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n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - Verona, 6 Aprile 2017

Riuscirà Trump a distruggere Libero Mercato e Impero?

    Non c'è nulla nella vita degli uomini che sia destinato a durare in eterno: di qui la fallacia di tutte le Filosofie della Storia. E' inutile, quindi, inorridire osservando la brusca svolta di impostazione strategica dall'offerta, nel 1914 di Woodrow Wilson, che iniziò ad attribuire all'America, non ancora un ruolo imperiale ma un ruolo “salvifico”, sovraordinato nella geopolitica mondiale (ruolo che ha resistito, formalmente, fino alla presidenza Obama), all'attuale offerta del capo della Casa Bianca, installatosi dal 20 gennaio 2017, che definisce la Globalizzazione la causa specifica del declino del suo Paese, e invoca, nello stesso tempo, l'emancipazione dal “fardello” imperiale.
    Tentiamo di mettere i puntini sulle i evitando la solita propaganda.
    Finito il mattatoio della seconda Guerra Mondiale, con l'esaurimento del dominio coloniale europeo, soprattutto anglo-francese, gli Stati Uniti, che erano stati la culla dell'antiperialismo moderno (per questo ci fece reagire la guerra del Vietnam), invertirono la rotta e gettarono le fondamenta del loro possente Impero.
    Il Washington consensus fu definito su: libero mercato, Stato di diritto e governo rappresentativo. Il dominio monetario, con il possesso dell'unica moneta di riserva e di scambio, ne costituiva il corollario. Gli Stati Uniti si attrezzarono militarmente a questo fine e restano l'unica potenza in grado di intervenire in ogni angolo del pianeta, grazie alle sue 745 basi militari, alle sette flotte e al predominio satellitare.
    Nel 1947 Washington varò il famoso Piano Mashall. Gli Stati Uniti consentirono ai paesi occidentali, aderenti alla comunità atlantica, di rimettersi in sesto e di accedere senza limiti al proprio mercato senza pretendere in cambio lo stesso trattamento. Del resto, l'Europa era un cumulo di macerie (grazie alla follia fascio-nazionalista) e gli americani, cominciarono ad usare il deficit commerciale come arma tipica della potenza dominante, connotato naturale dell'egemonia.
    Dopo l'implosione dell'Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, nel 1991 gli Stati Uniti diventarono l'unica Superpotenza superstite. Non c'era più alcun limite perché potessero estendere il proprio potere militare, commerciale e culturale. L'Impero, quasi per un riflesso condizionato, aprì il proprio mercato a numerosi nuovi paesi, alleati e antagonisti, senza pretendere perfetta reciprocità, per inserirli nel nuovo sistema internazionale globale.
    Lo sviluppo del Reticolo economico globale (che ho descritto in un altro articolo di questa rubrica) ha effettivamente prodotto negli Usa una massiccia deindustrializzazione, paragonabile a quella della Gran Bretagna.
    Il deficit commerciale USA è passato dai 31 miliardi di dollari del 1991 ai 750 miliardi del 2016. Specularmente a questo enorme deficit USA, si stagliano i surplus miliardari di molti Paesi (Cina 347 – Giappone 68,9 – Germania 64,9 – Messico 63,2 – Irlanda 35,9 – Vietnam 32 – Italia 28,5 – Corea Sud 27,7 – Malaysia 24,8 – India 24,3 – Thailandia 18, 9 – Francia 15,8 ecc.).
    Lungi dall'essere letto come un segno di fragilità dell'Impero, questo legame finanziario è fin qui stato vissuto come un segno dell'inferiorità e debolezza della periferia nei confronti del Centro. Infatti, Cina e altri Paesi asiatici sono costretti ad acquistare titoli di Stato USA per mantenere apprezzato il dollaro e reinvestire, valorizzandoli, i loro surplus.
