L'ISTRICE


Quando le notizie pungono


Le Rubriche


 

Sommario

Libri

SeBook

Ex Libris

Dialettando.com

Home Page Simonel

The Web Park Speaker's Corner

   

 

n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - Verona, 25 Giugno 2016

La Brexit non è
l'effetto esclusivo
della vocazione insulare
del Regno Unito

    LE MACRO-TENDENZE E LA STORIA
    I rapidi mutamenti, provocati dall'ultima Mondializzazione, nella localizzazione geografica delle attività economiche, hanno modificato la distribuzione della ricchezza e della potenza con effetti importanti e duraturi sullo stato di benessere delle popolazioni, accentuando le tendenze conflittuali tra gli Stati oltre al malessere, al rancore sordo e alle paure per il futuro dei cittadini.
    La Storia ci insegna che questi conflitti in passato hanno condotto a frequenti “guerre egemoniche” che avevano lo scopo di determinare chi avrebbe dominato nella nuova gerarchia internazionale. Nel Secolo scorso questi problemi sfociarono in due grandi guerre mondiali che funzionarono, in ultima analisi, come i test dei cambiamenti nella potenza relativa tra le nazioni.
    Non dobbiamo dimenticare che la Grande Depressione del '29 riuscì quasi a distruggere sia il capitalismo che la Democrazia e provocò una guerra disastrosa. Tuttavia, nei primi 30 anni del dopoguerra si realizzò una crescita robusta, le recessioni furono brevi e poco gravi, anche perché tutti i Paesi sviluppati si erano attrezzati per controllare attivamente il ciclo economico con un successo considerevole fino agli anni '70. Quelli furono gli anni d'oro della sicurezza e delle aspettative crescenti.
    La decadenza del ruolo egemonico americano, le difficoltà a costruire una leadership pluralista, i problemi monetari, finanziari, commerciali (che hanno provocato la nascita dell'Euro) e quelli legati ai debiti sovrani stanno creando divisioni e diffidenze profonde, anche fra gli Stati dell'Eurozona, soprattutto dopo lo tsunami del 2008 che non ha avuto lo stesso impatto della crisi del '29 ma ha determinato una recessione durata il doppio, che ha destrutturato in profondità l'economia reale di tutti i paesi e le condizioni sociali di milioni di persone.

    LO STATO DI CRISI VISSUTO IN EUROPA DA CITTADINI E IMPRESE
    La peculiare vocazione insulare inglese corrisponde, grosso modo, ai residui, resistenti e crescenti sentimenti nazionalistici che covano in tutta Europa, tranne forse che in Italia.
    Ma questo è solo uno degli ingredienti che caratterizzano e alimentano la rabbia e la paura montante nel vecchio Continente.
    Alle povertà endemiche storiche che sfociano nell'anomia o nella malavita (fallimenti dello Stato), si deve aggiungere una quota importante di lavoratori che con la crisi hanno perso il posto di lavoro, una quota imponente di giovani che non riesce a lavorare, a centinaia di migliaia di piccoli imprenditori che, travolti dalla recessione, hanno perso tutto mantenendo solo i debiti contratti (verso fornitori – banche – fisco).
    Una fetta consistente del ceto medio che resiste in uno stato di benessere dignitoso o più che sobrio è terrorizzato di poterne perdere anche solo la millesima parte.
    Si aggiungano i timori che la gente nutre verso le politiche di austerità, il terrorismo, le risposte deboli all'immigrazione, le paure, persino, nei confronti dello sviluppo tecnologico (tranne quello che riguarda la medicina) che riduce il lavoro, o dell'inquinamento che incide negativamente sulla salute ecc. ecc.
    Ognuno di questi malesseri e paure produce nelle società libere e aperte un'offerta di rappresentanza politica che raramente propone soluzioni ma, in generale, si presta ad amplificare lo stato di indignazione delle persone. Lo stesso identico meccanismo investe gli strumenti della comunicazione che, tranne pochissimi esempi virtuosi, tendono non ad informare adeguatamente i cittadini ma a fare esplodere le tensioni accumulate nella società.
    Questo malessere non fermenta solo in Gran Brategna ma in tutta l'Europa continentale. Di qui il disagio, l'incertezza e i pericoli (se non si cambia in fretta registro).

    IL VOTO REFERENDARIO IN GB
    Il 75% dei giovani inglesi ha detto NO all'uscita dall'UE. Il 65% di anziani e vecchi (molto più numerosi) ha detti SI all'uscita. Impressionante la presa d'atto che l'unica concentrazione geografica (insieme all'Ulster e all'area metropolitana di Londra), dove il fremito europeista ha vinto a mani basse, coincide con la Regione (la Scozia) a Nord del Vallo Adriano: il limes romano costruito 1.891 anni fa, perché le bellicose tribù dei Pitti non volevano sottomettersi alla civilizzazione dell'Impero.
    L'ostilità subconscia, strisciante, inglese ma anche americana nei confronti dell'Europa continentale è antica e arcinota: il timore che l'UE, dotata di una propria moneta, configurasse il nucleo di una superpotenza dominante sull'Eurasia intera – quel mostro contro cui inglesi e americani si battono da sempre che si chiami Napoleone, Hitler o Stalin.
    Registriamo l'entusiasmo, oltre che di tutti i leader nazionalisti europei, del candidato alla Casa Bianca Donald Trump. Quest'ultimo confesso di comprenderlo. Il suo sogno di tornare indietro, disarticolare l'Europa, ogni Stato con la propria monetina ci ripiomberebbe nell'incubo del signoraggio del dollaro: disporre della moneta in cui avvengono gli scambi internazionali equivale a essere il doganiere delle transazioni valutarie, la cruna dell'ago da cui deve necessariamente passare chiunque voglia commerciare in valute minori. Mica fesso il parruccone!
    Chi pagherà la Brexit? Tutti, chi economicamente chi in crescente instabilità politico-istituzionale.

    Tommaso Basileo
























© Copyright Simonelli Editore - All the rights are worldwide reserved