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Verona, 22 Agosto 2017

Uno spettro si aggira
per l'Italia...

    Uno spettro si aggira per l'Italia: è il fantasma della Sinistra. Ma al contrario dallo spettro del comunismo marxiano, questo fantasma porta con sé l'annuncio di un doloroso crepuscolo.
    Sradicamento dai processi sociali ed economici, perdita di connessione culturale e sentimentale rispetto alle grandi trasformazioni in cui siamo immersi: questi sono i nodi che la Sinistra italiana deve sciogliere. Per fortuna è evaporata del tutto, dalla base al vertice, la folle vecchia idea di volare sulle ali della storia. E' già qualcosa!
    La Sinistra radicale si oppone a tutto. Si oppone, anche con qualche ragione, alla mercificazione dei beni comuni ereditati dalla tradizione o dalla natura, ma non riesce a progettare nuovi beni comuni che parlino di un progetto di ordine economico e sociale alternativo. Si rifugia invece nella difesa ad oltranza delle vecchie conquiste sociali considerate immodificabili. La Sinistra di governo, invece, sta valorizzando al massimo la sfera dei diritti etici e civili e si è impegnata molto in un corposo progetto di riforme: dal mercato del lavoro, alla scuola, al sistema di incentivi al riordino del sistema bancario, giudiziario e della PA. La sua Riforma della IIa parte della Costituzione è stata bloccata: un disastro! La domanda chiave per il prossimo futuro è: come rimettere a tema, in modo adeguato e realistico, misurandosi con le dinamiche della timida ripresa e con l'insidia della paralisi politica, la “Questione sociale”?
    Il “popolo” è da tempo arcistufo della Sinistra e del suo cannibalismo. Il welfare a bassa protezione (per giovani, donne, inoccupati) e la paura indotta dalla crisi finisce per suscitare reazioni conservatrici (non rivoluzionarie) proprio nella base popolare tradizionale della Sinistra, incrementando il circolo vizioso dello sradicamento.
    Bisognerebbe prendere atto che la condizione che stiamo attraversando è davvero eccezionale. Mai nella storia si è verificata una situazione così vicina all'onnipotenza e, contemporaneamente, alla catastrofe. Non c'è bisogno di scomodare la cabala: è facile presentare sia un quadro esaltante sia uno deprimente. Ci sono “pezze d'appoggio”, evidenze indiscutibili per l'uno e per l'altro.
    E' indiscutibile che la crescita globale abbia coinvolto miliardi di uomini rimasti finora nell'ombra della storia (dovrebbe gioirne chi si è nutrito di internazionalismo proletario). Siamo passati da un regime di scarsità ad uno di abbondanza (anche se in 50 anni sono raddoppiati i posti a tavola). C'è stato l'allungamento delle speranze di vita. La riduzione delle malattie e l'attenuazione del dolore fisico. Il miglioramento della condizione femminile. L'umanizzazione delle pene e il progresso dei diritti civili. Sono tutte conquiste della scienza e della democrazia? Oppure, queste conquiste sono state rese possibili da una società economicamente dinamica? Dinamica non significa giusta. Ma se un'economia non è dinamica l'unica giustizia che può realizzare è l'uguaglianza nella penuria mortificante.
    “Il segreto del successo storico del capitalismo sta nella sua maggiore contiguità alla natura dell'uomo, sta nell'aver evocato l'immensa energia dell'interesse individuale inteso nel senso più ampio trasformando valori d'uso in valori di scambio. La macchina che ha prodotto questo processo è la combinazione di tecnica e di mercato. Il soggetto di questa combinazione è l'impresa, un sistema che opera con criteri opposti a quelli del mercato: criteri di organizzazione gerarchica verticale, non di scambio orizzontale” (G. Ruffolo).
    Assolutamente d'accordo! Ma, attenzione, non esistono in natura processi di crescita continua. Alberi e uomini non raggiungono il cielo. A un certo punto la crescita economica incontra dei limiti, nell'esaurimento delle risorse naturali e nel turbamento degli equilibri ecologici o geopolitici. Il capitalismo non credo perirà delle sue contraddizioni “interne”. A metterlo in pericolo saranno, semmai, le contraddizioni “esterne”.
    Senza alcun dubbio, è la discontinuità rappresentata dalla globalizzazione il punto di partenza di ogni riflessione per la Sinistra, ma il punto di arrivo dovrebbero essere i territori con i loro problemi di sviluppo. E' nato da decenni un conflitto aspro, pericoloso, solo accentuato dall'ultima recessione, tra i “flussi” della globalizzazione (produttivi, finanziari, umani) e il loro impatto sulle società e le “economie locali”. Un malessere che vediamo serpeggiare ovunque.
