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Chierici, Chierichetti e Tabù
di Ettore Falconieri                    

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Ginevra, 1 Dicembre 2007 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 -  27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67 - 68 - 69 - 70 - 71 - 72 - 73 - 74 - 75 - 76 - 77 - 78 - 79 - 80 - 81 - 82



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  Soldi e politica

  L’argomento costi della politica è tornato di moda. Pagine e pagine di giornali se ne occupano dando un ulteriore contributo a quel gallinaio politico mediatico che ha fatto del giornalismo italiano una sagra di tabloid più o meno attendibili e della politica italiana una cosa poco seria e frivolamente inconsistente.
  Dichiarazioni, interviste, annunci, proclami, piagnistei, affermazioni di principio, promesse di cambiamenti sfoceranno nel nulla o partoriranno un miserabile topolino che sarà presto affogato nel consueto mare di indifferenza alla volontà degli elettori.
  I quali hanno già deciso con un referendum che non vogliono il finanziamento pubblico dei partiti. Ma le oligarchie al potere hanno fatto dei risultati di quel referendum la stessa cosa che hanno fatto con altri referendum: carta straccia.
  Dando l’ennesima conferma che l’Italia è diventata una democrazia a mezzo servizio. Cosa che danneggia anche la nostra immagine nelle altre democrazie dove non è mai avvenuto e non potrà mai avvenire che la volontà dei cittadini sia disattesa in modo così plateale.
  Un politicante, non di seconda serie, ha anche avuto la faccia tosta di dichiarare che i tempi sono cambiati e che, quindi, la volontà espressa allora dai cittadini contro il finanziamento pubblico dei partiti non è più di attualità.
  Ha una concezione così mediocre della democrazia, il poverello, che non gli è nemmeno passato per l’anticamera del cervello che, se i tempi sono cambiati, bisognerebbe richiedere cosa pensa sull’argomento, se è sempre della stessa opinione, al popolo sovrano.
  Il finanziamento di partiti e candidati è un argomento delicato che ha trovato in vari paesi regolamentazioni differenti, che cercano di salvaguardare, tutte, il principio che, nei limiti delle umane debolezze, i soldi devono influenzare il meno possibile la politica e la politica deve influenzare il meno possibile i soldi.
  Principio disatteso su tutta la linea in Italia dove i partiti sono ormai corporazioni di affari e politica mescolate assieme, finanziate dallo stato con i soldi dei contribuenti che, dopo l’ultima folle legge elettorale, non hanno più neanche il diritto di candidarsi. Ed il finanziamento dello stato è configurato in modo tale che qualsiasi neopartitino che raggruzzoli un pugno di voti viene generosamente foraggiato. Con la conseguenza che il partitino con i soldarelli elargiti dallo stato, con qualche poltrona e con il potere di ricatto dei suoi pochi voti si aggiunge ai centri di potere partitici a pieno titolo, anche se non ha né idee, nè programmi. Ed il suo leader diventa l’ennesimo imprenditore della politica, sistemato, signorilmente, a vita, da emolumenti, rimborsi e pensioni che l’oligarchia si è attribuita e continua ad attribuirsi generosamente. Non per nulla abbiamo un numero ridicolmente spropositato di partiti, numero che continua a crescere.
  Creare un partitino è imprenditorialmente più lucroso e meno faticoso che creare una piccola azienda, con la non piccola differenza, inoltre, che il rischio è zero.
  Un aspetto del finanziamento della politica è la raccolta di fondi che i candidati possono promuovere presso elettori ed enti simpatizzanti secondo le regole vigenti. Raccolta di fondi, debitamente regolamentata, che in alcuni paesi rappresenta la parte più consistente dei soldi spesi dalla politica. Ma questo aspetto del finanziamento della politica piace poco ai politicanti nostrani e si capisce perché. Non solo perché ricevere rimborsi garantiti a piè di lista non costa fatica, ma anche perché i soldi chiesti all’elettore vanno sudati. Bisogna spiegare il perché li si chiede, illustrare programmi, curriculum di candidati, convincerli della bontà delle idee proposte e soprattutto essergli il più possibile vicino, incontrarlo, capire i suoi problemi e le sue aspirazioni durante la campagna elettorale.
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"I Chierici siamo Noi" di Ettore Falconieri
  Con qualche rara eccezione, questo non succede in Italia dove le campagne elettorali si svolgono per massimi sistemi e l’elettorato è visto da partiti e candidati come massa e non come aggregato di singoli. Di conseguenza l’eletto non sente nessun vincolo con gli elettori del suo collegio, la frase che si sente spesso in altri parlamenti “i miei elettori vogliono…” non esiste nel linguaggio politico nostrano. L’eletto che deve tutto al partito è ad esso che fa capo, non a chi gli ha dato il voto. Per non citare chi è stato paracadutato dal suo partito in un collegio elettorale “sicuro” , altra vergogna dei nostri. In quel collegio forse non ha mai messo piede o ve l’ha messo per pura forma una o due volte, non ne conosce gli elettori, i loro problemi, le loro aspirazioni e, di conseguenza, se ne infischia di loro senza crucci etici. Si comporterebbe diversamente se il finanziamento della sua campagna elettorale dipendesse dalla generosità di quegli elettori.
  Quindi si potrebbe, cartesianamente, concludere che i soldi facili e garantiti sono un freno al dialogo continuo tra eletti ed elettori, un freno al rispetto degli eletti verso gli elettori.

   Ettore Falconieri

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N. copie:

Ettore Falconieri, genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli.
Ha pubblicato Il RITORNO DEI LUPI (Lombardi), una novella filosofica e ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti (Archinto).
In I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro (SeBook ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI.

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di
Luciano Simonelli

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