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n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - Verona, 6 Luglio 2016

Terribile
GLOBALIZZAZIONE?

    C'era da aspettarselo che sotto la calura dell'estate 2016 scoppiasse una nuova virulenta polemica contro la Globalizzazione, dopo che tra le due sponde dell'Atlantico la rabbia popolare si è andata incanalando su movimenti e personaggi inquietanti della vandea populista.
    Come ogni esperienza umana la Globalizzazione ha i suoi sostenitori e i suoi detrattori. Molti sostenitori ne sono talmente entusiasti che non riescono a riconoscere le ombre che proietta insieme alla indiscussa luce. I detrattori, sono talmente presi dal loro cieco fanatismo antagonistico che non vedono altro che disastri.
    Una cosa è certa, questo processo, nel corso degli ultimi trent'anni, ha messo in movimento due miliardi e mezzo di esseri umani (che nel frattempo sono diventati tre) da uno stato stazionario di miseria estrema a una condizione dinamica di benessere base: due pasti al giorno, un tetto adeguato, abiti, rimedi sanitari. Questa enorme massa umana ha attraversato in un arco di tempo estremamente ristretto: scolarizzazione, inurbamento, esposizione ai media affacciandosi di prepotenza nella modernità (benessere, allungamento della vita).
    Nell'attuale processo globale di integrazione delle economie e del mercato, gli scambi tra le varie aree del mondo sono sempre meno costituiti da prodotti finiti e sempre più spesso da “componenti” (fabbricazione) e servizi generici, da conoscenze specializzate per la soluzione di problemi (ricerca, progettazione, assemblaggio), per l'individuazione di problemi (marketing, pubblicità) e per i servizi di intermediazione finanziaria, che si combinano in un tutto unico a determinare il “valore” di scambio.
    La maggior parte degli scambi non avviene, come nel passato, con transazioni a distanza tra acquirenti di una nazione e venditori in un'altra, ma tra società e individui all'interno della stessa RETE GLOBALE. Entro pochi anni, se questo processo non subirà drammatiche interruzioni per l'effetto di guerre devastanti, terrorismo o destabilizzazioni politico-sociali, sarà molto difficile distinguere una economia nazionale dall'altra.
    Gli europei e i Nord-americani rappresentano solo una parte, e destinata nel tempo a restringersi, di questo mercato globale del lavoro e della produzione che comprende l'Asia, l'Africa, l'America latina e la Russia. Le conseguenze di queste linee invisibili che solcano il pianeta sono molto numerose in termini di regole condivise, sistemi salariali e di sicurezza sociale, libertà e difese contrattuali, modelli di sviluppo, sistemi fiscali, occupazione; ma cambia anche la funzione degli Stati, della Politica e delle Istituzioni internazionali.
    Ogni uomo dotato di buon senso è favorevole al libero commercio. L'autarchia, la decrescita e il protezionismo a oltranza generano miseria. Nessuno, sano di mente, può coltivare l'ideale di barricarsi all'interno delle proprie frontiere e nessuno auspica il ritorno dei vecchi conflitti commerciali. Il commercio internazionale è necessario, ma ha bisogno di regole, convenzioni, negoziati e patti non leonini tra i suoi attori.
    Un'economia mondiale sempre più interdipendente richiede o un accordo internazionale forte per formulare e far rispettare le regole di un sistema mondiale aperto di economia di mercato o per facilitare l'adeguamento delle differenze oppure richiede un alto livello di coordinazione tra le politiche attuate dagli Stati. Senza l'uno né l'altro un'economia di mercato tenderà a disintegrarsi attraverso aspri conflitti nazionalistici sugli scambi, sugli assestamenti monetari e sulle politiche interne. Lo Tsunami finanziario del 2008, con le sue bolle speculative, ha avuto un effetto tossico sul processo di interdipendenza. Intendiamoci, l'economia è un ciclo di produzione e distribuzione di beni e servizi sorretto da un flusso finanziario: la Globalizzazione mercatizza lo spazio, la finanza mercatizza il tempo.
