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Verona, 24 APRILE 2019

Politica o Bazar degli Algoritmi?

    Da due decenni la parola “autoreferenziale” imperversa nei circoli intellettuali con la stessa noiosa serialità con la quale, un tempo, imperversava la parola “alienazione”. Qual è l'esito finale di questo accostamento tra paradigmi scientifici e cultura Politica? È privo di senso distinguere tra fini tecnici e valori politici? È ormai necessario dedicarsi solo ad una politica che si assuma il carico di far fronte alla metamorfosi tumultuosa della tecnologia?
    IN ALTRI TERMINI: se è vera la tesi di Emanuele Severino, che il dominio dell'apparato scientifico-tecnologico è arrivato al punto di poter fare a meno anche dell'”alibi di senso” delle ideologie, tanto vale che la Politica ne prenda atto. E rinunci a cercare significati nell'agire individuale e collettivo. O a proporre nuove relazioni nel circuito passato-presente-futuro.
    Forse la ragione umana, anche nella sfera degli eventi della storia economica, politica e sociale, ha solo la possibilità di attribuire ex-post un determinato significato a quegli eventi? C'è un solo punto su cui tutte le parti politiche convergono: ogni decisione politica significa favorire un interesse e lederne un altro. Certo, ma se questo assunto fosse vero: come scegliere l'interesse da premiare se non in base a una visione del mondo, se non in base a un punto di vista? In molti glisserebbero che, IN OGNI CASO, non c'è decisione politica che possa prescindere da scelte di ordine morale.
    BISOGNA INTENDERSI BENE SU QUESTO PUNTO.
    L'etica di un Progetto politico non può essere l'etica delle “intenzioni” ma deve essere soprattutto e necessariamente L'ETICA DELLE CONSEGUENZE. Saper calcolare le conseguenze delle proprie azioni è, forse, il principale dei compiti che spetta a chi ha nelle mani le sorti di una città, di una società, di uno Stato.
    La risposta non può essere: NO ad ogni INNOVAZIONE e ad ogni scelta (per non sbagliare). Tutti concordano che bisogna aprire una pagina nuova. Ma aprire una pagina è cosa diversa dal saperla scrivere. IL NUOVO ha bisogno di un pensiero e una identità non costretti dagli angusti confini del “ Campo”. Deve saper superare la logica dei Campi (non significa decidere di rappresentare tutti o nessuno), deve riuscire a superare se stessa.
    CI VUOLE UNA COSA NUOVA, NON UNA NUOVA SCENEGGIATA.
    Il tempo complesso, tumultuoso e pieno di trappole che stiamo attraversando non ci deve far rassegnare a un “Pensiero Debole”. Noi abbiamo bisogno di un Pensiero Forte. Non fondato, però, sulle “Certezze” né solo sul mito della “Decisione” ma sulla capacità di “Risolvere problemi”.
    “L'Etat c'est mois!” sbraitarono subito i nuovi guitti. Non mostrando inizialmente nessuna intenzione, come la vecchia classe politica da Fattore K, a ottenere solo qualcosa in più, dentro lo Stato, senza impadronirsene. Poi, però, si sono acconciati, buoni buoni, ad imbastire una nuova commedia, ad uso e consumo delle masse esauste, contagiate dalla rete, che dovrà sostituire la vecchia sceneggiatura durata 50 anni. Nella Prima Repubblica i contendenti stavano uno necessariamente al governo e l'altro necessariamente all'opposizione. Ora i contendenti stanno insieme al Governo in un perenne stato conflittuale che annichilisce lo Stato e l'economia. Inquina la funzione del Governo e quella dell'opposizione. Sembra di assistere a un documentario storico sul “sovversivismo dall'alto” ma è solo un banale Spot propagandistico infinito.
    LE SCORCIATOIE nascondono sempre lo stesso pericolo.
    Quando una nazione vive insieme una profonda crisi istituzionale, politica e sociale rischia di trovarsi di fronte a impreviste restrizioni di libertà. La pressante esigenza di trasformare il disordine in ordine può spingere verso direzioni illiberali.
