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Verona, 2 Giugno 2017

Le relazioni pericolose
tra crescita, demografia e clima

    Com'era prevedibile Trump ha stracciato l'accordo sul clima di Parigi. Solo Obama, fra i Presidenti americani, ha avuto il coraggio di sottoscrivere un tale impegno. Tutto sommato, però, preferisco la chiara manifestazione di ottusità ambientale trumpiana al quadro di spettacolarizzazione dei rischi ambientali finalizzato solo a turbare le coscienze collettive cui ci aveva abituato Al Gore. Era vice-presidente quando trattò, con grande enfasi ambientalista, come rappresentante USA, il protocollo di Kyoto, per concludere che non era né ratificabile né applicabile al suo Paese.
    Meno spettacolare, ma forse più razionale, è l'approccio di Angela Merkel che implicitamente rifiuta sia le generalizzazioni che la logica del profitto a breve. Se l'emissione è lo specchio del consumo e questo è l'indicatore del modo di produrre e del tenore di vita, il parametro da considerare è quello delle emissioni inquinanti pro-capite. In Europa ogni cittadino emette 7 tonnellate di anidride carbonica all'anno. La Germania è a quota 11, gli Stati Uniti superano le 20 tonnellate, la Cina è a 4,5. La Merkel osserva perciò che il contenimento delle emissioni dovrebbe partire da chi consuma ed emette di più. Se il maggior inquinatore rifiuta di mettere un freno alle sue emissioni è inaffidabile. Come darle torto?
    Non tutti concordano che tra crescita economica, aumento delle popolazioni e clima c'è una relazione pericolosa da tenere a bada.
    I negazionisti del rischio ambientale e climatico si schierano a difesa non dell'ambiente ma della forza della natura. Essi ritengono, non senza buoni motivi, che il sistema energetico planetario, di cui la Terra fa parte, è alimentato dall'immensa energia solare ma è controbilanciato dai sistemi di assorbimento di calore e delle radiazioni costituiti dagli strati di atmosfere che avviluppano il pianeta, da quelli esterni e rarefatti della ionosfera e della mesosfera, dove interagiscono gli ioni liberi e le radiazioni elettromagnetiche provenienti dallo spazio esterno, a quelli più interni della quieta stratosfera e della turbolenta troposfera dove si generano i fenomeni meteorologici. Il sistema di assorbimento dell'energia è, secondo costoro, completato dalla stessa massa terrestre e da quella oceanica. Quindi questo sistema sarebbe talmente potente e indipendente da non poter essere influenzato neppure in minima parte dall'intervento dell'uomo per quanto dissennato. Qualsiasi ingiuria dell'uomo sarebbe destinata ad essere riequilibrata dal grande motore cosmico.
    Non so perché ma questi argomenti, mi fanno pensare, come un riflesso condizionato, alle fole stracotte delle “mani invisibili” che, nel mercato, rimediano a tutti gli squilibri e tutto, proprio tutto, rimettono in ordine senza alcun intervento.
    La posizione opposta, anche questa non priva di buoni motivi, è sostenuta da chi nega che il ciclo vitale energetico e ambientale sia indipendente e inattaccabile. Esso sarebbe invece legato a fattori molto tenui ed altamente sensibili a qualsiasi tipo di modificazione. In questo caso l'assunto è che una volta rotto o danneggiato l'equilibrio iniziale è molto difficile che si ristabilisca autonomamente e che si ripristino le condizioni iniziali. Personalmente, ritengo che Gaia sia un sistema di componenti interdipendenti che lavorano in omeostasi, sensibile alle variazioni e alle perturbazioni come l'inquinamento, lo sfruttamento intensivo delle risorse energetiche, idriche, agricole, alle guerre alla crescita della popolazione e agli eventi catastrofici imprevedibili.
    Nel 1815, l'esplosione del vulcano Tomboro nell'isola di Sumbawa, nell'attuale Indonesia, alterò i normali cicli agrari. Carestia e fame si diffusero in tutta Europa, i prezzi salirono alle stelle, le masse rurali, già impoverite per effetto delle lunghe guerre napoleoniche, alimentarono consistenti flussi migratori di mendicanti e disgraziati verso le città, in cerca di carità e cibo. Questi si addensarono nei ricoveri, negli ospizi, negli ospedali, facilitando l'insorgere di infezioni epidemiche come il tifo che produsse un picco di mortalità. Nel secolo precedente, conseguenze simili si produssero dopo le dure invernate del 1709-10 e del 1739-40.
    L'intreccio di fatti climatici, sociali, economici e biologici è, quindi, talmente stretto e complesso che diventa assai ardua l'opera di chi voglia districare il peso specifico di ciascun fattore sull'insieme delle componenti.
    Tuttavia, la crescita demografica è una componente non secondaria di quel complesso di forze che sta producendo i cambiamenti climatici. La diaspora umana ha prodotto stabili insediamenti alle latitudini più disparate, dalle regioni subartiche a quelle equatoriali, ovunque fosse possibile estrarre risorse adeguate alla sussistenza. Più abitanti significano più attività umana, maggiore produzione e consumo, crescente impiego di energia, maggiore uso di acqua e di spazio, anche perché i prossimi due miliardi e mezzo di persone che si aggiungeranno sul Pianeta da qui al 2050, si distribuiranno in maniera molto disuguale. I sociologi prevedono che la futura crescita di popolazione sarà assorbita quasi esclusivamente da forme d'insediamento urbano. Il veloce ritmo di concentrazione urbana potrebbe avere due conseguenze opposte: da un lato più efficiente organizzazione delle modalità di vita e di lavoro, dall'altro una concentrazione delle emissioni dannosa all'ambiente e alla salute.
    Molte delle spirali negative possono essere attenuate, interrotte o, addirittura, invertite nella direzione: SE AMMINISTRIAMO BENE LE RISORSE IDRICHE, SE MIGLIORIAMO E ADATTIAMO LE TECNICHE AGRICOLE, SE IMPLEMENTIAMO SISTEMI SANITARI SEMPRE PIU' SOLIDI E EFFICIENTI, SE SAPREMO GOVERNARE I FLUSSI MIGRATORI, SE CERCHEREMO DI MEDIARE I CONFLITTI CON LA DIPLOMAZIA PIUTTOSTO CHE CON LE ARMI.

    Tommaso Basileo

























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