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Chierici, Chierichetti
e Tabù
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di
Ettore Falconieri
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Ginevra,
18 Febbraio 2007 -
n.
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Dialogare,
dialogare...
Se nella seconda metà del secolo scorso la guerra fredda tra il
blocco comunista e le democrazie occidentali non è diventata
guerra calda lo si deve in parte alla deterrenza atomica
reciproca per cui la mossa di uno per distruggere l’altro
avrebbe comportato l’immediata reazione dell’altro per
distruggere l’uno, con conseguenze disastrose per i paesi
coinvolti ed anche per il mondo intero.
Ma lo si deve anche al fatto che le due parti, malgrado
inconciliabilità ideologiche, inimicizie, freddezze, malintesi,
alti e bassi nei rapporti diplomatici tradizionali, continuavano
ad incontrarsi e a dialogare nelle sedi delle varie
organizzazioni internazionali onusiane e no. Che fosse alle
Nazioni Unite a New York, all’Ufficio Internazionale del Lavoro
a Ginevra, all’Unicef a Parigi, alla Fao a Roma, alla Conferenza
per il Disarmo, agli incontri bilaterali, alle lunghe trattative
che hanno portato agli Accordi di Helsinki e così via, esponenti
diplomatici, tecnici, economici dei vari governi, discutendo ed
incontrandosi, si conoscevano e acquisivano anche una qual
familiarità, stima, se non amicizia reciproche.
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Quel grande diplomatico ed uomo di mondo che ha rappresentato
per molti anni a Washington l’Unione Sovietica, l’ambasciatore
Dobrinin, aveva un vasto giro di amicizie americane e, come
gesto di riguardo, quando andava al Dipartimento di Stato la sua
limousine era autorizzata ad entrare nel garage sotterraneo
riservato a chi vi lavorava.
I rapporti umani che si formavano tra persone, che pur operavano
in campi contrapposti, contribuivano ad attutire asperità, ad
addolcire contrasti, a gestire rivalità con fairplay, a cercare
di comprendere le posizioni della controparte.
Contribuendo a far sì che l’immane tragedia restasse una ipotesi
irrealizzata.
E l’importanza di un feeling umano tra esponenti di mondi
diversi e contrapposti emerge anche dai libri di storia recente
e dalle memorie di personaggi politici che sono stati i
protagonisti di quel periodo.
Incontri tra ministri o tra Capi di Stato di Russia e Stati
Uniti erano più fruttuosi quando sul piano personale capi e
delegazioni entravano in sintonia e non si dispiacevano.
Situazione che poteva nascere anche da dettagli di
comportamento, da piccole cortesie formali, da qualche battuta
divertente.
Durante un incontro al Cremlino Henry Kissinger, allora
Segretario di Stato americano, fece sorridere i partecipanti e
sgelò l’ambiente alzando con il braccio un documento e chiedendo
sornionamente che le telecamere nascoste, che quasi certamente
li stavano filmando, facessero una fotocopia per lui.
Questo tipo di dialogo e di rapporti sono purtroppo assenti in
molte situazioni di crisi contemporanee. Alcune delle quali (per esempio exJugoslavia, Irlanda del Nord, India – Pakistan )
sono pur state avviate a soluzione anche con il dialogo tra le
parti.
Gli Stati Uniti hanno rotto i rapporti diplomatici e non si
parlano con l’Iran dai tempi dell’ajatollah Khomeini, i loro
diplomatici si ignorano nei consessi internazionali e gli
interessi di entrambi sono affidati alle ambasciate svizzere.
Stessa situazione per Cuba, mentre è possibile che il Venezuela
si avvii sulla stessa strada.
A parte qualche incontro faticoso e travagliato, palese o
segreto, non si parlano Palestinesi ed Israeliani. Tamil e
governo dello Sri Lanka. Etnie africane o etnie di stati dell’ex
impero sovietico che si contendono supremazie nel loro paese.
E tanti altri.
Ma, paesi ed etnie in contrasto tra di loro, se politicamente
deboli nell’arena internazionale, possono essere indotti ed
anche costretti a mettersi attorno ad un tavolo dall’Onu e/o da
paesi forti, come è successo per l’ex Jugoslavia ed in questi
giorni per le fazioni palestinesi convocate ad un incontro
dall’Arabia Saudita, che le finanzia entrambe, e per la Corea
del Nord su cui la Cina ha fatto forti pressioni per indurla a
dialogare.
Mentre paesi forti, per esempio gli Stati Uniti, non sono
certamente influenzabili ed un cambiamento di direzione può
venire solo dal loro interno.
Una volta, in un mondo meno complesso, quando le trattative
diplomatiche erano ridotte all’osso, prima di ogni conflitto
vigeva l’usanza dell’ “ ultimatum” allo stato ritenuto
potenziale nemico o che aveva comportamenti che si ritenevano
lesivi dei propri interessi. Ultimatum che voleva dire: se non
fai quello che ti dico entro in guerra contro di te.
Praticamente una messa in guardia che spesso era un vero e
proprio preavviso di guerra.
Ora che il mondo è cambiato e l’ultimatum è meno di moda se non
scomparso, bisognerebbe che entrasse nel costume politico
internazionale l’obbligo del colloquio prima di ogni iniziativa
di inimicizia. In fondo è divenuta legge non scritta che molte
vicende vengano oggi sottoposte al giudizio dell’assemblea o del
consiglio di sicurezza dell’Onu.
Potrebbe diventare anche legge non scritta che prima di
bastonarsi si è obbligati a dialogare.
Ma dialogare costruttivamente, non come le fazioni politiche
italiane che quotidianamente, se non ogni cinque minuti,
chiaccherano, litigano e si parlano addosso su tutti gli
argomenti possibili con molto clamore mediatico, cosa per loro
più importante di ogni altra, ma con poco costrutto.
Ettore Falconieri
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Ettore Falconieri,
genovese, operatore finanziario a
Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo
alla redazione de Il Mattino di Napoli. Ha pubblicato
«Il RITORNO DEI LUPI» (Lombardi), una novella filosofica e
«ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una
filosofia di tutti» (Archinto).
«I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro»
(SeBook ed Ex Libris -
Simonelli Editore)
Falconieri ritorna, sulle
riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI -
Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» focalizzandole
sulle religioni.
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