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Verona, 25 NOVEMBRE 2018

Antefatto Risorgimentale: la Rivoluzione partenopea del 1799?

    La costruzione di scenari storici controfattuali, non ha nulla da spartire con la storiografia ufficiale. Questo è certo e lo sappiamo bene. Tuttavia, rappresentano in diversi casi, a mio parere, un'osservazione feconda sul passato che dilata la riflessione sui fatti e sulle potenzialità positive o negative dei vari personaggi, dei vari eventi e, soprattutto, aiuta a dissipare molti pregiudizi incartapecoriti reiterati nel tempo.
    In quel glorioso 1799 successe un vero e proprio “miracolo” a Napoli. Certificato, peraltro, dal ripetuto, complottardo, scioglimento del sangue di San Gennaro (che, infatti, per quell'anno, fu rinnegato dal popolo e sostituito pro-tempore con Sant'Antonio da Padova). La migliore intellighenzia partenopea, intrisa di cultura umanistica illuminista, gettò il cuore oltre l'ostacolo: Mario Pagano, Eleonora de Fonseca Pimentel, Ignazio Ciaia, Francesco Conforti, Domenico Cirillo, Vincenzo Russo, Ettore Carafa, Gabriele Manthoné, Giuseppe Goloteta, Francesco Caracciolo.
    Appena si formò il Governo repubblicano dovette subito organizzare le sue difese militari. Ci furono pochi giorni di combattimento, in verità, poco violenti e poco partecipati, poi i patrioti dovettero rifugiarsi dentro i forti di Napoli e al riparo delle trincee sul molo. All'assalto dei “lazzaroni” s'aggiunsero pure le forze Russo-Turche chiamate in soccorso dai Borboni.
    Le idee Riformiste assunte dalle più colte, cosmopolite e progressiste élite partenopee (intellettuali, borghesi e qualche nobile) partivano da un assunto di fondo: La Libertà è un bene perché produce molti altri beni, come la sicurezza, l'agiata sussistenza, l'esenzione dei tributi iniqui e vessatori. La nazione napoletana voleva essere liberata dal giogo dei baroni, voleva la divisione di quelle immense terre accumulate nelle mani di questi signori, degli ecclesiastici e degli esattori delle tasse. Non tumulti, non massacri, non violenze sanguinose accompagnarono la rivendicazione dei suoi diritti. Improprio o solo propagandistico e denigratorio fu definire quella rivoluzione giacobina. Come chiarì, in seguito, il grande storico Vincenzo Cuoco: “Le idee della rivoluzione di Napoli avrebbero potuto essere popolari ove si avesse voluto trarle dal fondo stesso della nazione. […] Se mai la repubblica si fosse fondata sui bisogni e sugli usi del popolo, se un'autorità che il popolo credeva legittima e nazionale, invece di parlargli un astruso linguaggio che esso non intendeva, gli avesse procurato dei beni reali e liberato lo avesse da quei mali che soffriva: forse allora il popolo non allarmato all'aspetto di novità, forse vedendo difese le sue idee e i suoi costumi, forse...chi sa”
    Dopo la partenza del Macdonald, ai primi mesi di maggio, non erano rimasti nella Repubblica partenopea che pochi presidi francesi; il governo repubblicano si trovò abbandonato alle sue forze modeste. Il cardinale Ruffo (non un bieco reazionario, per la verità) continuò la sua marcia dal sud. Le poche forze di cui la Repubblica disponeva non erano assolutamente sufficienti a frenare la marcia dell'armata sanfedista, alla quale andava l'appoggio di quasi tutta la popolazione.
    Invano, il cardinale Ruffo, persuaso dell'opportunità di una politica di riconciliazione che non scavasse un solco troppo profondo tra la monarchia napoletana e le menti più vive e colte dei sudditi, cercò di arrivare ad un armistizio senza l'uso estremo della violenza.
    L'ammiraglio inglese non ne volle sapere però di riconciliazione.Tutti i sostenitori della rivoluzione furono imprigionati e trucidati, praticamente, con processi sommari di cui non vennero conservate neppure le documentazioni.
    La violentissima repressione napoletana non creò soltanto il vuoto morale e intellettuale intorno alla monarchia borbonica, ma, fece retrocedere ogni indirizzo di progresso civile, economico e morale, nel Sud d'Italia, nel quale, prima di quegli eventi rivoluzionari, si potevano intravvedere timidissimi sentimenti di emancipazione e di indipendenza orientati a costruire, in futuro, lo Stato Unitario italiano.
    TUTTO lo scenario del processo risorgimentale sarebbe stato diverso con il successo della Rivoluzione partenopea. Non tanto perché sarebbe, addirittura, potuto partire dal Sud. Ma, di sicuro, avrebbe perso senso la spedizione dei mille e la relativa modalità di annessione volontaria a giochi ormai fatti. FORSE, non si sarebbero sviluppati neppure i feroci fenomeni del brigantaggio. FORSE, il Meridione, non sarebbe diventata la palla al piede del nuovo Stato Unitario. FORSE

    Tommaso Basileo

























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