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Verona, 3 Novembre 2017

Salvaguardare l'autonomia
dell'uomo, ma come?

    “La libertà non è star sopra un albero/ Non è neanche il volo di un moscone/ La libertà non è uno spazio libero/ Libertà è partecipazione”.
    Fantastico e attualissimo l'approccio poetico di Gaber al tema dell'autonomia dell'uomo. Nel frattempo, però, la Società Aperta ha messo tanta carne al fuoco, ha messo ogni uomo a stretto contatto, porta a porta, faccia a faccia, con i problemi esistenziali dell'intero Pianeta.
    Nessuno sceglie di nascere qua o là, in giro per il mondo. Né sceglie di nascere con un colore della pelle o degli occhi piuttosto che con un altro. Con un certo corredo di dotazioni genetiche piuttosto che con un altro. In una certa famiglia piuttosto che un'altra. E così via.
    Sappiamo che questa lotteria naturale e sociale delle dotazioni naturali e sociali iniziali delle bambine e dei bambini può determinare il loro destino, il loro intero piano di vita. E alcuni saranno avvantaggiati, rispetto ad altri, e alcune saranno svantaggiate rispetto ad altre, senza loro responsabilità. Per il semplice fatto di aver pescato il biglietto vincente o perdente dall'urna.
    La prima domanda che ci facciamo è questa: è giusto che le cose vadano così? La seconda domanda è: gli Stati e le politiche possono fare qualcosa per ridurre l'effetto che sulle prospettive di vita delle persone ha l'arbitrarietà delle loro dotazioni iniziali?
    Primo:non possiamo accettare che il destino delle persone sia dominato e plasmato da circostanze sociali, economiche, culturali, istituzionali che giacciono al di fuori del loro merito, delle loro scelte e responsabilità. Accettare ciò vorrebbe dire semplicemente buttare dalla finestra tutto il patrimonio ideale Illuminista e far rientrare dalla porta, l'ancien régime. Destini legati unicamente al censo non si addicono alla vita democratica.
    Secondo: gli Stati e le politiche dovrebbero mirare con le loro scelte pubbliche a ridurre gli effetti pervasivi che sui piani di vita delle persone esercita la lotteria naturale. La dignità degli Stati e delle politiche non può consistere nella distribuzione di sussidi di sopravvivenza ma nella produzione di norme che abilitino le persone all'esercizio della loro autonomia. In altri termini, la politica deve favorire l'uguaglianza delle opportunità per le persone, avendo di mira la massimizzazione delle loro libertà e delle loro capacità di scegliere se stesse nel tempo, nel senso affermato da Amartya Sen.
    Naturalmente, i provvedimenti dei Governi sono mezzi, e la scelta dei mezzi adeguati ed efficaci dipende dalle mutevoli circostanze, in cui la politica si trova a perseguire il fine dettato dalla convinzione di base dei politici di turno. I mezzi non possono non essere mutevoli, nello spazio e nel tempo, perché mutevoli sono i volti dell'ingiustizia e mutevoli le forme della questione sociale, dal capitalismo manchesteriano, ovunque persista, al turbocapitalismo della globalizzazione dei mercati finanziari, ovunque ci accada di essere e convivere.
    Potremmo, però, assumere almeno una buona massima generale di saggezza del tipo: “Mercato fin dove è possibile, Stato dove è necessario”.
    Che si tratti di potere economico o di potere religioso, di potere professionale o di potere culturale, di potere sui corpi o sulle anime, di potere tecnologico sulla nuda vita,il principio dell'autonomia delle persone deve funzionare come vincolo sui modi degli impieghi del potere democratico. Di qui, l'importanza per le persone di poter scegliere se stesse nel tempo. Quindi, scegliere come far entrare e come uscire dalla vita; scegliere la propria compagnia per la vita e i differenti modi per intrecciare vite; scegliere come identificarsi con altri in una qualche cerchia di mutuo riconoscimento; queste cose ed altre ancora, costituiscono la mutevole gamma degli esperimenti di vita per persone autonome.
    Ma qual è, al giorno d'oggi, in tutto l'Occidente evoluto, l'offerta politica, la ricetta su questo tema spinoso? Come possiamo ridare spazio alla speranza nelle società dell'incertezza e della paura? La risposta sarebbe il ritorno alla società chiusa, che ritrova le sue radici con un rinnovato elogio della tribù?
    La politica Progressista non può accettare come suo job full time quello di generare paura della diversità a mezzo di paura. Né può impegnarsi nell'offerta di una comunità illusoria di una società chiusa e tribale. Né, infine, può correr dietro ai processi di costante inflazione identitaria che affollano in modo reattivo il teatro delle società liquide, esposte all'incertezza percepita come disvalore. E non perché a tutto ciò ci pensa da par suo la destra, sullo sfondo di un pensiero retrogrado più che conservatore che, sulla base di una differente versione e narrativa della democrazia, pullula di offerte di comunità morali omogenee, fondate sulla vecchia idea “società chiusa e mercati protetti”. Semplicemente, perché le politiche della paura contraddicono alla radice il principio base dell'autonomia delle persone, come cittadini e cittadine, agenti morali liberi ed uguali.

    Tommaso Basileo

























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