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n. 1 - 2 - 3 - Verona, 25 Maggio 2016

Un SÌ convinto

    Come ci è successo di restare invischiati nell'unico sistema bicamerale “perfetto” esistente al Mondo?
    Questo neo maligno che, dall'origine, deturpa la nostra Bellissima Costituzione, ha una causa storicamente ben definita: La paura del comunismo che atterriva molti italiani almeno fino al 1948.
    È noto che, alla Costituente, le Sinistre sostennero l'ipotesi unicamerale. La DC (con i suoi alleati), spinse invece per la soluzione bicamerale, puntando su un Senato delle professioni e delle Regioni. Alla fine, però, si acconciò con la minoranza per un “Senato doppione” ma con sistema elettorale diverso dalla Camera. Lo scopo inconfessato di questa scelta è chiaro: Se, come si paventava, avesse vinto di stretta misura la Sinistra, sarebbe stato molto probabile che si determinassero maggioranze alternative nelle due Camere. Con lo Stallo, tutto si sarebbe potuto rimettere in discussione. Sappiamo tutti cosa successe nella realtà.
    Questo anomalo bicameralismo ha prodotto, nei primi 40 anni della Repubblica, solo deprecabili rallentamenti nell'attività legislativa e una moltiplicazione dei costi della Politica, ma nessun problema esplosivo, nessun drammatico blocco istituzionale. Ciò, per una ragione semplicissima: La DC (con i suoi alleati), dal 1948 al 1992, mantenne ininterrottamente la maggioranza assoluta dei consensi.
    È significativo, tuttavia, che solo dopo 5 anni dal varo della nuova Costituzione, De Gasperi, durante un Congresso DC si sbilanciò: “Sarebbe tempo ormai di mettere mano al nostro bicameralismo, poiché ne riscontriamo più difetti che pregi”.
    Nel 1970, appena varate le Regioni, il grande giurista Costantino Mortati, già costituente, fu lapidario: “Occorre trasformare il Senato in una sede di rappresentanza degli Enti Territoriali”. All'inizio degli anni '80, due importanti esponenti del PCI, Ingrao e Berlinguer, ripresero con lucidità e passione il tema del necessario superamento del bicameralismo paritario.
    Seguirono 4 tentativi abortiti di Riforma:
    - La Commissione Bozzi del 1983;
    - Il tentativo De Mita-Jotti del 1992 in deroga al 138;
    - La Bicamerale D'Alema-Berlusconi del 1997 che ambiva a riscrivere tutta la IIa parte.
    - Poi, nel 2001, il Centro Sinistra, da solo, pasticciò il Titolo V (per lisciare il pelo alla Lega “costola della Sinistra”) con la procedura del 138 e conferma dal Referendum. Nel 2005, il Centro Destra, da solo, votò una Riforma limitata che venne poi bocciata dal Referendum.
    Dopo 35 anni di discussioni e tentativi inconcludenti, il Parlamento uscito dal voto del 2013 ha prima varato la nuova legge elettorale ITALICUM, e quindi ha approvato, nel quadro rigoroso dell'art. 138, una Riforma limitata della IIa parte, ma essenziale per garantire Rappresentanza e Governabilità, rendere più funzionale l'attività dell'esecutivo, del Parlamento e degli organi di garanzia. Ciò, con un risparmio stimato di ca. un Miliardo di Euro l'anno.

    LA RIFORMA IN ESTREMA SINTESI

    - Superamento del Senato doppione (-315 eletti), delle 110 Provincie (-3.246 consiglieri), del CNEL (-65 membri).
    - Rimodulazione del quorum referendario e previsione di Referendum propositivi.
    - Riscrittura del Titolo V che riporta in capo allo Stato: Protezione civile, Strategie energetiche, Reti infrastrutturali etc.
    - Creazione del nuovo Senato delle autonomie che regolerà i rapporti Stato/Regioni. 100 Senatori (senza indennità): 21 Sindaci dei capoluoghi e 74 consiglieri regionali designati dai cittadini in sede di elezioni regionali.
    Questo virtuoso processo di Riforma è sottoposto ad un fuoco incrociato di critiche serrate. Ai feroci critici “a prescindere”, che puntano tutto su un “Pronunciamentos” contro il Premier, non so che dire. A tutti coloro, invece, che hanno mosso critiche nel merito della Riforma, cerco di rispondere puntualmente, con il dovuto rispetto, facendo notare, però, che già 189 giuristi e intellettuali si sono espressi con grande favore. Nessuno vuole impedire le critiche. Ma le critiche sono criticabili?

