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  Chierici, Chierichetti e Tabù
di Ettore Falconieri                    


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Ginevra, 3 Marzo 2008 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 -  27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67 - 68 - 69 - 70 - 71 - 72 - 73 - 74 - 75 - 76 - 77 - 78 - 79 - 80 - 81 - 82 - 83 - 84 - 85 - 86 - 87 - 88 - 89



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Ogni Presidente Americano
ha la stoffa per esserlo

  Le procedure per l’elezione del presidente degli Stati Uniti trovano fondamento nella costituzione, nelle leggi e, per quanto riguarda le primarie con le quali i cittadini che si iscrivono scelgono un candidato del loro partito, anche nelle consuetudini locali consolidate nel tempo e diverse da stato e stato.
  Tali procedure, assieme all’importanza della carica, agli interessi in gioco, al complesso degli impegni necessari per convincere gli elettori, all’assillante attenzione dei media, alla durata di oltre un anno della campagna elettorale, fanno sì che il candidato, se eletto, avrà, indipendentemente dalle sue convinzioni politiche, le capacità psicofisiche ed organizzative per essere all’altezza della carica presidenziale. E questa è una componente importante, anche se raramente sottolineata, della preparazione alla carica politica più importante del mondo che dà la campagna elettorale negli Stati Uniti. Che ha anche aspetti di una sagra chiassosa, specie nelle “convention” finali dei partiti, ma che tempra l’ eletto per le responsabilità future.
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"I Chierici siamo Noi" di Ettore Falconieri
  Il candidato deve, innanzitutto, mettere insieme un team di collaboratori la cui scelta può essere determinante per il successo della campagna elettorale. Collaboratori responsabili dei rapporti con la stampa, dell’amministrazione, dei contatti con i responsabili locali del partito, dei viaggi, della logistica, del suo sito internet, delle relazioni con il pubblico, della sua immagine, dei programmi politici, solo per citarne alcuni. Collaboratori che formano un gran circo, in parte sempre in movimento al seguito del candidato.
  Deve trovare finanziatori, alcuni dei quali possono essergli fedeli e generosi da tempo, altri devono invece essere convinti e sedotti. Finanziatori di grosse cifre e semplici cittadini che danno il loro piccolo obolo. Il tutto da gestire con precisione contabile perché dovrà essere sempre pronto a renderne conto e la legge americana è molto precisa e differenzia anche i finanziamenti per le primarie da quelli per l’elezione finale.
  Naturalmente, più avrà fondi disponibili e più la sua campagna elettorale sarà grandiosa e la sua equipe numerosa e preparata. Ma la corsa al finanziamento deve stare attenta anche a scartare l’apporto finanziario di personaggi di dubbia correttezza che cercano, con soldi al candidato, di guadagnarsi simpatie o protezioni improprie. Ed ogni tanto qualche candidato inciampa sull’argomento dando spunti per essere criticato.
  Durante le primarie e la campagna successiva contro l’esponente dell’altro partito il candidato sarà in continuo, ossessivo movimento e deve avere un fisico all’altezza della situazione. Per incontrare il maggior numero possibile di cittadini, di comunità, di politici locali influenti. Per fare discorsi, anche più d’uno al giorno, conferenze stampa, stringere mani, mantenendo lucidità su quello che dice perché ogni errore, ogni commento sbagliato, ogni critica fuori luogo all’avversario gli può costare cara. Perché, oltre ai suoi avversari, i media non amici o indipendenti sono pronti a sbranarlo.
Media che svolgono un altro ruolo importante nel passare al setaccio tutta la sua vita, abitudini, amicizie, amori, affari, dichiarazioni fiscali, eccetera. Arrivando a scoprire anche dettagli ridicoli come flirt giovanili o una boccata dalla sigaretta d’erba di un amico in un corridoio d’università. Né mancano le calunnie, le accuse infondate, le prese in giro. Se un candidato ha un grosso scheletro nell’armadio non può sperare di farla franca.
  La capacità di superare tale messa in graticola mantenendo serenità e fermezza, senza essere sviato dal messaggio politico che vuole portare avanti, è una garanzia che, se eletto, reggerà l’urto di frustrazioni, di drammatiche tensioni, di incertezze, di decisioni difficili che possono anche sconvolgere l’assetto geopolitico di una parte del mondo, di scontri con il parlamento, di sveglie a notte fonda per una crisi sorta qua o là, di viaggi all’estero con ritmi ed impegni snervanti, di gestione di ministri e collaboratori spesso in disaccordo tra di loro che danno pareri contrastanti e così via. Tutte situazioni che ogni presidente americano ha dovuto e dovrà affrontare.
  In passato, più di una volta, candidati, cui si attribuivano forti possibilità di essere eletti, hanno rinunciato per non sottoporsi a simile calvario. Come il governatore democratico dello stato di New York, Mario Cuomo, negli anni novanta e, più recentemente, Colin Powell, già capo di stato maggiore generale, consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di stato.
  Poi ci sono i numerosi dibattiti tra candidati dello stesso partito nelle primarie, durante i quali l’espressione di idee e programmi deve essere chiara, comprensibile, ma nello stesso tempo deve in qualche modo differenziarsi, almeno in parte, da quella dei rivali. E quelli televisivi, poco prima delle elezioni finali, con il candidato dell’altro partito, davanti a centinaia di milioni di spettatori di ogni parte del mondo. Nei quali la tensione è al culmine e ci si può giocare tutta la campagna elettorale se si sbaglia nelle risposte, nell’atteggiamento, anche nel modo di vestire.
  Due di quei dibattiti sono passati alla storia.
  Uno nel 1960 tra Kennedy e Nixon. Quest’ultimo, che era in testa nei sondaggi, fu svantaggiato dalla faccia che in televisione appariva mal rasata, dando un’impressione di disordine e mancanza di stile. E perse.
  L’altro nel 1984 tra Ronald Reagan, che finiva il suo primo mandato, e il senatore Walter Mondale già vicepresidente con Carter. Reagan aveva settantatré anni e la sua età era stata più volte motivo di perplessità ed attacchi in campagna elettorale. Appena presa la parola, Reagan, famoso per le sue battute, disse che non avrebbe fatto della giovane età ed inesperienza del suo rivale, cinquantaseienne, un motivo di scontro. Mondale scoppiò a ridere così come la platea televisiva e il fattore età non ebbe più alcuna importanza. E Reagan fu rieletto.
  I candidati, indirettamente o direttamente nei dibattiti, si scambiano anche attacchi e critiche di spregiudicata durezza, furenti cannonate verbali, ma sempre mantenendo un rispetto di fondo per l’avversario. Nel dibattito in Texas, davanti a giornalisti e pubblico del 22 febbraio scorso, durante il quale vi fu un duro scambio di critiche, Hillary Clinton concluse dicendo che, comunque fosse stato giudicato il dibattito, era onorata di avere partecipato all’incontro con una personalità come Barak Obama che ha contraccambiato con altre parole di rispetto. E, quando si sono alzati, si sono stretti la mano, mettendosi poi a chiacchierare tra loro prima di andare a stringere qualche mano tra il pubblico.
  Un presidente degli Stati Uniti d’America può avere tanti difetti e sbagliare come tutti gli esseri umani, ma ha certamente gli attributi a posto per ricoprire l’alta carica.

   Ettore Falconieri
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N. copie:

Ettore Falconieri, genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli.
Ha pubblicato Il RITORNO DEI LUPI (Lombardi), una novella filosofica e ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti (Archinto).
In I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro (SeBook ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI».

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di
Luciano Simonelli


 

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