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Verona, 23 MAGGIO 2019

Potremo vivere in futuro senza gli Standard?

    La risposta implicita a questo quesito per complottisti e neo-nazionalisti con il vento in poppa è scontata: SÌ, potremo. Un sociologo della Michigan State University, Lawrence Busch, ha dedicato a questo tema un saggio dal titolo “Standard Recipes for Reality”. Ricette per la realtà, nientemeno. In effetti, nonostante i numerosi semplificatori della complessità che circolano ai nostri giorni, la realtà che ci circonda da un paio di secoli è regolata e definita dagli standard.
    La realtà, incomprensibile a coloro che pretendono di rinchiudere i popoli dentro i perimetri nazionali, è che l'assenza di uno standard globale uniforme può irritarci, gettarci nel panico, o divertirci come un curioso anacronismo che ci riporta a un mondo premoderno, segnato da distanze insormontabili. Chi non resta perplesso di fronte al fatto che l'America si ostina a misurare le sue lunghezze in pollici, piedi e miglia, e il peso in libbre, quando il resto del mondo ha adottato il sistema metrico decimale? O arrivare in un hotel in un altro continente e scoprire che le prese elettriche sono diverse? Ma questi per fortuna sono rari esempi al contrario, le eccezioni, in un mondo che ci rassicura, ci tranquillizza e funziona: il nostro mondo regolato dagli standard.
    Gli standard sono essenziali quasi come l'aria che respiriamo, e infatti come l'aria sono diventati invisibili, li diamo per scontati. Ci sembra assurda l'idea che possano non esistere. Ve l'immaginate se ogni città avesse una regola diversa sul colore dei semafori o sui tipi di segnaletica? In un'epoca non lontanissima il mondo era proprio fatto così. Un mondo dominato dall'imprevedibilità, dalla non traducibilità, dalla non riproducibilità delle cose.
    L'obiettivo della produttività fu un passaggio decisivo per l'affermazione degli standard. L'industria del primo Novecento fece un balzo enorme di efficienza, a cominciare dagli Stati Uniti, con la rivoluzione taylorista.
    La misura del tempo, però, non è l'unico standard che dice quanto siamo immersi in una realtà globale. Dalla qualità del cibo che compriamo al tipo di benzina che mettiamo nel serbatoio dell'auto, il consumatore contemporaneo vive in un universo protetto dagli standard. Ce ne sono di poco percepibili eppure perfino più essenziali. Immaginiamo cosa sarebbe lo stato della medicina e della nostra salute se una radiografia fatta in un particolare laboratorio non potesse essere letta in un altro laboratorio, per mancanza di standard comuni negli apparecchi a raggi X. Tutti gli esperimenti della scienza moderna si basano sul principio di comparabilità, quindi di standardizzazione. Non riusciamo neppure a immaginare un mondo in cui il testo che sto scrivendo sul mio computer non sia leggibile su un computer di marca diversa. È inconcepibile che una email partita da un indirizzo Gmail non arrivi a buon fine se il destinatario ha la posta su Fastweb; o una chiamata da un cellulare Samsung non raggiunga un iPhone della Apple.
    Credo si possa dire che la standardizzazione ha inizio con l'Illuminismo perché quella filosofia segna una cesura rispetto alle epoche precedenti: è l'inizio di una storia fondata sulla fiducia nella ragione umana, quindi la ricerca di valori universali. Da lì discende la ricerca di criteri comuni e omogenei, dalle scienze alla tecnica. Ma, poi, la produzione di massa, la specializzazione del lavoro, l'apertura di nuovi mercati richiedono degli standard. A volte, questi vengono calati dall'alto, altre volte emergono faticosamente dopo una concorrenza e selezione, oppure vengono adottati per imitazione di un modello vincente.
    In epoche recenti, interi settori di nuove tecnologie sono stati campi di battaglia fra standard diversi: Vhs e Betamax all'epoca delle videocassette; poi Blu-ray (Sony) e Hd Dvd (Toshiba); Flash e Html nei video digitali. Il consumatore sa che puntare sullo standard perdente può costargli caro: significa mettersi in casa o in ufficio un apparecchio o un software che dopo qualche anno diventerà un oggetto da museo. Quindi siamo tutti favorevoli agli standard? Quasi tutti. C'è una corrente critica che vi vede una forma di impoverimento della creatività. Altri che sostengono ci sia il rischio che gli standard concordati fra grandi gruppi industriali non siano i più efficienti.
    Una delle invenzioni che hanno fatto crollare i costi dei trasporti e del commercio ha un'apparenza banale: è una scatola di metallo. Possiamo, addirittura dire che l'economia moderna non sarebbe quella che è se negli anni cinquanta non fosse iniziata la standardizzazione delle misure del container, la “Scatola globale” che sposta merci su gomma, rotaia e nave da un continente all'altro. L'abolizione di differenze tra i container li rende intercambiabili e li fa viaggiare senza intoppi.Fino alla diffusione del container standard, il trasporto delle merci non avveniva in un flusso unico, ma con una serie di passaggi continuamente interrotti e spezzettati: dalla nave al treno al camion, ogni volta che cambiava il mezzo bisognava scaricare e ricaricare fisicamente il contenuto a braccia. Un'idea semplice, ma nessuno ci aveva pensato prima. Dalla metà degli anni Sessanta in poi, per decenni il commercio internazionale aumentò a ritmi molto superiori rispetto alla crescita delle economie nazionali. Prima d'incappare nella grande crisi del 2008, e nei dazi di Donald Trump, per quasi mezzo secolo gli scambi fra nazioni erano stati il motore dello sviluppo globale.
    È di qualche giorno fa la notizia che Google ha annullato la licenza nei confronti di Huawei. A fine 2018, l'88% degli smartphone in circolazione usava Android come sistema operativo. Chi c'è dietro Android? C'è Google. Una domanda sorge spontanea: è ammissibile che Google possa fare il bello e il cattivo tempo condizionando l'evoluzione tecnologica e commerciale di importanti società di TLC, dalla sua posizione praticamente monopolista?
    In fondo, se riflettiamo bene, quella di Google nei confronti di Huawei, è una manovra strategica che (sia pur fortemente sollecitata dall'amministrazione Trump), attraverso la demolizione del principio degli standard, cerca di mettere con le spalle al muro un colosso societario emergente.
    UN VERO E PROPRIO SALTO INDIETRO E NEL BUIO

    Tommaso Basileo

























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