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di Ettore Falconieri                    


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Ginevra, 18 Febbraio 2007 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21- 22- 23 - 24 - 25 - 26 -  27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67


Dialogare,
    dialogare...


  S
e nella seconda metà del secolo scorso la guerra fredda tra il blocco comunista e le democrazie occidentali non è diventata guerra calda lo si deve in parte alla deterrenza atomica reciproca per cui la mossa di uno per distruggere l’altro avrebbe comportato l’immediata reazione dell’altro per distruggere l’uno, con conseguenze disastrose per i paesi coinvolti ed anche per il mondo intero.
   Ma lo si deve anche al fatto che le due parti, malgrado inconciliabilità ideologiche, inimicizie, freddezze, malintesi, alti e bassi nei rapporti diplomatici tradizionali, continuavano ad incontrarsi e a dialogare nelle sedi delle varie organizzazioni internazionali onusiane e no. Che fosse alle Nazioni Unite a New York, all’Ufficio Internazionale del Lavoro a Ginevra, all’Unicef a Parigi, alla Fao a Roma, alla Conferenza per il Disarmo, agli incontri bilaterali, alle lunghe trattative che hanno portato agli Accordi di Helsinki e così via, esponenti diplomatici, tecnici, economici dei vari governi, discutendo ed incontrandosi, si conoscevano e acquisivano anche una qual familiarità, stima, se non amicizia reciproche.

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   Quel grande diplomatico ed uomo di mondo che ha rappresentato per molti anni a Washington l’Unione Sovietica, l’ambasciatore Dobrinin, aveva un vasto giro di amicizie americane e, come gesto di riguardo, quando andava al Dipartimento di Stato la sua limousine era autorizzata ad entrare nel garage sotterraneo riservato a chi vi lavorava.
   I rapporti umani che si formavano tra persone, che pur operavano in campi contrapposti, contribuivano ad attutire asperità, ad addolcire contrasti, a gestire rivalità con fairplay, a cercare di comprendere le posizioni della controparte.
   Contribuendo a far sì che l’immane tragedia restasse una ipotesi irrealizzata.
   E l’importanza di un feeling umano tra esponenti di mondi diversi e contrapposti emerge anche dai libri di storia recente e dalle memorie di personaggi politici che sono stati i protagonisti di quel periodo.
   Incontri tra ministri o tra Capi di Stato di Russia e Stati Uniti erano più fruttuosi quando sul piano personale capi e delegazioni entravano in sintonia e non si dispiacevano. Situazione che poteva nascere anche da dettagli di comportamento, da piccole cortesie formali, da qualche battuta divertente.
   Durante un incontro al Cremlino Henry Kissinger, allora Segretario di Stato americano, fece sorridere i partecipanti e sgelò l’ambiente alzando con il braccio un documento e chiedendo sornionamente che le telecamere nascoste, che quasi certamente li stavano filmando, facessero una fotocopia per lui.
   Questo tipo di dialogo e di rapporti sono purtroppo assenti in molte situazioni di crisi contemporanee. Alcune delle quali (per esempio exJugoslavia, Irlanda del Nord, India – Pakistan ) sono pur state avviate a soluzione anche con il dialogo tra le parti.
   Gli Stati Uniti hanno rotto i rapporti diplomatici e non si parlano con l’Iran dai tempi dell’ajatollah Khomeini, i loro diplomatici si ignorano nei consessi internazionali e gli interessi di entrambi sono affidati alle ambasciate svizzere. Stessa situazione per Cuba, mentre è possibile che il Venezuela si avvii sulla stessa strada.
   A parte qualche incontro faticoso e travagliato, palese o segreto, non si parlano Palestinesi ed Israeliani. Tamil e governo dello Sri Lanka. Etnie africane o etnie di stati dell’ex impero sovietico che si contendono supremazie nel loro paese.
   E tanti altri.
   Ma, paesi ed etnie in contrasto tra di loro, se politicamente deboli nell’arena internazionale, possono essere indotti ed anche costretti a mettersi attorno ad un tavolo dall’Onu e/o da paesi forti, come è successo per l’ex Jugoslavia ed in questi giorni per le fazioni palestinesi convocate ad un incontro dall’Arabia Saudita, che le finanzia entrambe, e per la Corea del Nord su cui la Cina ha fatto forti pressioni per indurla a dialogare.
   Mentre paesi forti, per esempio gli Stati Uniti, non sono certamente influenzabili ed un cambiamento di direzione può venire solo dal loro interno.
   Una volta, in un mondo meno complesso, quando le trattative diplomatiche erano ridotte all’osso, prima di ogni conflitto vigeva l’usanza dell’ “ ultimatum” allo stato ritenuto potenziale nemico o che aveva comportamenti che si ritenevano lesivi dei propri interessi. Ultimatum che voleva dire: se non fai quello che ti dico entro in guerra contro di te. Praticamente una messa in guardia che spesso era un vero e proprio preavviso di guerra.
   Ora che il mondo è cambiato e l’ultimatum è meno di moda se non scomparso, bisognerebbe che entrasse nel costume politico internazionale l’obbligo del colloquio prima di ogni iniziativa di inimicizia. In fondo è divenuta legge non scritta che molte vicende vengano oggi sottoposte al giudizio dell’assemblea o del consiglio di sicurezza dell’Onu.
   Potrebbe diventare anche legge non scritta che prima di bastonarsi si è obbligati a dialogare.
   Ma dialogare costruttivamente, non come le fazioni politiche italiane che quotidianamente, se non ogni cinque minuti, chiaccherano, litigano e si parlano addosso su tutti gli argomenti possibili con molto clamore mediatico, cosa per loro più importante di ogni altra, ma con poco costrutto.

Ettore Falconieri
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  Ettore Falconieri,
genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli. Ha pubblicato «Il RITORNO DEI LUPI» (Lombardi), una novella filosofica e «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» (Archinto).
   «I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro»
(SeBook
ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» focalizzandole sulle religioni.

 

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