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Verona, 8 Ottobre 2017

Strappi secessionisti
e chiusure nazionaliste
nel futuro europeo?

    L'entità dominante della geografia politica europea, vale a dire lo Stato-Nazione nel quale si realizza l'unità tra demos e ethnos, può essere compresa solo se la inquadriamo sullo sfondo storico del collasso dei preesistenti ordini universalistici.
    La prima ondata fu opera del Protestantesimo che comportò l'abbandono dell'ordo sacra et universalis del Cattolicesimo. La seconda si ebbe con la Rivoluzione francese che promise di universalizzare il patrimonio dell'Illuminismo. La terza, consistette nell'esperimento comunista teso a creare un nuovo universalismo politico fondato sull'emancipazione di classe e l'utopia dell'assoluta uguaglianza sociale.
    Il risorgere contestuale sia del nazionalismo (per difendersi) che delle spinte secessioniste (per profittarne) sono comunemente considerate le conseguenze sgradite della Globalizzazione e della società aperta. Il corso degli eventi è tutt'altro che definito e prevedibile. Un solo elemento finora appare chiaro: il totale divorzio dell'ethnos dal demos non ha quasi mai funzionato, quanto meno non nel caso dei gruppi umani in possesso di una memoria e di una identità profondamente stratificata e lontana nel tempo.
    Se c'è una eccezione alla quale possiamo guardare, con prudente interesse, è l'esperimento pluralistico multietnico americano. Sapendo, però, che a differenza del Vecchio Mondo, dove il pluralismo ha avuto le sue origini nelle conquiste e nelle alleanze dinastiche, nel Nuovo Mondo il pluralismo ha avuto origine con l'immigrazione di individui e di famiglie. La stragrande maggioranza della popolazione americana è formata da individui assommati ad individui, arrivati l'uno dopo l'altro nelle grandi città portuali.
    Negli Stati Uniti la nazionalità e l'etnia non hanno mai acquistato una stabile base territoriale. Il principio di autodeterminazione invocato a gran voce nel Vecchio Mondo, negli USA non ha avuto alcuna eco: gli immigrati (fatta eccezione per gli schiavi neri) erano andati lì volontariamente e non dovevano essere forzati a stare; non avevano nessuna ragione per attuare una politica secessionista (se non per mantenere o abolire proprio la schiavitù).
    Ancora una volta l'Europa si trova di fronte al dilemma fra un vecchio ordine e un'era nuova, in via di formazione. Nuove tecnologie rivoluzionarie e nuovi bisogni sociali stanno imponendo un cambiamento radicale nella concezione di spazio e tempo. Dopo duecento anni di dominio dei mercati nazionali e degli Stati-nazione territoriali, le relazioni fra gli uomini stanno infrangendo i vecchi legami istituzionali. Così come il capitalismo di mercato sradicò l'economia feudale e impose la metamorfosi di principati e città-stato in Stati nazionali, da due decenni le economie di mercato nazionali sono state messe in discussione dall'economia globale delle reti e lo Stato nazione è parzialmente surrogato da spazi politici sovrannazionali e pressato dalle spinte autonomistiche delle comunità locali.
    Come si fa a non capire che nelle reti, gli scambi sono troppo rapidi, troppo densi e troppo globalizzati per poter essere stretti entro i confini nazionali? Gli Stati-nazione sono geograficamente troppo limitati per sovrintendere a scambi interregionali e globali, e per temperare i crescenti rischi ambientali e sociali impliciti nella società aperta.
    Le diaspore culturali che caratterizzano la nostra vita attuale, essendo vissute simultaneamente “qui e altrove”, sono legate al tempo, non allo spazio, e perciò non sono contenibili dalla geografia. Con le persone che vivono sempre più in spazi molteplici, con lealtà multiple, lo spazio politico dovrebbe, forse, essere ridefinito in modo da sciogliere la sua antica rigidità rispetto a un territorio delimitato. Alcuni studiosi hanno avanzato un'idea suggestiva: l'Europa labirinto. Essi suggeriscono di sostituire i confini definiti con zone di interattività, confini sfumati e mobili, tenuti insieme da un ordinamento regolatorio multilivello.
    Comunque la si veda, il punto più difficile resta sempre quello di stabilire una politica sforzandosi di unire le forze contrastanti in un nuovo scopo condiviso senza distruggere l'autonomia, la legalità e la solidarietà.
    Le spinte secessioniste e le chiusure nazionaliste sono entrambi risposte retrograde in questo quadro, esse possono rappresentare un pericoloso salto nel buio che può far saltare l'intera architettura geopolitica europea, vanificando drammaticamente tutte le aspettative in fibrillazione sia per chi reclama “protezione” sia per chi reclama “mani libere”.

    Tommaso Basileo

























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