    L'errore, in passato, è stato ritenere il corso della Storia un inarrestabile progresso: dalla barbarie verso la civiltà. Ma non è così. Altrimenti perché, giunto al massimo sviluppo della sua civiltà, l'uomo ha prodotto Auschwitz e Hiroshima? Bisogna, invece, sentirsi operatori di una ricerca instabile, modificabile in corsa, senza traguardi obbligati. Ci vuole disincanto ideologico e attivismo mentale; mitezza e determinazione. “Renitenza al fato” la chiamava Leopardi.
    In tutto l'Occidente democratico sta montando, dopo la Grande Crisi del 2008, un vento Nazional-populista che ha un preciso orizzonte programmatico per la conquista del potere: menzogne e demonizzazioni, competenza da casalinga di Voghera, inclusioni ed esclusioni solo in base al consenso utile. Come ci ha efficacemente raccontato Carole Cadwilladr questo orizzonte programmatico può riuscire vincente alla condizione di poter realizzare una mostruosa manipolazione, illegale ed eversiva dei cervelli e delle sensibilità medie attraverso la profilazione di decine di milioni di utenti Social che, dopo aver capito da quali paure/fobie sono angosciati, si imbottiscono di migliaia di post falsi e purulenti capaci di creare contagio emotivo e pandemia sociale.
    Le forze liberal-democratiche-sociali hanno un solo orizzonte programmatico da contrapporre al crescente disordine: Verità, Competenza scientifica e Solidarietà. Non c'è bisogno di moderazione c'è bisogno di un realismo coerente e radicale (nel senso di risolutivo). INNANZITUTTO nel come costruire idee, partecipazione della società civile, apparati d'analisi e soluzioni dei problemi. In altre parole UN MODELLO per discutere e implementare innovazioni e soluzioni.
    Se intendiamo finalmente avviare una sperimentazione Politica sul modello open-source, l'allegoria che ci serve non è quella del Bazar degli Algoritmi ma, piuttosto, quella dell'Accademia scientifica. Infatti, gli scienziati mettono a disposizione liberamente il loro lavoro affinché gli altri lo usino, lo testino e lo sviluppino ulteriormente. La loro ricerca è basata sull'idea di un processo aperto e autoregolato.
    Quest'ultima idea, quella di autoregolazione, è stata descritta da Robert Merton come una pietra miliare dell'etica scientifica, con importanza uguale a quella rappresentata dal concetto di apertura. L'ha chiamata “scetticismo sistematico”: storicamente, è una continuazione della synusia dell'Accademia platonica, che comprendeva anche l'idea dell'avvicinamento alla verità attraverso il dialogo critico.
    Come è noto l'etica scientifica richiede un modello in cui le teorie vengano sviluppate collettivamente, e i loro difetti percepiti e gradualmente eliminati per mezzo di una critica fornita dall'intera comunità scientifica.
    Naturalmente, gli scienziati hanno scelto questo modello non solo per ragioni etiche, ma anche perché nel tempo si è dimostrato il modo più efficace per creare un sapere scientifico. Tutta la nostra conoscenza della natura si basa su questo modello che storicamente si è mostrato il più adatto alla creazione di informazioni.
    Come gli scienziati anche i politici riformisti democratici possono imparare dall'esperienza che la mancanza di strutture forti e concentrate è una delle ragioni per cui questo modello è così efficace: perché è progettato per garantire che, a lungo andare, sia la verità a determinare il consenso basato soltanto sui risultati.
    Nessuno in questo quadro può acquisire una posizione permanente o un ruolo in cui il proprio lavoro non possa essere giudicato.
    OGNI VERO CAMBIAMENTO NON SOPPORTA LA PAROLA FINE.

    Tommaso Basileo

























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