    Tutto è cambiato. Nel Novecento la rappresentanza sindacale e politica cresceva in una società caratterizzata dai mezzi scarsi e fini certi, oggi siamo passati a una società dai mezzi abbondanti ma con fini totalmente incerti. Se la Sinistra cerca la classe operaia scoprirà che esiste ancora. Vive e lavora nei territori e vota, da sempre, come il suo “datore di lavoro” (DC- Lega- FI- M5S) non solo per retaggio culturale, ma perché tende a condividerne ansie, rancori e speranze in rapporto a una dimensione competitiva che coinvolge ormai tutti ma che certa Sinistra non riesce a comprendere. Poi c'è la massa delle partite IVA, i creativi, i precari, i flessibili. Il punto è che tutto il processo di trasformazione economica e sociale non è avvenuto in “mille giorni”, ed è avvenuto, in larga parte, fuori dalle reti della rappresentanza sindacale e politica tradizionali, fuori dall'art.18.
    La questione politica sostanziale non riguarda le beghe velenose tra i vari gruppi radicali e il PD, piuttosto è che la rappresentanza di questa nuova composizione sociale tende sempre più ad essere egemonizzata dai movimenti anti-elite, anti-Euro, anti-globalizzazione, anti-immigrati che hanno saccheggiato temi e parole d'ordine alla vecchia Sinistra antagonista e li usano con grande spregiudicatezza e buoni risultati di consenso. Insomma, la Destra è diventata una concorrente temibile. Del resto, qualcuno a sinistra, l'ha legittimata persino come “garante della Costituzione”.
    Può avere un ruolo la Sinistra di governo dentro questa tumultuosa nuova dinamica? Forse, ma a un patto: che sappia mettersi in mezzo tra i flussi globali e i luoghi. MEDIARE I FLUSSI PER ACCOMPAGNARE I LUOGHI. O, come dice molto meglio Aldo Bonomi: “Il nodo è costruire una società locale capace di agganciarsi al globale e aprire l'enclave che è dentro di noi al mondo”. Ciò vuol dire, concretamente, adeguare il welfare, favorire la dinamica dei riaggiustamenti settoriali per facilitare lo spostamento dei lavoratori da un'azienda o un settore ad altri a seconda delle opportunità competitive, abbassare i costi burocratici e fare in modo che la scuola e l'università formino giovani che possono inserirsi bene nelle aziende.>br> Se a serpeggiare all'interno della Sinistra continueranno ad essere solo e sempre i vecchi temi sul liberismo si/no, le noiose diatribe Pubblico/Privato (anziché, funziona/non funziona), in un paese come l'Italia dove ci sono ottimi lavoratori, migliaia di ottimi imprenditori che scommettono tutto nelle loro aziende, ma anche capitalisti senza capitali che scalano società strategiche con i soldi delle banche, Albi e corporazioni e sindacatini che si moltiplicano, si combattono e bloccano ogni innovazione, dove un oligopolista ammanicato con lo Stato avrebbe dovuto, addirittura, realizzare la “Rivoluzione liberale”, ma di che parliamo? NON CE NE SARA' PER NESSUNO. Da un po' di anni, esauriti i soliti triti e ritriti argomenti polemici, quando si dibatte a Sinistra, spunta fuori immancabilmente la supercazzola del “Pensiero Unico”. Fate attenzione! Lo dico sul serio. Se ne approfondirete il concetto di fondo, vi troverete pericolosamente di fronte a un'orribile assonanza: la teoria del “Socialfascismo” di staliniana memoria.
    A proposito. Nell'ultimo Espresso, il buon Emiliano Brancaccio nel suo editoriale “Si chiama destra il morbo della sinistra”, mena fendenti in tutte le direzioni, non si salva NESSUNO, neanche Corbyn e Melenchon. Non dice sciocchezze o falsità eclatanti, intendiamoci, il punto è che non capisce che TUTTI GLI ALTRI, che non la pensano come lui, non sono né fessi né venduti. Tutto il suo pensiero è sintetizzato nelle tre righe conclusive: “La sinistra può prosperare solo se radicata nella critica scientifica del capitalismo, nell'internazionalismo del lavoro, in una rinnovata idea prometeica di modernità e di progresso sociale e civile”. Buona notte ai suonatori!
    Questo articolo mi ha fatto venire in mente un'agitata seduta del Comitato Centrale del PCI (già Cosa) quando un noto filosofo si alzò e fece una semplice, banale, domanda retorica: “Quindi, non saremmo più marxisti e leninisti?”. Achille lo guardò sconsolato, era ammorbato, si passò la mano nella folta criniera e gli rispose con un'altra domanda: “Forse c'è qualcuno qui in grado di elaborare un'aggiornata 'Critica dell'economia politica'?”. Silenzio. Silenzio profondo. Nessuna Bad Godesberg era in programma. Nessun bagno di sangue definitivo e chiarificatore. Tutto rimase appeso in aria.
    Troppi sono rimasti a guardare trasognati l'orizzonte cercando quella sagoma proiettata sulla volta celeste, l'agognato paradiso in terra, che ora si allontana ma, solo perché è improponibile. NO, NO. Le teorie o sono vere o sono false. I modelli economico-sociali o funzionano o non funzionano. I valori e i principi uno se li può tenere: sono un'altra cosa.

    Tommaso Basileo

























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