospitare e rifocillare turisti e camminatori. D’inverno, con pelli di foca o racchette, si sale in circa due ore.
    Storicamente più recente è l’utilizzo del Sempione, meno alto, ma con due problematiche gole subito dopo Briga ed a Gondo sul versante italiano. Nel 1270 emissari dei mercanti lombardi offrono al Siniscalco del conte vescovo di Sion due denari (della valuta di Saint Maurice nel Vallese) per balla di merce transitata dal Sempione in cambio della manutenzione del sentiero. Il Sempione era per i lombardi il passaggio più diretto e meno costoso per i mercati francesi ed inglesi. A seguito di quell’accordo, dal valico transitarono ogni anno migliaia di muli con due balle di merce in groppa, una per fianco. Nei secoli successivi, cambiate le prospettive economiche e l’assetto politico europeo, il Sempione perse traffico, finchè , nel seicento, il ricco mercante vallesano Kaspar Jodok Von Stockalper non lo rilanciò risistemando il sentiero e costruendo torri deposito lungo la via.
    Il suo percorso, la Stockalperweg, è tuttora utilizzato per fini turistici. In circa dodici ore a piedi si va da una parte all’altra. Ed al valico si puo’ pernottare all’ospizio che c’è anche lì .
    Stockalper morì ricchissimo, si stimò che il suo patrimonio valeva tante vacche che in fila indiana avrebbero raggiunto la lunghezza di 270 chilometri.
    Agli inizi dell’Ottocento al culmine della sua potenza, Napoleone volle una strada atta al trasporto di cannoni, così i genieri della sua armata costruirono la strada che venne usata sino a pochi anni fa.
Il Gottardo nasce, secondo la leggenda, da un patto che un fabbro di Goeschenen fece con il diavolo che lo aiutò a stendere catene per una passerella sulla terribile gola del torrente Reuss, attorno al tredicesimo secolo. Il “ponte del diavolo”, divenne così famoso anche perché , sino ad allora, dal Gottardo potevano transitare solo pedoni e fu grazie a quel ponte che inizio’ un traffico di merci che sarebbe durato secoli e che avrebbe contribuito a potenziare le fiere germaniche ed olandesi a scapito di quelle francesi.
    Il Brennero e gli altri passi più a est vennero usati dai Romani quando conquistarono Pannonia ed il nordest dell’Europa, dalla maggior parte dei barbari invasori ed acquistarono una crescente importanza con la crescita dell’Impero germanico e degli Asburgo, ma, essendo meno alti e meno difficili da transitare, la loro storia è meno “vivace”.
    Ora che ci sono gallerie ferroviarie e stradali sotto valichi che d’inverno sono chiusi pare arduo immaginare che, in passato, a piedi ed a cavallo, si passasse durante tutto l’anno. Papi, imperatori, mercanti e poveracci non venivano fermati dall’inverno. I duchi d’Aosta, che dominavano al di qua ed al di là delle Alpi, facevano su e giù in continuazione. Nel 1077 Enrico IV passò il Natale a Besancon in Borgogna, poi con moglie, figlio e seguito si mise in viaggio verso l’Italia, passando da Ginevra. Si fermò qualche giorno a Pavia per incontare i vescovi scomunicati a lui favorevoli ed 28 gennaio arrivò a Canossa per il famoso incontro con Gregorio VII. Che a sua volta si stava apprestando ad andare in Germania in pieno inverno.
    I signori inglesi e francesi che nel settecento, con le loro carrozze, scendevano in Italia per il Grand Tour culturale raccontano nei loro resoconti di viaggio come al Moncenisio le carrozze venissero smontate e caricate, con relativi passeggeri, su slittoni. Che erano trainati da animali per salire e frenati e pilotati, a forza di gambe, da montanari seduti sul davanti, nella discesa. Che gambe!
    Pur con gli alti e bassi della storia, del clima (tra il cinquecento e metà dell’Ottocento ci fu una piccola glaciazione) e delle vicende economiche, il formicolio di uomini ed animali che attraversavano le Alpi è stata una costante per secoli. E ad organizzarlo, oltre a mercanti e banchieri prevalentemente italiani, ci furono anche grandi impreditori del trasporto che gestivano muli, cavalli, manovalanza relativa oltre che luoghi di tappa e cambio, in vari paesi d’Europa. Attorno al 500 i genovesi Rossi dell’Isola furono i piu’ importanti. Ma anch’essi non potevano fare a meno dei montanari.
    I quali erano naturalmente, quando e se possibile, agricoltori, allevatori e boscaioli. Alcuni, saldamente insediati fuori dai luoghi di transito, in alta montagna. avevano una vita propria isolata dal mondo, una loro cultura ed architettura, come i leggendari Walser. Che dall’alto Vallese tracimarono per monti verso sud ( Alagna e Gressoney) e verso i Grigioni ad est.
    Passare da una parte e all’altra dei monti anche senza vie tracciate non era inusuale. Alla Fenè tre Durand, valico tra la val de Bagne in Svizzera e la bassa val Pelline sopra Aosta, ci facevano addirittura una fiera estiva. Altezza 2797 metri. Per quel valico, relativamente facile e fuori mano, erano scappati in Svizzera personaggi famosi. Calvino che gli Aostani, non convinti dal suo credo, volevano mandare al rogo e negli anni trenta il futuro presidente della repubblica Luigi Einaudi non amato dalle gerarchie fasciste.
    Ma da una parte e dall’altra dei monti si facevano anche razzie reciproche. Per un certo periodo vi fu aspra rivalità tra i montanari dell’alta val Pelline e quella di Arolla in Svizzera. Si facevano reciproche razzie di animali, anche d’ inverno, scavalcando il col Collon di 3081 metri ed attraversando il ghiacciaio di Arolla poco sotto. Che gambe, che tempra, che carattere.
    A confronto dei montanari delle Alpi di quei tempi i tanto decantati sherpa nepalesi di oggi fanno la figura dei dilettanti.

Ettore Falconieri
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  Ettore Falconieri,
genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli. Ha pubblicato «Il RITORNO DEI LUPI» (Lombardi), una novella filosofica e «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» (Archinto).
   «I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro»
(SeBook
ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» focalizzandole sulle religioni.

 

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