L'ISTRICE


Quando le notizie pungono


Le Rubriche


 

Sommario

Libri

SeBook

Ex Libris

Dialettando.com

Home Page Simonel

The Web Park Speaker's Corner

   

 

n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 - 27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59- 60 -
Verona, 11 Settembre 2020

Inventare Valori?
Il dilemma del relativismo

    Perché la nostra filosofia pubblica dovrebbe rispettare le nostre credenze intorno a fatti di valore, cosi come esse si sono consolidate entro una tradizione e forma di vita particolare?
    Una filosofia pubblica che poggi su una interpretazione della tradizione democratica tenderà a impegnarsi più nell’interpretazione che nell’invenzione. Ma come potrebbe tener conto della sfida radicale delle alternative globali? Intendiamoci, non siamo autorizzati a ritenere che le nostre teorie della giustizia valgano per tutti i mondi sociali e politici possibili. Un’etica pubblica, come sostenne Rawls, non è un’etica della creazione.
    Francamente non ho idea di come il problema si possa risolvere, ma credo che si tratta di un problema importante che, in certo senso, diventerà sempre più importante in un pianeta in cui si accentueranno la percezione dell’interdipendenza e il dialogo o il conflitto fra culture, tradizioni e forme di vita differenti.
    SI TRATTA DEL DILEMMA DEL RELATIVISMO.
    Esso sembra emergere in etica quando prendiamo sul serio il fatto che i nostri valori sono quello che sono entro forme di vita particolari e quando riconosciamo il fatto della varietà delle forme di vita possibili. La cosa è ulteriormente complicata dal fatto che la varietà e la pluralità dei valori sono a loro volta fatti di valore, entro la nostra tradizione. Certo, noi preferiamo un mondo di varietà essenziale a un mondo di uniformità. Preferiamo un universo pluralistico a un universo monistico.
    È vero che le varietà delle forme di vita collettiva non è poi tale da escludere che possiamo dire qualcosa di interessante su un nucleo comune e condiviso; ma questo può sembrare a prima vista così poco da non riuscire a generare una base che non sia banale per un’etica universalistica.
    Non sono convinto, però, che tutto torni in questo modo di presentare l’argomento. Vi è un disagio che deriva dal fatto che mi sembra strano che noi rinunciamo a ricercare le ragioni di una preferenza per una forma di vita piuttosto che per un’altra solo per una questione, diciamo così, “giurisdizionale”.Perché non poter argomentare che vi sono tradizioni e forme di vita che realizzano meno valore di altre? Credo che, in realtà, noi siamo profondamente convinti del fatto che torturare oppositori politici o avvelenarli, insanguinare i seggi elettorali, mettere in manicomio i dissidenti, ottenere ricchezza oligarchica dalla carestia di massa, massacrare migliaia di studenti inermi con i carri armati, o praticare l’apartheid siano azioni moralmente sbagliate e che istituzioni che le consentano e individui che le compiano siano moralmente sanzionabili.
    Siamo così certi che non sia possibile identificare un nucleo normativo minimo che ci consenta di valutare e di gerarchizzare tra forme di vita collettive e tradizioni? Siamo certi che non sia possibile elaborare i minima moralia per qualche miliardo di coinquilini del pianeta? Perché non dovrebbe essere un’impresa attraente, tanto intellettualmente quanto moralmente e politicamente?
    In realtà, vi è una tensione universalistica che è irrinunciabile nel programma di un’etica normativa. Il fatto stesso che si ricorra a qualcosa come “ragioni” per agire o per scegliere implica questo trascendimento dei confini dei clan e delle tribù. Un’etica che si basi su ragioni dovrebbe modellare le istituzioni politiche, nella loro varietà essenziale, sulla base del criterio minimo del rispetto per la vita, quale che ne sia la definizione, degli uomini e delle donne che hanno scopi, preferenze, bisogni, aspirazioni e hanno diritto, su questa base elementare, a controllare le loro vite e a definirne il significato.
    Forse non è necessario condividere per intero la tradizione dell’individualismo etico che è l’esito di una forma di vita, tra le altre, in cui ci è accaduto di avere una vita da vivere e questioni filosofiche da risolvere. Basta limitarsi ad assumere che, per valutare quanto è politicamente desiderabile e moralmente doveroso, si prendano sul serio le ragioni per cui individui accetterebbero o non rifiuterebbero regole, pratiche e istituzioni. Questo test è forse molto difficile e troppo esigente.
    LA SFIDA DEL RELATIVISMO, che ripropone in etica i dilemmi dello scetticismo nella teoria della conoscenza, resta lì. Il senso delle possibilità relativistiche assomiglia al senso delle possibilità scettiche. Ma se noi prendiamo sul serio l’idea che possiamo in qualche modo rintracciare valori, così come possiamo rintracciare verità nel mondo, allora non è fatuo pensare che un progresso in etica sia possibile e che questo, in un universo pluralistico, lasci intravvedere anche una tendenza alla convergenza e un approfondimento della nostra prospettiva impersonale cioè tendente a trascendere le forme di vita entro cui abbiamo punti di vista, valori e giustificazioni.

    Tommaso Basileo

























© Copyright Simonelli Editore - All the rights are worldwide reserved