Si sono fatte tante supposizioni per cercare di stabilire chi fosse nella realtà storica la gentildonna che, sotto il nome di Laura, ispirò la grande poesia di Petrarca. Eppure non è importante anzi è riduttivo pensare a lei come alla tale o talaltra donna. Neppure conta tanto appurare quanto sia stata concretamente vissuta questa passione. Si tratta, del resto, di eterne questioni petrarchesche, mai risolte. Basti pensare che Boccaccio, contemporaneo e grande amico di messer Francesco, era dell’opinione che Laura non fosse mai esistita…
A noi questo non deve importare. Ci interessa soltanto la creatura di poesia, l’angelo biondo per il quale il poeta rinverdì la fama di un nome fino ad allora poco usato: Laura, appunto. Il lauro, l’aura, l’aurora e ancora l’ora e la laurea (nel senso di corona d’alloro): stupende assonanze che ritornano in tanti punti delle rime sublimi alle quali il poeta, con una modestia che sa di civetteria da intellettuale, dette il nome latino di “Rerum vulgarium fragmenta” ma che tutti conoscono come il Canzoniere, diviso in due parti: “in vita e in morte di Madonna Laura”.
Che sia esistita o no, quella che il poeta elegge a protagonista della sua opera non è una creatura incolore, angelicata come le donne degli stilnovisti: le rime descrivono il lungo cammino della passione carnale del loro autore per una donna che egli afferma di aver conosciuto nel 1327, all’apice della sua bellezza, e che morì di peste – la famosa peste nera che devastò l’Europa – nel luglio del 1348, ormai non più bella né desiderabile: “corpus illud egregium morbis ac crebris partubus exhaustum”, scrive in un’altra opera, il “Secretum “, cioè “ quel bellissimo corpo sfinito dalle malattie e dai parti troppo frequenti”.
Ma in gioventù Laura è bellissima e l’ardente innamorato non si stanca di descriverla: citeremo solo le “stellanti ciglia” la “bocca angelica di perle” e, famosissimo incipit di un sonetto, “ i capei d’oro a l’aura sparsi”. Si arriva così alla stupenda raffigurazione di “Chiare, fresche e dolci acque”: Francesco e Laura si trovano insieme sulle rive di un fiume, in Valchiusa, sotto un albero i cui fiori scendono con grazia sulla donna e intorno a lei, avvolgendola in una delicata nube.
Poi Laura muore e tutto cambia. L’innamorata ritrosa scompare per trasformarsi in un’ombra gentile e protettiva nei confronti del suo poeta, al quale spesso appare in sogno: veniamo così a sapere che la passione sua e di Francesco non è mai stata consumata, dato che lei non voleva tradire il giuramento di fedeltà fatto a un altro, all’uomo che aveva sposato. Laura tuttavia non è solo un angelo consolatore ma è anche capace di sollevare a sé il suo innamorato, sia pure nella nebbia di un sogno, fino in Paradiso, facendolo ascendere al cielo degli amanti ove un giorno lui veramente la raggiungerà: e sarà per sempre.
Così nella seconda parte delle rime si alternano visioni consolatrici e mesto ricordo. Nel “Trionfo della morte”, invece, tutto è dolore. Ma nel rievocare “l’orribil caso”, cioè il trapasso di Laura, Petrarca riesce a raggiungere una sia pur sofferta serenità che si esplica nel verso finale,
uno dei suoi più belli. E’ l’ineffabile: “Morte bella parea nel suo bel viso”.
Maria Santini
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Maria Santini è nata a Torino ma vive a Roma da molti anni. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere storico e fantastico, si è occupata di narrativa per la scuola rivisitando, in uno stile avvincente e personalissimo, i luoghi della memoria. L'insaziabile curiosità intellettuale è un dato caratteristico di questa scrittrice che offre al lettore una qualità di scrittura e una capacità narrativa assai rare. Ha pubblicato in volume da Simonelli Editore: Matilde di Canossa, Liszt. In edizione elettronica,
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