Premessa.
  In una città estera non lontana dal Nord Italia, a metà anno, un cittadino qualunque decide di cambiare il suo provider per internet. Stipula il contratto con il nuovo provider e, pur avendo già pagato tutto l’anno, disdice quello in essere. Lo fa per telefono e gli si assicura che non è necessaria altra formalità.
  Agli inizi dell’anno successivo riceve dal vecchio provider fatture relative al servizio che non utilizza e che ha disdetto, fatture che non paga così come non paga i solleciti successivi.
  Inizio della vicenda.
  Il 17 novembre il cittadino qualunque riceve un invito a presentarsi all’ufficio postale dove c’è una ingiunzione di pagamento, da parte del vecchio provider, per un ammontare, in moneta locale, pari a circa 100 Euro. Udite le spiegazioni dell’impiegato allo sportello, il cittadino dichiara nello spazio, a tal fine previsto nel modulo di ingiunzione, di non dovere nulla con relative motivazioni.
  In data 8 luglio dell’anno successivo, nove mesi dopo, il cittadino riceve una convocazione del tribunale di prima istanza, ala B, aula B6, primo piano, per le ore 15.10 del 22 settembre successivo.

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  Alla data prevista, il cittadino entra con un quale anticipo nell’antico palazzo, in perfetto stato si manutenzione, e, poichè davanti all’aula non c’è nessuno, bussa timidamente. Esce un usciere che gli fa educatamente notare che la sua udienza è alle 15.10 e sono solo le 14.58.
  Inizia l’udienza in un’aula che ha il classico aspetto di un’aula giudiziaria di altri tempi con scanni, panche ed ornamenti vari in legno, tirati perfettamente a lucido.
  Sono presenti il giudice, una signora con qualche capello grigio, il cancelliere, l’usciere, l’avvocato di controparte ed il cittadino. Il giudice si informa, interroga, chiede documentazione e dopo circa quindici minuti chiude l’udienza.
  Il cittadino qualunque, prima di uscire, dice al giudice: “ Desidero scusarmi per avere abusato del suo tempo per una cifra così ridicola, ma, per me, era una questione di principio.”
  “Signore, io sono al servizio della giustizia che non si misura sull’entità della vertenza” risponde sorridendo l’austera signora.
  A metà dell’ottobre successivo, cioè meno di un mese dopo l’udienza, il cittadino riceve a casa, con apposita lettera, la documentazione consegnata al giudice durante l’udienza, il verbale dell’udienza ed una sentenza di quattro pagine, redatta in data 6 ottobre, che gli dà ragione.
  E riceve anche un rimborso per spese di giudizio (che non ha avuto) di quasi il doppio della somma contestata.
  In undici mesi dall’ingiunzione postale tutto è concluso.   Come dice un bizzarro modo di dire veneto, - roba che par persin dell’inverosimile -.

   Ettore Falconieri

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