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di Ettore Falconieri                    


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Ginevra, 8 Novembre 2006 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21- 22- 23 - 24 - 25 - 26 -  27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58
   
Clausewitz e Camorra

  La criminalità controlla alcune zone del paese ed ogni tanto, come ora, si alza l’usuale logorroico cicaleccio che esorta, propone, auspica, stigmatizza, ma si guarda bene dal trasformarsi in fare.
   Poi, tutto si quieta e incapacità, inefficienze, indifferenze, complicità continuano. Nulla di nuovo sotto il sole.
   In tale contesto una provocazione non guasta.
   La famosa affermazione del grande scrittore di cose militari Karl Von Clausewitz: “la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi“, significa che, se nei rapporti con altri stati gli interessi, la vita e la sopravvivenza di una nazione sono messi in pericolo perché attraverso i normali rapporti diplomatici non si è riusciti a trovare un equilibrio ragionevole ed accettabile, la guerra è l’unico espediente per tentare di ritrovare quell’equilibrio. Guerra che è “un atto di violenza intesa a costringere l’avversario ad obbedire alla nostra volontà”, atto di violenza che si ritiene inevitabile, ogni altro mezzo essendosi rivelato senza sbocco costruttivo.
   Ma la frase ha un senso che va ben oltre il significato specifico delle parole. E cioè. Quando comportamenti collaudati nel tempo, accettati come normali ed eticamente consistenti con i valori prevalenti non consentono più di raggiungere certi scopi essenziali e necessari alla vita ed alla sopravvivenza di una comunità, non si può che ricorrere a mezzi anormali ed eccezionali, qualunque essi siano, anche violenti, se efficaci. Perché la vita e la sopravvivenza della comunità, in situazioni eccezionali di emergenza, sono prevalenti rispetto a qualità e moralità dei mezzi necessari a garantirle.
   Nel caso degli stati, come insegna la storia, il ricorso alla guerra può anche essere necessario perché, prescindendo da comportamenti di altri stati, gli interessi, la vita e la sopravvivenza di uno stato non sono stati difesi in modo soddisfacente dalla politica estera e dalla diplomazia di quello stato per proprie incapacità, errori, malintesi, disaccordi interni e mancanza di coerenza e linearità nei rapporti esterni. Cioè per motivi interni allo stato stesso che sconta i propri errori vedendosi costretto a mezzi eccezionali, la guerra, per difendere interessi fondamentali, vita e sopravvivenza.
   Succede lo stesso nelle comunità. Le regole ed i comportamenti essenziali e necessari alla loro vita ed ai loro equilibri interni possono non essere applicati o scompaginati all’interno della comunità stessa, per errori, incapacità, disaccordi, mancanza di volontà.
   Di conseguenza, la comunità paga i propri errori con la costrizione a ricorrere a mezzi eccezionali, anche violenti, per salvaguardare un ordinato fluire della convivenza e la propria sopravvivenza. Mezzi eccezionali che possono anche essere eticamente non coerenti con i valori usualmente accettati in tempi normali. Perché, come in uno stato costretto alla guerra per propri errori, o la comunità reagisce anche con la violenza, o soccombe come organizzazione civile di uno stato di diritto.
   In Italia vi sono alcune comunità che si trovano in questa situazione per errori propri, quelle dove comanda più la criminalità che lo stato, per carenze dello stato stesso e della politica, per incapacità ed inettitudine della classe dirigente locale e per rassegnazione dei cittadini a situazioni che durano da sempre.

   Pertanto, deve essere utilizzato ogni mezzo
, qualunque esso sia, per ripristinare la legalità, cioè l’ordinato fluire della vita economica, politica, sociale e la sopravvivenza civile. Non utilizzare ogni mezzo disponibile significherebbe il suicidio collettivo, etico, sociale, civile, della stragrande maggioranza dei cittadini che non sono responsabili della situazione, ne sono anzi vittime.
    Perché, nelle situazioni in cui comanda più la criminalità che lo stato la responsabile è una minoranza numericamente irrilevante che opera contro ed al di fuori della legge. E la maggioranza ha tutti i titoli, oltre che le ragioni, per difendersi, costi quel che costi anche in termini di deroga ai valori ed alle leggi vigenti.
   Ma come ? Tutti gli stati democratici, oltre ai servizi segreti, hanno anche leggi che tutelano il segreto di stato, segreto di stato che serve a mantenere riservati comportamenti ed iniziative presi dallo stato per difendersi, anche in deroga a leggi. Ed il più delle volte tali comportamenti ed iniziative coinvolgono i servizi segreti.
   Allora, nell’ambito del segreto di stato, per risolvere i problemi di alcune comunità dove comanda la criminalità, le cui famiglie, i cui capi, sottocapi e manovali del crimine sono, nella stragrande maggioranza dei casi, conosciuti, i servizi segreti ne comunicano i nomi ad altri servizi segreti noti per una qual spregiudicatezza e con contropartite in denaro chiedono loro…
   Anni fa, il ministro degli interni di un paese europeo, che ottenne significativi risultati nella lotta al primo terrorismo, lanciò lo slogan: bisogna terrorizzare i terroristi. Non sarebbe male terrorizzare anche certi criminali.

 

Ettore Falconieri
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  Ettore Falconieri,
genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli. Ha pubblicato «Il RITORNO DEI LUPI» (Lombardi), una novella filosofica e «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» (Archinto).
   «I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro»
(SeBook
ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» focalizzandole sulle religioni.

 

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