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di Ettore Falconieri                    


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Ginevra, 9 Marzo 2007 - n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21- 22- 23 - 24 - 25 - 26 -  27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67 - 68 - 69

Il dottor Mieli
ringrazia
ma non pubblica
né risponde

 
[Ndr: Ettore Falconieri ha inviato lo scorso 23 febbraio in una e-mail a Paolo Mieli, direttore responsabile del Corriere della Sera, una articolata lettera per sottolineare il fatto che le tematiche su religione, stato, chiesa vengono trattate sulla stampa italiana con estrema superficialità ed approssimazione. Naturalmente questa lettera non ha avuto risposta dal destinatario  né è stata pubblicata dal giornale perché considerata troppo lunga come precisato da questa cortese e-mail giunta ad Ettore Falconieri da Francesco Faranda, Segretario di  Redazione del Corriere della Sera che dice testualmente: "Egregio dottor Falconieri, il direttore mi incarica di ringraziarla per la sua interessantissima lettera su Stato, Chiesa e Religione. Purtroppo non ci è possibile pubblicarla per la sua eccessiva lunghezza. Cordiali saluti". L'ISTRICE fa le veci del Corriere della Sera e pubblica qui di seguito, integralmente, la lettera inviata da Ettore Falconieri al quotidiano di via Solferino]

