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Verona, 9 Gennaio 2020

Sono mutate le Fonti
del Diritto nella società Digitale-Globale?

    Diversi decenni fa il grande Milliband poteva ancora scrivere che “mai come nel nostro tempo gli uomini hanno guardato allo Stato e alla sua attività normativa come alla fonte di ogni possibile provvidenza e persino come alla fonte della loro felicità”. Su questa scia, forse, si è indotti a credere che l’alto livello di generalità ed astrattezza raggiunto dalle norme dei Codici faccia si che le medesime norme, pensate per la vendita o locazione di beni materiali o per l’appalto di opere materiali, possa valere per la vendita o per la locazione o per l’appalto del software e dell’intelligenza artificiale.
    Questa prima sensazione è però subito corretta da una diverso interrogativo: L’avvento della società globale, post-industriale, digitale non reclama, come reclamò l’avvento dell’era industriale, profonde riforme legislative? La risposta che emerge è: il quadro del Diritto codificato può restare immutato perché sono altri, non proprio le Leggi, gli strumenti mediate i quali si attuano le trasformazioni giuridiche dei nostri giorni.
    INFATTI, IL PRINCIPALE STRUMENTO DI INNOVAZIONE GIURIDICA E’ DIVENTATO ORMAI “IL CONTRATTO”. Le concezioni classiche del diritto non collocano il contratto, come si sa, tra le fonti normative; ma “se continuassimo a concepire il contratto come mera applicazione del diritto, e non come fonte del diritto nuovo, ci precluderemmo la possibilità di comprendere in quale modo muta il diritto nel nostro tempo” (Galgano).
    Il contratto, contraddicendo quindi l’intuizione di Milliband, sta prendendo il posto della legge anche per quanto attiene la società civile che manifesta una crescente tendenza all’autorganizzazione.
    Il contratto fra privati prende il posto della legge in molti settori della vita sociale. Si spinge, addirittura, fino a sostituirsi ai pubblici poteri nella protezione di interessi generali, propri dell’intera collettività, quali l’interesse dei consumatori, che i meccanismi di autodisciplina difendono contro gli inganni pubblicitari, o quale l’interesse all’equilibrato assetto del territorio, che i consorzi di urbanizzazione realizzano in vasti comprensori.
    Da un contratto fra mezzi di comunicazione di massa nasce il codice di autodisciplina e con questo la “giustizia privata” del giurì di autodisciplina pubblicitaria.
    Da un protocollo d’intesa fra le associazioni rappresentative delle più diverse categorie di commercianti nasce, sempre a tutela dei consumatori, l’autodisciplina delle vendite a domicilio.
    Da un contratto fra privati proprietari nascono i consorzi di urbanizzazione, che amministrano l’urbanistica nel territorio consortile assolvendo compiti che, di regola, spettano all’ente pubblico locale. In tutti questi casi si sfata un mito duro a morire: la tutela dell’interesse generale diventa una componente del profitto, e si protegge il consumatore per vendere di più, e si salvaguarda l’ambiente per meglio valorizzare la proprietà.
    L’inettitudine della legge alla innovazione giuridica deriva da due caratteri dell’economia contemporanea, la quale è, anzitutto, una economia globale, in antitesi con il carattere nazionale dei sistemi legislativi, ed è, in secondo luogo, una economia in continua trasformazione, la quale reclama strumenti flessibili di adeguamento del diritto ai mutamenti della realtà, in antitesi con la rigidità delle leggi.
    Nell’economia industriale classica la produzione era pur sempre nazionale; internazionali erano i mercati degli scambi. Nella società post-industriale globalizzata l’intera organizzazione economica ha dimensioni e interconnessioni reticolari planetarie. Non circolano solo le merci; circolano, prima ancora, il know-how e le licenze di produzione; contratti di joint venture collegano imprese di paesi lontani; società multinazionali controllano la produzione su tutti e sei i continenti. La produzione in serie su scala planetaria esige una contrattazione altrettanto in serie. Sui mercati mondiali le multinazionali debbono contrattare a condizioni uniformi.
    Certo, la scena giuridica del nostro tempo è affollata da tante cose come, ad esempio, le convenzioni internazionali di diritto uniforme, o anche, in ambito strettamente europeo, le direttive comunitarie di armonizzazione del diritto entro l’Unione Europea. L’elemento dominante è, tuttavia, la circolazione internazionale dei modelli contrattuali uniformi. Si tratta, il più delle volte, di contratti atipici. A crearli non sono i legislatori nazionali, ma sono gli uffici legali delle grandi multinazionali, sono i consulenti delle associazioni internazionali delle diverse categorie imprenditoriali. Tutte queste figure non hanno nazionalità: la loro funzione è di realizzare l’unità del diritto entro l’unità dei mercati.
    Per la verità, c’è un ambito di normazione internazionale uniforme che sembrerebbe contraddire la tendenza appena descritta, ma la contraddizione è solo apparente. Mi riferisco al complesso di norme di qualità delle serie ISO 9000 e EN 29000, le quali non sono altro che regole vincolanti tendenti ad assicurare il raggiungimento di standard prefissati. Ebbene, bisogna fare attenzione, la novità e l’efficacia di questa specifica attività normativa consiste, appunto, nell’essere fondata sulla soggettività del mercato, tanto è vero che questo è l’unico edificio normativo che mantiene una grande elasticità, intesa come adattamento all’evoluzione continua dei sistemi produttivi e delle relazioni economiche e degli scambi.
    L’antica lex mercatoria aveva preceduto l’avvento degli Stati moderni (dai quali sarebbe stata recepita come diritto statuale e collocata nei codici di commercio); la sua funzione era consistita nel derogare, per i rapporti commerciali, al diritto civile di allora (romano), rivelatosi non più congeniale alle esigenze dei traffici. La nuova lex mercatoria opera, per contro, entro una realtà caratterizzata dalla divisione politica dei mercati in una pluralità di Stati; la sua funzione è di superare la discontinuità giuridica da questi provocata.
    Insomma, i fattori che hanno prodotto queste regole internazionalmente uniformi risiedono, fondamentalmente, nella diffusione internazionale delle pratiche contrattuali del mondo degli affari, ma anche negli USI del commercio internazionale e nella giurisprudenza delle camere arbitrali internazionali. La ratio decidendi adottata dagli arbitri internazionali per dirimere le controversie sottoposte al loro giudizio acquista il valore di un precedente, cui altri arbitri, successivamente aditi, sono soliti uniformarsi. Così si è formato il corpo di regulae iuris che gli operatori economici sono indotti a conoscere e ad osservare sulla previsione che, in caso di controversia, verranno applicate ai loro rapporti commerciali.

    Tommaso Basileo

























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