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A 150 Anni dalla Nascita, Giovanni Pascoli visto da molto vicino...>> Chierici, Chierichetti e Tabù >
di
Ettore Falconieri
E’ il tema di moda. A scrivere, parlare ed anche strillare di Stato e Chiesa, laici e religiosi, Cristianesimo ed Islam, credenti e non credenti ed argomenti simili, si sono messi in molti. Dal capo dello stato al cittadino qualunque, dal papa al parroco, passando per primedonne del giornalismo, politici piu’ o meno autorevoli, politologi, battilastre della pubblica opinione, calciatori, attricette. E qualche sciocchino. E il clamore solleva un polverone che nasconde alcune verità elementari, da molti tralasciate per mala fede od ignoranza. Per citarne alcune. Primo. I valori del cristianesimo sono valori laici perché si sono formati in secoli e secoli di storia, in tutto il suo tragico e costruttivo divenire, con l’apporto anche contrastante di moltitudini e singoli, laici e religiosi. E con il contributo determinante di pensatori ed uomini di stato, anche non cristiani e non credenti. I valori del cristianesimo sono il frutto di una coralità di individui, popoli ed entità religiose, non sono il parto esclusivo ed ancor meno il monopolio di questa o quella chiesa. Anzi, una chiesa, quella di Roma si è duramente battuta, sino a meno di un secolo fa, anche con encicliche, contro la democrazia che dei valori del cristianesimo è l’evoluzione naturale. Né piu’, né meno, come fanno oggi ajatollah di varia estrazione. Secondo. In Europa, cattolici e protestanti di varia ispirazione, si sono scannati a lungo tra di loro con una esuberanza a confronto della quale le carneficine religiose contemporanee, in medio oriente e altrove, paiono un gioco da ragazzi. Prendendosi ogni tanto una vacanza durante la quale perseguitavano od uccidevano ebrei. Nel 1648 il trattato di Westfalia, che pose fine alle guerre di religione e fu il primo passo verso una maggiore tolleranza , sanciva ancora il principio del «cuius regio, eius religio», il suddito, cioè, doveva professare la religione del sovrano, salvo il diritto di andare in esilio. Ma se non tornava, convertendosi, entro tre anni, gli venivano confiscati tutti i beni. Anche per queste tragedie della nostra storia, quando la democrazia ha iniziato a fare i primi passi non poteva non affermare il principio che, per la serenità della convivenza e del rispetto reciproco, tutte le religioni dovevano essere rispettate, ma dovevano riguardare la sfera privata dell’individuo. Perché, date le tensioni, anche emotive, che le fedi religiose comportano, ogni travasamento di esse nella sfera pubblica avrebbe comportato reazioni, desideri di rivalsa, disagi, sentimenti di inferiorità o superiorità. Esattamente quello che succede ora di fronte ad una maggiore presenza islamica, verso la quale si reagisce spesso in termini religiosi e non civici. E’ banalmente evidente che se si impone la prevalenza della religione cattolica, per esempio con simboli cattolici in luoghi pubblici, chi professa altra religione è tentato di esibire i suoi. Come succede per il velo delle donne islamiche che, spesso, viene portato solo per affermare la propria diversità. Ed è altrettanto banalmente evidente che proclamare la superiorità e la verità divina della propria fede sottintende uno svilimento di quella altrui, causando una reazione uguale e contraria. Questi atteggiamenti sono stati, nei secoli, le premesse di ogni guerra religiosa. Terzo. La nostra molto perfettibile maturità democratica fa si’ che ancora troppi si sentano offesi e magari umiliati se si domanda loro di mantenere nella sfera privata la propria fede. Non si rendono conto che il farlo è una limitazione che ogni cittadino di una democrazia deve autoimporsi, cosi’ come si autoimpone tanti altri comportamenti per rispetto degli altri e nello stesso tempo per essere rispettato, nella tolleranza reciproca, per garantire a ciascuno la massima libertà possibile fatta salva quella degli altri. In una democrazia contemporanea la cittadinanza è un fatto giuridico che prescinde da fedi, caratteristiche personali, provenienza etnica. Una fede intimamente vissuta si sublima nel colloquio con dio secondo i canoni della propria religione, non nell’esibizione e nell’imposizione ad altri.
Ettore Falconieri
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