   Dottor Paolo Mieli
   Direttore de "Il Corriere della Sera"
   Milano


   Caro Dottor Mieli,
so che la statistica sulle lettere al Direttore mi dà poche probabilità che lei legga la presente ed ancor meno probabilità che, nel caso la legga, voglia darle un qualche seguito, anche perché non sarò breve. Ma sull'argomento Stato, Chiesa, religioni, cattolicesimo, cristianesimo, islam mi pare si leggano oggi in Italia tante affermazioni ed argomentazioni, anche da parte di firme illustri, che sono in contrasto con la realtà storica e con una serena constatazione di fatti e
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situazioni. Per cui mi prendo la libertà di chiarire alcuni aspetti relativi a tali argomenti che stanno a cuore a me come a molti Italiani perchè riguardano le intime convinzioni interiori di credenti e no ed il funzionamento della società civile.
   Per chi ritenga di volerlo o doverlo fare, porsi il problema di un dio, come causa prima del tutto, come spiegazione di quanto è ignoto, come guida dei destini umani, è un momento genuino e sublime dell'ansia a conoscere, anche se stesso, dell'uomo. Pensando e rivolgendosi a qualcuno che si immagina al di sopra di esseri e cose l'uomo si plasma un'anima, si immagina l'eterno, si plasma una spiritualità che incita alla vita, che tende al meglio. Questo ha portato l'uomo alle religioni che si sono via via create in varie ere storiche e che sono diventate un tessuto connettivo indispensabile alla vita ed all'organizzazione della società, con i valori che essa si è data, consentendo ai suoi membri di sentirsi parte di un sistema universale coordinato e plausibile, per quanto umanamente plausibile.
   Con il passare del tempo, con il sedimentarsi su generazioni e generazioni, con il permearsi in culture, in comportamenti, in legislazioni, con il condizionamento che ogni individuo subisce sin dall'infanzia, dottrine, dogmi, valori religiosi, strutture ed uomini di chiesa, riti, liturgie e morali assurgono alla dimensione del sacro, che è intoccabile, che attiene alla divinità e che, quindi, non può essere discusso, pena l'ira del dio e della casta sacerdotale che dice di rappresentarlo, cosa che comporta spesso anche l'ostracismo del gruppo. E la sacralità diventa la corazza che tende a resistere al progresso della civiltà, alle conquiste della scienza, alla maturazione civica dei cittadini, al rispetto per la donna, all'evoluzione economica, politica, sociale ed a tanto altro. Nonché corazza che protegge esponenti di chiese da critiche per comportamenti impropri, e per la loro religione, e per le regole laiche della comunità in cui vivono. E la sacralità aiuta le chiese a mantenere la loro presa sulle coscienze e sulla società ed anche ad espandersi come ogni altra organizzazione umana. Sono anch'esse fatte da uomini con i loro vizi, virtù, interessi economici, bisogno di gratificazione e riconoscimento. E' più che normale, quindi, che la chiesa cattolica, come altre chiese, tenda a condizionare le società in cui è presente e riesca ancora a farlo là dove la politica è debole e la consapevolezza civica di molti cittadini è ancora in maturazione, come in Italia.
   Italia dove si tende troppo spesso a confondere e mescolare fede cattolica, Stato Città del Vaticano e valori del cristianesimo che sono concetti ben distinti tra di loro. La fede cattolica si realizza e si pratica attraverso la rappresentazione di dio e la interpretazione delle sue volontà, osservando dogmi, dottrine, riti e liturgie codificate nel tempo dalla oligarchia sacerdotale cattolica.
   Lo Stato Città del Vaticano, grazie anche alla sua capillare organizzazione e presenza sul territorio in buona parte del mondo, è una potenza terrena, non democratica, che esclude le donne da posizioni di responsabilità al suo interno, con la sua realpolitik, i suoi interessi, che si avvantaggia del fatto di essere diretta da oligarchie alle quali molti accettano, almeno spiritualmente, ma non solo, di sottomettersi.
   Il cristianesimo, nella sua accezione più ampia e genuina, è diventato un valore laico che, nella suo lungo evolversi, dai primi cristiani che si definivano ebrei all'affermazione dei diritti dell'uomo, ha contribuito a plasmare la civiltà occidentale. Il cristianesimo si è formato in secoli e secoli di storia in tutto il suo tragico e costruttivo divenire, con l'apporto anche contrastante di moltitudini e singoli, laici e religiosi. E con il contributo di pensatori, filosofi ed uomini di stato anche di fede non cristiana e non credenti. I valori del cristianesimo sono il frutto di una coralità di individui, di popoli, di entità religiose, non sono il parto ed ancor meno il monopolio di questa o quella chiesa. Anzi, una chiesa, quella di Roma, si è duramente battuta sino a circa un secolo fa contro la democrazia che dei valori del cristianesimo è l'evoluzione naturale. In quella terribile appendice all'Enciclica "Quanta Cura " del 1864, il Sillabo, si sentenziava che l'uomo non è libero di abbracciare e professare quella religione che avrò reputato essere vera e che la religione cattolica deve essere l'unica dello stato. Il "Non expedit " ( non conviene ) del 1874 proibì la partecipazione dei cattolici al voto ed alla vita politica dello stato. Nell'Enciclica "Vehementer nos " del 1906 si diceva tra l'altro: " Che si debba separare lo stato dalla chiesa è una tesi assolutamente falsa, un errore perniciosoŠ.. gravemente ingiurioso per Dio ".
   Nell'enciclica "Pascendi del 1907 si legge. " E' parimenti officio dei vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo, o ad essi favorevoli, si leggano se sono già pubblicati o, se non lo sono, proibire che si pubblichino ".
   Poi la società civile prevalse e la chiesa di Roma, avendo intuito che si stava isolando, abolì il " Non expedit" nel 1919 e si apprestò ad influenzare la vita dello stato italiano attraverso il voto dei cattolici. Cosa che le riuscì brillantemente anche grazie ai Patti Lateranensi e le riesce ancora oggi per la scarsa consapevolezza di molti su cosa è uno stato democratico di diritto ed alla piaggeria di molti politici, anche di quelli che nei loro comportamenti di cattolico hanno poco, ma si lanciano lo stesso con esuberanza in baci di anelli e genuflessioni.
   Mutatis mutandis, la chiesa di Roma si è comportata, né più né meno, come si comportano ora contro le democrazie, per non perdere il loro potere, le oligarchie sacerdotali islamiche.
   Questi comportamenti della chiesa, ente terreno, nulla tolgono, evidentemente, a tantissimi meravigliosi uomini e donne di chiesa che hanno dedicato nei secoli e dedicano tuttora la loro vita a lenire sofferenze e confortare infelici. E nulla tolgono a chi vede in essa la guida spirituale del proprio credo religioso, anche se qualcuno potrebbe chiedersi perché il credente debba avere bisogno di intermediari per dialogare con dio.
   Pochi ricordano o sanno che, in Europa, cattolici e protestanti di varia ispirazione si sono scannati a lungo con una dedizione non dissimile da quella dei contemporanei Sciti e Sunniti, prendendosi ogni tanto una vacanza che non comportava, tuttavia, l'arresto di persecuzioni, stragi ed umiliazioni di ebrei, costanti millenarie dei loro comportamenti religiosi. Nel 1648 il Trattato di Westfalia pose fine alle guerre di religione e fu il primo timido passo verso una maggiore tolleranza religiosa.
   Anche per queste tragedie della nostra storia, quando la democrazia ha iniziato a fare i primi passi, non poteva non affermare il principio che, per la serenità della convivenza e del rispetto reciproco, tutte le religioni dovevano essere rispettate, ma dovevano riguardare la sfera privata dell'individuo. Perché, date le tensioni anche emotive che le fedi religiose comportano, ogni travasamento di esse nella sfera pubblica avrebbe comportato reazioni, desideri di rivalsa, disagi, sentimenti di inferiorità o superiorità.
   Esattamente quello che succede ora in Italia di fronte ad una maggiore presenza islamica, verso la quale si reagisce troppo spesso in termini religiosi e non civici.
   E' banalmente evidente che, se si impone la prevalenza della religione cattolica, per esempio con simboli cattolici in luoghi pubblici, chi professa altra religione è tentato di esibire i suoi. Come succede per il velo delle donne islamiche che spesso viene portato solo per affermare la propria diversità. E' altrettanto banalmente evidente che proclamare la superiorità della propria fede sottintende uno svilimento di quella altrui, causando una reazione uguale e contraria. Questi atteggiamente sono stati e tuttora sono le premesse di ogni guerra di religione.
   La nostra ancora perfettibile maturità democratica fa sì che ancora troppi si sentano offesi se si domanda di tenere la loro fede nella sfera privata. Non si rendono conto che il farlo è una limitazione che ogni cittadino democratico deve autoimporsi così come si autoimpone tanti altri comportamenti per rispetto degli altri e nello stesso tempo per essere rispettato, nella tolleranza reciproca, per garantire a ciascuno la massima libertà possibile fatta salva quella degli altri.
In una democrazia contemporanea la cittadinanza è un fatto giuridico che prescinde da fedi, caratteristiche personali, etnie.
   Una fede intimamente e profondamente vissuta si sublima nel colloquio con dio secondo i canoni della propria religione, non nell'esibizione od imposizione a terzi.
   Quando ci sarà in Italia una maggiore serenità ed obiettività su questi argomenti? Molto dipenderà anche da coloro che si sono guadagnati il privilegio di essere letti ed ascoltati.

Cordialmente.

Ettore Falconieri
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  Ettore Falconieri,
genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli. Ha pubblicato «Il RITORNO DEI LUPI» (Lombardi), una novella filosofica e «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» (Archinto).
   «I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro»
(SeBook
ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti» focalizzandole sulle religioni.

 

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