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di Ettore Falconieri                    


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Ginevra, 6 Giugno 2006 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21- 22- 23 - 24 - 25 - 26 -  27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46
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    Quale futuro per la democrazia?

   P
oco dopo il crollo del muro di Berlino, mentre l’Unione Sovietica e vari paesi dell’est europeo stavano annaspando verso la democrazia, fece scalpore un saggio di Francis Fukuyama, dal titolo “The end of history “ la fine della storia. Nel quale si affermava, sintetizzando e banalizzando, che il crollo dell’impero sovietico ed una nuova ansia di libertà dei popoli avrebbero messo in moto l’inizio di una nuova era nella quale la storia del mondo, temperata dalla democrazia, si sarebbe svolta in modo meno drammatico del passato.
   Sappiamo ora che questo non si è avverato e che il "volemose bene" generalizzato è tuttora una mera utopia.
   Il mondo delle guerra fredda, dei blocchi contrapposti con al seguito i propri simpatizzanti, del comunismo come antagonista della democrazia, pur con tutti i problemi e i drammi che quotidianamente rappresentava, era, tutto sommato, un mondo stabile, semplice, facile da capire e da gestire, mentre ora il quadro globale è molto, ma molto piu’ complicato perché sono aumentati i giocatori in campo ed i variegati interessi che li muovono.
   E l’umanità non è diventata piu’ buona.
   Quello che in questi anni è successo nel mondo è, piu’ o meno, la ripetizione di quanto è sempre avvenuto in passato quando sono crollati, per ragioni interne od esterne, ordini costituiti, che fossero la potenza romana, il sultanato turco, l’impero asburgico o altri. Nuovi assetti e nuovi valori tardano a trovare indirizzi stabili, nuovi attori aspirano a svolgere un ruolo che in precedenza non avrebbero potuto neanche immaginare, il ring economico è affollato di nuovi sfidanti ed i vecchi protagonisti della storia danno spesso l’impressione di annaspare nell’incertezza perché i loro punti di riferimento sono cambiati.
   I valori della democrazia, è vero, sono condivisi da piu’ popoli, le democrazie sono piu’ numerose, cosi’ come le aspirazioni a realizzarla in stati che democratici ancora non sono. Se è vero, come la storia recente dimostra, che le democrazie non si fanno la guerra e che le rivalità sono prevalentemente economiche e quindi piu’ facilmente risolvibili con la trattativa, piu’ saranno le democrazie, meno saranno le guerre, minori saranno le infelicità degli uomini.
   Ma le democrazie, esistenti e prossime, devono mantenere nervi saldi e lucidità strategica se non vogliono, come non vogliono, essere condizionate da ideologie ed oligarchie che le combattono.
   Due sono le situazioni geopolitiche prevalenti da tenere in considerazione.
   La prima attiene alle risorse energetiche che, in buona parte, appartengono a paesi che democratici
non sono. In un contesto piu’ concorrenziale perché sono aumentati i fabbisogni mondiali, i governanti autoritari di tali paesi hanno un peso politico e contrattuale che non avevano in precedenza e possono usarlo contro le democrazie. E , piu’ di prima, possono restare indifferenti alle sollecitazioni ad essere piu’ democratici. Pertanto, la soluzione del problema energetico con fonti alternative a gas e petrolio è fondamentale per le democrazie al fine di essere meno dipendenti da chi democratico non è. Ma è anche fondamentale per i popoli oppressi di quei paesi per avere maggiori speranze di libertà.
   La seconda attiene al terrorismo, la guerra contro il quale tutti concordano sarà lunga e difficile.
   Dopo l’attentato alle torri gemelle di New York, quando la rabbia e l’ansia di rivalsa erano al massimo, negli Stati Uniti ed in Inghilterra si levarono voci isolate che ebbero il coraggio di mettere in guardia contro reazioni emotive che, nell’ansia di scoprire terroristi e complici, limitassero la libertà dei cittadini ed attenuassero i valori primari delle democrazie. L’Europa è quasi assente da questo dibattito, ma nei due paesi succitati le preoccupazioni delle voci isolate di allora sono divenute preoccupazioni dei piu’. Perché se le democrazie autolimitano, seppure marginalmente, i valori che ne sono alla base, avranno dato una grossa soddisfazione a terroristi, dittatori ed oligarchie sacerdotali oppressive, indebolendosi.
   Avendo presente che il terrorismo contemporaneo è un fatto epocale, figlio di quel rimescolamento di carte geopolitico succitato, che potrà attenuarsi ed essere vinto solo facendo in modo che libertà democratiche, tolleranza e rispetto reciproci vengano fatti propri da un sempre maggior numero di popolazioni. E per questo ci vuole pazienza, costanza e tanta fede nei propri principi.
   Cosa che non esclude la determinazione a combattere il terrorismo con ogni mezzo.
   E determinazione si dimostra anche additando, senza mezze parole, il fondamentalismo islamico come responsabile principale del terrorismo contemporaneo. Fatto salvo il rispetto che si deve ad ogni religione, islam incluso, non si puo’ non gridare alto e forte che il fondamentalismo assassino che esorta al suicidio migliaia di giovani, per far saltare in aria innocenti, non ha niente a che fare con la religione anche se viene spacciato per tale. E’ solo sanguinaria, irresponsabile, criminale barbarie contro l’umanità. Non ci puo’ essere nessuna motivazione politica, sociale, economica o quant’altro, come sembra pensare qualcuno in Italia, che possa scusare o motivare simili sanguinosi eccidi.
   Capi di stato, intellettuali e tutti coloro che si sono guadagnati il privilegio di essere letti od ascoltati dovrebbero gridarlo alto e forte. Ed esortare, aiutare, gli esponenti del mondo islamico moderato, che sono la maggioranza silenziosa di quei paesi, a fare altrettanto.

Ettore Falconieri
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  Ettore Falconieri,
genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli. Ha pubblicato «Il RITORNO DEI LUPI» (Lombardi), una novella filosofica e «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» (Archinto).
   «I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro»
(SeBook
ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» focalizzandole sulle religioni.

 

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