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Verona,23 Novembre 2023

TODO MODO
para buscar la voluntad divina

    "La contemplazione dell’imbecillità è il mio vizio […]. Vanini riconosceva la grandezza di Dio contemplando una zolla; io la riconosco dall’imbecille. Non c’è niente di più profondo, di più abissale, di più inattingibile.” Chi parla è don Gaetano, il protagonista di Todo modo; anche se non è necessariamente il più bello, il film che ne è stato tratto lo ha reso forse il più famoso dei libri di Leonardo Sciascia, che pure sono tutti imperdibili. Si tratta comunque di un libro poderoso che, nella cornice di un perfetto racconto giallo, descrive con dura ironia personaggi, paradossi, vizi e contraddizioni del potere dell’Italia degli anni Settanta.
    Il protagonista, un pittore affermato che viaggia senza una meta precisa, arriva a un grande e brutto albergo dove ha luogo un ritiro spirituale per grandi commessi dello Stato, il cui dominus è un sacerdote, don Gaetano appunto, coltissimo, ironico e intelligente quanto sfuggente. Tra il pittore e il sacerdote si stabilisce un rapporto fatto in parte di scambio intellettuale, e in parte di allusioni più o meno aperte al mondo corrotto e ambiguo dei potenti che fingono raccoglimento mistico nell’albergo. Il sarcasmo irridente di don Gaetano è elemento centrale del libro, permette a Sciascia di esibire uno stile di raffinata semplicità e limpidezza, e spiega come la Chiesa abbia potuto sopportare e sostenere una classe mediocre e vicina all’illegalità come quella della Prima repubblica. La fede di don Gaetano sembra solida, ma non gli vieta di vedere al di là della superficie: tra cardinali e ministri, banchieri e manager delle grandi imprese di Stato, gli esercizi spirituali si svolgono nell’indifferenza dei partecipanti che coltivano manovre sotterranee e la invisibile presenza di alcune prosperose signorine.
    Alle osservazioni maliziose del pittore, che gli fa notare l’incongruenza tra il raccoglimento mistico e la presenza di amanti conclamate, don Gaetano risponde con convinzione: “Credo che il laicismo non sia che il rovescio di un eccesso di rispetto per la Chiesa, una specie di aspirazione perfezionistica, standone comodamente fuori”. E ancora, di fronte al dubbio del pittore sulla sua buona fede, don Gaetano usa un paradosso simile a quello del grande inquisitore di Dostoevskij nei Fratelli Karamazov: “I preti buoni sono quelli cattivi. La sopravvivenza e, più che la sopravvivenza, il trionfo della Chiesa nei secoli, più si deve ai preti cattivi che ai buoni. E’ dietro l’immagine dell’imperfezione che vive l’idea della perfezione: il prete che contravviene alla santità in effetti la conferma”.
    Nel bel mezzo di un rosario, però, uno degli importanti ospiti viene ucciso da un colpo di pistola. Non anticipo la conclusione, se pure ce n’è una. Ma quello che contraddistingue la seconda parte del libro è l’indagine, condotta svogliatamente da un procuratore che il pittore conosce dal liceo, e che più che a fare luce sul delitto serve a Sciascia per affondare il coltello nella rappresentazione di un potere insieme arrogante e imbelle, scaltro ma stolido, manifestamente colpevole ma anche intoccabile. E a tratteggiare l’alleanza tra il potere politico ed economico con quello della Chiesa come un affare di interessi reciproci, senza nessuna intesa sostanziale su valori e principi.
    A chi pensasse che quella di Todo modo era la seconda generazione della classe dirigente democristiana, quella cancellata dalla stagione di “Mani pulite”, e che tutto quello che descrive Sciascia è finito da oltre un trentennio, sarà utile ricordare la successiva nascita di tendenze neoguelfe, l’aggrumarsi di una conventicola di “atei devoti”, la improvvisa propensione dei principi della Chiesa a perdonare comportamenti a dir poco imbarazzanti e a contestualizzare persino le bestemmie; come anche la mancata estensione dei diritti civili a chi non si riconosce nella famiglia tradizionale, il blocco delle sperimentazioni sulle cellule embrionali, le esenzioni fiscali per gli edifici di proprietà ecclesiastica e il sostegno alle scuole confessionali che hanno caratterizzato l’azione di governo di una delle più amorali classi dirigenti che l’Italia unita abbia mai avuto, tranne quella del ventennio fascista.
    Dice il don Gaetano di Sciascia a proposito dei suoi altolocati ospiti: “Per quanto li disprezzi, al tempo stesso li amo”; e ancora: “Il secolo diciottesimo ci ha fatto perdere il senno, il ventesimo ce lo farà riguadagnare. Ma che dico, sarà finalmente la vittoria, il trionfo”. Già. E non ha avuto il piacere di vedere gli esordi del ventunesimo.

    Tommaso Basileo

























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