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Verona, 10 Novembre 2019

Sarà Putin a capeggiare la nuova guerra-fredda contro
“la società aperta”?

    Da quando nel 1999 è salito al potere, Putin ha ripristinato il controllo sui media, eliminato le libertà di associazione e di riunione, affidato il controllo dell’economia a suoi portaborse selezionati, e concentrato il potere nella sua carica.
    Niente di nuovo sotto il sole. La sua linea politica fa parte di una secolare storia russa di leadership autocratica. La Russia ha sempre sofferto di un rapporto schizofrenico con il mondo esterno. Lo zelo per il controllo dall’alto è sempre stato in contrasto con l’esigenza di una maggiore apertura sul mondo. Mentre leader come Pietro il Grande, Caterina la Grande e Michail Gorbaciov si sono impegnati ad aprire la Russia a nuovi modi di pensare e di fare affari, gran parte degli zar e dei premier sovietici, e oggi Putin, hanno voluto imporre il controllo non solo sulla politica della Russia, ma anche sulla sua società, sulla sua economia e persino sul suo pensiero. Putin, ex agente del Kgb, è un elemento sintomatico di questa tendenza nella storia russa. Ma il Ventunesimo secolo potrà diventare un’epoca orribile per i fanatici del controllo.
    L’atteggiamento paranoico di Putin verso il mondo esterno è di per sé in contrasto con le necessità di un’economia moderna che sia in regime di totale mercato libero o di mercato relativamente libero come in Cina.
    Per aver successo nella prossima ondata di globalizzazione e innovazione, una società deve essere aperta per poter scambiare nuove idee, condurre ricerche libere da interferenze politiche (altra cosa sono le sinergie con lo Stato auspicate dalla Mazzucato) e perseguire progetti creativi, anche senza la certezza del successo. L’innovazione richiede questo genere di apertura. Non può vedere i mercati esterni come territorio nemico o come spazio da predare.
    Durante il breve periodo in cui Putin è rimasto sullo sfondo e Dmitri Medvedev ha assunto la funzione di presidente, Medvedev ha fatto il tentativo di creare una versione russa della Silicon Valley a Skolkovo, nei pressi di Mosca. La Fondazione Skolkovo si mise a seguire passo dopo passo lo schema “come impiantare una Silicon Valley” stilato da Marc Andereessen. Un totale di 2,5 miliardi di dollari è stato investito in una lista di partner aziendali chiamati a partecipare, tra cui Microsoft, Ibm, Cisco e Samsung.
    Il progetto Skolkovo è andato a picco non appena Putin è tornato alla presidenza e ogni speranza di una cultura portata all’innovazione è andata perduta. In clamoroso contrasto con la linea libertaria della Silicon Valley, il giro di vite di Putin comprendeva la discriminazione degli omosessuali e, per le donne, rinascevano restrizioni in quattrocentocinquantasei specifiche attività. L’impiego di non russi a Skolkovo era sparito quasi del tutto.
    Non saprei dire se Putin non capisce – o proprio non gli interessano – le realtà di base su come viene oggi prodotta la crescita nell’economia globale (in casa nostra abbiamo i sovranisti illusi che stampando moneta si cancella ogni limite). Imprigionato in una mentalità ottocentesca in cui terra, potere e popolo sono fisicamente controllati, gli sfugge la realtà del potere nel Ventunesimo secolo. La natura del successo economico in un’economia basata sull’informazione è ben diversa da quella di un’economia prevalentemente industriale o agricola, dove ferro e terra sono sovrani.
    Possono le basi geografiche per le industrie del futuro mantenere un carattere di apertura anche in società restrittive?
    Negli ultimi decenni la Cina ha dimostrato che un paese con un’economia in una certa misura aperta e un sistema politico chiuso può conseguire la crescita, ma ad una condizione: se dispone di operatori della conoscenza e di centri manifatturieri.
    Se le strade dello sviluppo economico tra Putin e Xi Jinping non hanno mai avuto e, probabilmente, non avranno nulla in comune, i due leader stanno però ritrovando un terreno di avvicinamento, con mezzi diversi, nel tentativo di orchestrare l’assedio alle democrazie occidentali ritenute, alla lunga, deboli e perdenti. Il loro intento è corroborato dalle inaspettate intemperanze di Trump e, per altri versi, di Erdogan e ha come punto d’impatto l’Europa. Sta prendendo corpo una nuova “Guerra fredda” con lo scopo esplicito di scompaginare la NATO e costringere l’Occidente, ma soprattutto l’UE, a ritirarsi da tutti i suoi residui spazi strategici.

    Tommaso Basileo

























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