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n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - Verona, 21 Agosto 2016

L'assalto
terroristico
alle democrazie
pluto-giudaico-cristiane

    È da ormai quindici anni, dall'attacco alle Torri Gemelle di NY, poi via via a Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles, Nizza, al mattatoio medio-orientale e africano che, sempre più insistentemente, sentiamo parlare di un XXI° secolo segnato da un regressivo scontro di religione, così come nel XIX° si erano scontrate le nazionalità e nel XX° le ideologie.
    Dovremmo cedere alla tentazione di una tale vertigine, o ha ragione papa Francesco “La religione in senso stretto non c'entra niente, è una questione di potere”?
    Se si dice che il terrorismo ha dichiarato guerra all'Occidente, e che le ragioni di questa guerra, comprese le minacce di annientamento, utilizzano un vocabolario sacro tipico dell'Islam, questo è vero. È incontrovertibile. Ma dietro quella maschera ideologica c'è veramente la religiosità musulmana, la sua intera civiltà, la sua storia, la disperazione dei suoi tanti diseredati? O c'è un materialissimo interesse politico e di potere di feroci gruppi clanistici emergenti o emarginati, che vogliono farsi spazio o riprendersi lo spazio perduto, a qualunque costo, dopo aver attraversato una lunga fluttuazione storica, tra un fallimento e l'altro?
    Dopo la decolonizzazione: la tentazione Occidentalista, la svolta pan-araba con empatie filo-sovietiche, la stabilizzazione di Stati tirannico/tribali laici, fino alla rivoluzione Komeinista con la formazione di un solido Stato-teocratico, e il batter d'ali delle Primavere arabe.
    Per quale motivo noi dovremmo esprimere una contrapposizione frontale, di civiltà, proprio sul terreno religioso, il più identitario, e dichiarare apertamente la nostra ostilità a Unmiliardoduecentomilioni di individui, anziché annientare manu militari centomila psicopatici criminali dell'ISIS e neutralizzare qualche milione di esaltati?
    Quale sarebbe il calcolo razionale?
    Avete mai sentito, in quell'avamposto democratico accerchiato che è Israele, retoriche di contrapposizione religiosa?
    Quello che noi dobbiamo fare, invece, (oltre ad essere vigili ed efficienti) con serietà e senza equivoci, è far rispettare le nostre Leggi e i nostri Codici nei nostri Stati:qui non si fanno infibulazioni, non si gira con il burka o nudi, non si esercita la poligamia, non si possono tenere a casa le bambine sottraendole alla frequenza dell'obbligo scolastico.
    Chi ci sta, bene, altrimenti, quella è la porta o il porto o l'aeroporto. “L'integrazione”, come si intende negli Stati di diritto democratici, non è né assorbimento né sottomissione, è semplicemente RISPETTO DELLA LEGGE.
    Il terrorismo di qualsiasi origine, come la violenza politica, deve necessariamente appoggiarsi ad un modello ideologico iperbolico (e cosa c'è di più iperbolico di un messaggio sacro?), a un principio nichilista (pianta nostrana della fine '800- nulla di esotico), a personalità narcisistiche con disturbi di grandiosità e forte limitazione della sfera affettivo/cognitiva (Altro che Corano! Addebitiamo forse alla Bibbia, gli omicidi di ginecologi, donne che abortiscono e gay, dei fondamentalisti cristiani in US?) e ad una organizzazione centralizzata/reticolare, con cellule (addestrate nei teatri di Bosnia, Afganistan, Iraq, Siria, Libia, teatri anche dei nostri passi falsi) che rispondono ai comandi o lavorano in piena autonomia, anche nel reperimento di fondi, armi ed esplosivi, nell'individuazione dei bersagli e nella scelta dei tempi.
    Che l'obiettivo fondamentale di ogni terrorismo sia determinare il terrore è lapalissiano, ma determinanti sono gli effetti dei suoi atti non gli atti in sé. Nel caso specifico del terrorismo “islamico”, l'uso dei valori simbolici e del veicolo di amplificazione multimediale è addirittura autopropulsivo ed emblematico. Dirimente diventa, quindi, il ruolo corretto della libera informazione e dell'oscuramento dei siti web jihadisti. Per questo terrorismo, sia quando riesce a portare a segno colpi strabilianti sia quando li subisce, il risultato è identico, tende a sommarsi non a elidersi: moltiplica l'euforia o il vittimismo, l'entusiasmo festante o l'urlo rabbioso e isterico.
    Terrorizzare l'Occidente, non significa certo predisporne l'occupazione, significa annichilirlo nello slancio vitale, prostrarlo nella sua corsa sulla via di sempre più importanti conquiste di benessere, di giustizia, di sicurezza e di civiltà, rendere precarie le sue conquiste di libertà, in una parola: destabilizzarlo.Qualcuno ripete che non è attraverso analisi storiche, sociologiche o economiche che riusciremo a comprendere questo fenomeno, ci serve soprattutto la psicologia. Forse è vero. Come possiamo capire le ragioni di un terrorista jihadista magrebino-francese di seconda o terza generazione?
    Intendiamoci, tutti i fallimenti esistenziali (anche quelli laico/cristiani) cercano e trovano appigli negli iperboli a portata di mano. Per questo, “distinguere l'errore dall'errante” è stato ed è proficuo.
    Non credo sia impossibile convincere il grosso degli islamici residenti in Europa (30 Milioni su 500) che se sono qui, qui con noi, è perché dove vivevano le cose non funzionavano bene. Non è ragionevole, quindi, che ci vengano a proporre la Shari'a, stiamo meglio con le nostre Costituzioni Liberal-democratiche, garantiscono il ricambio dei gruppi dirigenti senza spargimento di sangue, ci hanno regalato 70 anni di pace e benessere. Del resto, è come se un tedesco dell'Est avesse rischiato la vita scavalcando il MURO e una volta nella zona libera avesse preteso di applicare i principi del comunismo da cui fuggiva.
    La crescita esponenziale, improvvisa e drammatica della percezione dei fattori di rischio globale, entrando di prepotenza, nel discorso pubblico e nella vita quotidiana, dovrebbe rendere le nostre società più riflessive e scettiche e dovrebbe indurre tutti a modificare le proprie dinamiche politiche e culturali. Queste dinamiche se ben interpretate e bel sollecitate (non certo alimentando le paure per puro tornaconto: Trump-Salvini-LePen), potrebbero aumentare la coesione sociale e determinare l'attenuazione dei comportamenti irresponsabili ed egoistici.
    Il compianto Ulrich Beck ci suggeriva che la percezione del rischio globale, non rappresenterà affatto il tramonto dell'Occidente, ma al contrario, costituirà la fonte per il suo risveglio dal torpore arrogante della supremazia conquistata una volta per sempre. Sarà la piattaforma per le riforme globali, per modellare il futuro globale.
    La cultura dell'incertezza dovrebbe farci accettare, dunque, che le perdite e le catastrofi rappresentano sempre un'eventualità possibile, ma tale accettazione può funzionare solo in un'atmosfera di fiducia sociale e politica, di efficienza e fermezza delle istituzioni, in cui i cittadini sono sicuri che tutto il necessario sarà fatto per coprirli personalmente dai rischi.

    Tommaso Basileo
























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