    CRITICHE E REPLICHE

    Il Prof. Zagrebelsky, partendo dal suo originalissimo punto di vista secondo cui la nostra Costituzione è fondamentalmente proporzionalistica (ispirata cioè al presupposto della Rappresentanza più che della Governabilità) rigetta in via preliminare l'Italicum come fece con il Porcellum e Mattarellum. Non avrebbe disdegnato, obtorto collo, la semplice eliminazione del Senato, ma senza spiegare come si dovrebbero regolare i rapporti Stato/Regioni (che funzionano dal 1970). Posizione critica più unica che rara.
    Il Prof. Rodotà, non disdegna l'impianto del nuovo Senato ma sostiene che il “combinato disposto” con l'Italicum, può creare una pericolosa concentrazione di potere nelle mani della maggioranza e di chi la guida. Il numero magico cui è appeso l'argomentare di Rodotà è 438. Quando egli parla di concentrazione pensa “Piglia tutto”. Ebbene, per eleggere il Presidente della Rep. e i giudici della Consulta occorrono 438 voti a Camere riunite. Al Prof. dico: non è realistico, è un puro espediente retorico, presupporre un Senato monocolore (tutti 100 del Partito di maggioranza). Con questa Riforma non potrà esserci nessuna rottura degli equilibri e dei contrappesi anche se una Lista da sola, anziché il 40% necessario al primo turno, superasse il 50% (il premio di maggioranza non cambia).
    Il documento dei 56 Giuristi, dopo aver premesso (in aperta polemica con certi critici) che con questa Riforma non sussiste alcun pericolo di deriva autoritaria, formula tre critiche fondamentali.
    - Prima critica: la Riforma non ha coinvolto una base parlamentare abbastanza ampia.
    - Seconda critica: si sottolineano diversi inestetismi nel procedimento legislativo che regola i rapporti tra nuovo Senato e Camera, che potrebbero produrre problemi di funzionalità. Posto che, in ultima istanza e in tempi rapidi e definiti, decide sempre la Camera (come avviene tra le due Camere del bicameralismo asimmetrico tedesco), delle due l'una: Il testo originario non avrebbe suscitato, ne sono certo, la critica di prolissa formulazione. Quello “sporcato” dal passaggio parlamentare invece SI. Che si deve fare allora? Consenso ampio o purismo estetico?
    - Terza critica: si dovevano prevedere più Referendum. Se 2 o 3 soluzioni sono convincenti ma una no, perché si costringe a prendere o lasciare Tutto? I Prof. sanno che l'oggetto unitario del Referendum è la logica conseguenza del voto finale unitario del Parlamento. Più quesiti, non avrebbero, del resto, messo l'elettore di fronte ad una scelta più libera ma “cieca” (potenzialmente contraddittoria) in rapporto al “disegno costituzionale”. Questo documento, sottoscritto da ottime persone molto competenti, esprime sostanzialmente una critica blanda ma si conclude con un appello incredibilmente, stranamente, sproporzionato.
    La vulgata antagonista sostiene che questa Riforma è la fotocopia di quella di Berlusconi-Bossi. ASSOLUTAMENTE FALSO! La Devolution la bocciammo perché presentava difetti gravissimi: poteva determinare un Blocco Istituzionale – Concentrava troppi poteri sul Premier – Non risolveva positivamente il rapporto Stato/Regioni – Non cancellava Provincie e Cnel – Non realizzava alcun risparmio. In particolare: al Senato si sottraeva il ruolo fiduciario ma si lasciava la prerogativa di votare il Bilancio dello Stato - Il potere di scioglimento delle Camere passava dal Presidente al Premier – Restava intatto il buco nero della legislazione concorrente. Questa Riforma sarà pure incompleta ma è un passo decisivo.
    Solo se passerà si potrà prevederne uno sviluppo ulteriore: Riduzione dei Deputati e creazione di 10 MacroRegioni con superamento degli Statuti Speciali.
    Ai critici di merito dico: approfondite e riflettete bene.
    Tutti sappiamo cosa succederà con il SÌ; pochi immaginano le conseguenze del NO.
    “L'ottimo metafisico è nemico del meglio (e del bene)” avrebbe detto Karl Popper

    Tommaso Basileo
























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