    A seguito dello tsunami finanziario del 2008, il cui epicentro si è sviluppato proprio nel cuore dell'Impero, il Debito Pubblico USA è schizzato dal 68% al 119% del Pil (quello UE dal 60% al 100%), collocandosi al secondo posto dopo il Debito giapponese che viaggia sul 228%.
    Inoltre, tra il 1991 e il 2016 la nuova immigrazione residente negli USA è passata da 20 milioni a 49 milioni. L'assimilazione di milioni di immigrati ha consentito all'America di mantenere la propria popolazione più giovane e vitale (età media 37,9 anni, contro i 46,9 dell'UE). Tra il 1991 al 2016, però, la classe media americana è scesa dal 56% al 49%. Il segmento a basso reddito è passato dal 25% al 30%. C'è stata una perdita netta di ca. 3 milioni di posti di lavoro, nonostante gli sforzi coerenti di Obama negli anni della sua presidenza.
    Con la nascita dell'Euro nel 2001, moneta espressione del più potente blocco economico mondiale e i primi vagiti dello Yuan, il predominio assoluto del dollaro come unico strumento di riserva e di scambio si è fortemente ridimensionato.
    LIST BUT NOT LAST. Sullo sfondo degli oltre 60 anni post-bellici, senza Guerra Totale, con i primi 30 anni gloriosi di crescita occidentale e i secondi 30 di globalizzazione con la crescita del Terzo Mondo, si staglia un piccolo dettaglio da tutti trascurato: LA POPOLAZIONE MONDIALE, IN 60 ANNI, È RADDOPPIATA.
    Assisteremo alla fine dell'America imperiale per alleggerire i ceti medio-bassi americani da questo fardello strategico? Abbiamo capito tutti che non si può essere insieme Superpotenza e Nazione mercantilista. Ma, una Superpotenza può andare in pensione senza far esplodere un pericolosissimo disordine planetario? Senza lasciare il tempo necessario perché si sviluppi un sano ed equilibrato Multilateralismo?
    Potrà Trump realizzare questo suo pericoloso disegno? Una cosa è pretendere che gli alleati forti, Europa e Giappone comincino a pensare per conto proprio alla loro protezione. E' un argomento che frulla da vent'anni, non lo ha inventato Trump. La Pax Americana è in fibrillazione dalla fine dell'antagonista principale. Intanto, non stimando più affidabile l'ombrello USA, è già cominciato il riarmo giapponese e in Germania si comincia a discutere dell'opportunità di dotarsi di armi atomiche.
    Il legittimo obiettivo di ricostruire le basi della manifattura americana e ridimensionare il deficit commerciale, è ragionevole realizzarlo innalzando barriere doganali?
    LO STRUMENTO DELLE BARRIERE DOGANALI è idoneo a creare uno scudo protettivo per un paese debole, sottosviluppato, che intende fare i primi passi nell'industrializzazione. Un colosso economico come gli USA, secondo solo all'UE, dovrebbe adoperare tutti gli strumenti della Politica industriale insieme alla leva degli incentivi fiscali o, al limite, dei contingentamenti mirati. Gli USA sono più liberi di noi europei nella scelta delle strategie per lo sviluppo. Non sono vincolati alla stupida regola che inibisce gli “AIUTI DI STATO”: approccio ideologico, almeno quanto lo statalismo.
    La scelta di adottare i DAZI è una follia per gli USA e per il mondo intero. La realtà che rischia di disintegrarsi per prima è proprio quella degli USA.
    Un presidente americano, mi chiedo, ha il potere di cambiare la strategia nazionale, la sua Agenda consolidata? Glielo lasceranno fare il Congresso e gli apparati Federali?
    Insomma, siamo giunti al paradosso: la Globalizzazione come missione universale non scalda più i cuori di buona parte dell'opinione pubblica occidentale, in compenso, abbiamo ascoltato recentemente, a Davos, una sua appassionata apologia da parte del Presidente comunista cinese Xi Jinping. Sembra UN MONDO SOTTOSOPRA, ma è poi così?

    Tommaso Basileo

























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