L’ultima, grande figura femminile pucciniana,Turandot, appare insensibile e crudele tanto che non si capisce come i principi aspiranti alla sua mano, condannati a morte dopo aver fallito nel risolvere gli indovinelli, vadano incontro al loro orribile destino invocandola ancora con passione. Anche il protagonista Calaf sembra cadere nell’ incantesimo sebbene il suo scontro con l’altera principessa assuma poi il carattere di una sfida fra due intelligenze superiori. Cos’ha di tanto ammaliante, la figlia dell’imperatore della Cina? Lasciamo da parte le motivazioni interessate, relative alla sua altissima posizione, perchè nelle favole non trovano posto: la sua chance principale rimane la perfetta, lunare bellezza. Ma forse c’è qualcosa di più, cioè proprio la sua freddezza e la sua intangibilità, sfide potenti per ogni uomo: e tanti sono stati, prima di Calaf, gli uomini che si sono illusi di vincere quell’avversaria arrogante, domandola e facendone , finalmente, la propria sposa. Nella grande scena degli indovinelli è Turadot stessa a spiegarci le ragioni della sua invicibile avversione per le nozze, avversione che l’ha condotta a creare la gara mortale e sanguinosa per assicurarsi la sua mano. Infatti essa ritiene di essere la reincarnazione di un’ava vissuta secoli prima: la giovane e innocente principessa Lo-u-ling, stuprata e uccisa, in una notte di massacri, dal re dei Tartari, conquistatore dell’impero cinese. Turandot quindi afferma di doversi vendicare sugli uomini di quella fine terribile. Naturalmente, condotta, oggi, da uno psicanalista, la crudele principessa si sentirebbe spiegare di avere motivazioni ben diverse: la sua ossessione/avversione , le verrebbe detto, è nata da tutt’altre pulsioni e il desiderio di vendicare Lo-u-ling rappresenta solo uno schermo della mente per nascondere chissà quale trauma dimenticato. Ma nella favolosa cornice dell’opera pucciniana per Freud non c’è posto e i pretendenti prendono tutti sul serio l’agguerrita antagonista che, non volendone sapere di nessuno di loro, inventa indovinelli sempre più astrusi e raffinati. Ma le motivazioni del principe Calaf sono talmente radicate in lui che non può fallire. Così la “divina” Turandot assiste con stupore, e poi con una rabbia che sfocia nel panico alla risoluzione di tutti e tre i suoi indovinelli da parte di quel pretendente sgradito: la speranza ( “ la speranza che delude sempre” commenta, irritata e delusa) , il sangue ( “guizza al pari di fiamma e non è fiamma “) e infine …lei stessa: quella che “ se per servo t’accetta ti fa re…” Quando è che nell’animo tempestoso di Turandot cominciano il disgelo e la possibile accettazione dell’amore di un uomo non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Certo, nel finale dell’opera la già crudelissima principessa duetta d’amore con Calaf ma quel finale, lo sappiamo, non fu scritto da Puccini, costretto ad abbandonare l’opera per l’inesorabile progredire del cancro che lo uccise. Così l’ultima visione che abbiamo di lei come creatura del grande musicista è quella di una statua: glaciale, immobile, Turandot ascolta la patetica profezia(“amerai anche tu”) della dolcissima Liù – il suo contrario – e assiste apparentemente impassibile al suo suicidio. Maria Santini Qualche commento? Inseriscilo tu stesso su The Web Park Speaker's Corner Vuoi contattare Maria Santini? Clicca qui
Maria Santini è nata a Torino ma vive a Roma da molti anni. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere storico e fantastico, si è occupata di narrativa per la scuola rivisitando, in uno stile avvincente e personalissimo, i luoghi della memoria. L'insaziabile curiosità intellettuale è un dato caratteristico di questa scrittrice che offre al lettore una qualità di scrittura e una capacità narrativa assai rare. Ha pubblicato in volume da <b>Simonelli Editore: Matilde di Canossa, Liszt. In edizione elettronica, SeBook
Dieci Romanzi Gialli ...ed ora i Primi 7 Gialli di Maria Santini sono usciti anche in libreria >>>
|