    TRE SONO GLI SCENARI CHE POSSONO PROVOCARE TENSIONI DISTRUTTIVE SU UN PROFICUO PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE.
    Scenario già visto.
    In una economia globale aperta abbiamo visto manifestarsi inaccettabili casi di dumping ecologico e sociale e due fenomeni tipici: o le persone si spostano dove i salari sono elevati (migrazioni) e li fanno ribassare, o la produzione si sposta dove i salari sono bassi (delocalizzazione) e li fa rialzare. I movimenti si stanno realizzando da trent'anni nei due sensi contestualmente. Alla lunga si realizzerà quella che gli economisti definiscono “equalizzazione del prezzo dei fattori”. Il problema è che ci vogliono decenni e nel frattempo una generazione rischia di perdere il suo turno normale di vita.
    Scenario in corso.
    La Globalizzazione ha la caratteristica di separare geograficamente, culturalmente e psicologicamente l'offerta dalla domanda. Questa caratteristica sta provocando due fenomeni pericolosissimi per gli equilibri globali:il collasso graduale della domanda globale e l'avvento di una economia psichedelica fondata sul credito. Gli imprenditori, nel mercato aperto globale, non hanno più la sensazione di alimentare, per mezzo delle retribuzioni che pagano ai dipendenti, una “domanda” che li riguarderà. Tutto viene iscritto tra i costi che si devono comprimere (in USA si abbassano i salari, in UE cresce la disoccupazione). Una simile configurazione logica crea le condizioni ideali per un ritardo sistemico della domanda complessiva rispetto ai miglioramenti di produttività generabili dal progresso tecnico (Industria 4.0). Ad un certo punto sarà la stessa crescita che dovrà abbassarsi adeguandosi al ritardo tendenziale della domanda. Anche il tumultuoso dinamismo di CINDIA non potrà, senza potenziare la propria domanda interna, resistere di fronte al cedimento della domanda aggregata delle società sviluppate.
    Scenario futuribile. La vecchia idea del vantaggio comparativo diventa sempre più arbitraria. Essa dipendeva, sostanzialmente da due fattori: la dotazione di risorse naturali e la dimensione produttiva. Se avevi petrolio mettevi su un'attività petrolifera. Se avevi buoni terreni agricoli ti davi all'agricoltura e alla zootecnia. Se eri ricco di capitali e di conoscenze creavi industria ad alta intensità tecnologica. Oggi la competizione si sviluppa intorno a settori ad alta intensità di competenze -nuovi materiali- microelettronica – robotica -ingegneria genetica- e non c'è una sede geografica naturale per questi settori. Possono funzionare in qualunque angolo della terra. Chiunque può competere in questi settori, se riesce ad attrarre i capitali e a organizzare adeguatamente le competenze necessarie.
    È inutile illudersi e illudere che si possa rapidamente e in modo indolore riportare indietro l'orologio della Storia. Sarà alquanto complicato ripristinare a livello globale il circuito virtuoso che si era realizzato (nei 30 anni d'oro), dentro i perimetri nazionali, quel dinamismo della domanda con un grande consenso sociale fondato sulla ripartizione dei frutti della crescita. Tuttavia, politiche fiscali insieme non soffocanti e redistributive, nonché politiche che spalmino i tempi di lavoro si dovranno sperimentare.
    Anche la discussione che si è accesa sul “protezionismo di settore” si collega a una più forte consapevolezza di tutti questi scenari e problemi. Non so dire se potrà essere una soluzione, sono diversi gli economisti che sostengono che può diventare particolarmente attraente per i singoli paesi e Aree geopolitiche. I Governi potrebbero, secondo costoro, riuscire ad acquisire alcuni benefici dell'interdipendenza senza i costi inerenti ad un regime commerciale completamente liberalizzato che rischia di minare la coesione sociale.

    Tommaso Basileo
























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