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Verona, 2 FEBBRAIO 2019

Due totalitarismi allo specchio

    SPUNTI DI RIFLESSIONE SULL'ATTUALITÀ. Il popolo che subì le “attenzioni” aggressive concentriche, assolutamente identiche nella forma e nella sostanza, da parte dei regimi nazista e sovietico fu, come è noto, il popolo polacco. In Polonia, Hitler manifestò una promettente inclinazione allo sterminio, sebbene non sembrasse probabile che sarebbe riuscito a eguagliare Stalin, che alla fine del 1938 si era già dato molto da fare su questo piano. Il nazional-socialismo tedesco, crescendo, tendeva a somigliare in modo impressionante al “comunismo in un solo paese” e Hitler, a poco a poco, si trasformò in un apprendista stregone di Stalin.
    Quando Josif Dzugasvili, figlio di un calzolaio georgiano, osservava le gesta di Adolf Schicklgruber, figlio di un funzionario austriaco della dogana, credeva di vedere uno spirito affine. Da ragazzi, entrambi, pur non essendo dotati e brillanti in nulla, avevano considerato il mondo con lo stesso sentimento sprezzante di sfida. Hitler era un pittore fallito, che sarebbe morto di fame se non fosse riuscito a vendere il 90% delle sue tele a mercanti d'arte ebrei, Stalin era un seminarista frustrato. Tutti e due erano finiti in carcere sotto i regimi che più tardi avrebbero rovesciato. Erano saliti al potere come membri, e poi leader, di un partito anticapitalistico dei lavoratori. Lavoravano entrambi a ritmi frenetici, H24, ma prediligevano farlo di notte o durante le ferie estive (a Obersalzberg l'uno, a Soci, nel mar Nero, l'altro). Avevano ambedue problemi con le donne. La nipote di Hitler, Geli Raubal, della quale egli era infatuato, si suicidò nel settembre 1931; la moglie di Stalin, Nadezda Allilueva, aveva fatto lo stesso quattordici mesi più tardi, spinta anch'essa dalle tentazioni ossessive di un uomo molto più vecchio di lei. Entrambe furono rimpiazzate da donne più forti: la florida commessa Eva e la prosperosa cameriera Valecka.
    Anche se di dieci anni più giovane di Stalin, Hitler apprese in fretta da Stalin tutto l'armamentario per diventare dittatore e con la Notte dei lunghi coltelli impressionò il maestro mostrando di essere altrettanto capace di epurare e sopprimere i potenziali rivali del Partito. Con le SS e la Gestapo, Hitler creò un sistema di polizia segreta simile come una goccia d'acqua alla NKVD. Ricalcò spudoratamente il Piano quadriennale per l'economia tedesca sui piani quinquennali di Stalin, scontrandosi duramente con il suo ministro dell'economia Schacht per imporre sistemi di controllo serrati incompatibili con una economia occidentale. I due regimi usavano perfino lo stesso modello di marketing. La somiglianza nel modo di presentarsi al mondo fu già evidente al tempo dell'Esposizione Universale di Parigi del 1937. Il padiglione nazista e quello sovietico si ritrovarono sulle rive della Senna uno di fronte all'altro come due obelischi totalitari. Il padiglione tedesco, progettato da Albert Speer, era una torre alta 150 metri sormontata da un'aquila e da una svastica gigantesca, circondata da nove colonne decorate con mosaici dorati ed altre svastiche. Ai suoi piedi si ergeva “Cameratismo”, la scultura di Josef Thorak che raffigurava due superuomini di 7 metri nudi mano nella mano. Il padiglione sovietico, progettato da Boris Iofan, era una torre altrettanto monolitica che sosteneva “L''operaio e la colcosiana”, statua d'acciaio di Vera Muchina. Le due strutture non erano di certo identiche. I tedeschi derisero il “barbaro formalismo” del padiglione sovietico, mentre i russi criticarono il “neoclassicismo fascista, sterile e posticcio” dei nazisti. In realtà le due installazioni avevano molto in comune, soprattutto l'inequivocabile intenzione di mostrare grandezza, un'immensa e pomposa grandezza.
    Già da quella Esposizione, quindi, emerse una tendenza in corso da qualche tempo: la straordinaria convergenza dell'iconografia nazista e sovietica. L'imponente cupola del palazzo che sarebbe stato costruito a “Germania”, la capitale pensata a immagine di Hitler, era sotto molti punti di vista una risposta all'affascinante progetto di Boris Iofan e Vladimir Scuko per il Palazzo dei Soviet di Mosca, il cui stile, come ebbe a dire Anatolij Lunacarskij, “non escludeva i motivi antichi ma tentava di superare l'architettura classica”. Entrambi i regimi eressero santuari alle proprie pseudoreligioni e raffigurarono i leader come divinità e patriarchi nazionali. Nell'arte sovietica post-rivoluzionaria e in quella nazista comparivano gli stessi archetipi maschili: il martire del partito, il lavoratore instancabile, l'eroe soldato.
    Altrettanto comune alle due culture era la figura della contadina quale simbolo di fertilità. Perfino la raffigurazione degli odiosi, pericolosi nemici (gli ebrei e i nepmen, gli imprenditori che operarono al tempo della NEP) aveva talmente tanti tratti in comune da risultare quasi sospetta, soprattutto negli anni quaranta, in seguito alla chiara deriva antisemita del sistema stalinista. Entrambi i regimi offrirono opportunità illimitate a una generazione di artisti di ogni disciplina, purché sovvertissero il modernismo che aveva segnato gli anni venti. Del resto, già nelle pagine del “Mein Kampf” Hitler inveiva contro il “Kunstbolschewismus”, sostenendo (sich) che “le escrescenze morbose di uomini malati e degenerati...nei concetti collettivi di cubismo e dadaismo rappresentano le arti ufficiali degli Stati bolscevizzati”. Poco dopo, in URSS, nel 1926 Robert Pel'se, direttore della rivista “Sovetskoe iskusstvo”, si scagliò contro “la malattia mentale dei radicali di sinistra... Futurismo, cubismo, espressionismo, dadaismo, contro la stoltezza, l'indolenza e il dubbio”. La risoluzione sovietica per il “Riassetto delle organizzazioni letterarie e artistiche” fu approvata nel 1932, prima della salita al potere di Hitler in Germania che, in pratica, la copiò pari pari.
    Naturalmente tra le due dittature e i due dittatori vi erano molte differenze, anche se Stalin avrebbe avuto molte ragioni per accusare Hitler di plagio. Hitler era un volgare demagogo, capace di infiammare il pubblico con i suoi vaneggiamenti messianici urlati. Stalin era, invece, un burocrate ossessionato dal controllo di ogni minimo aspetto, dalla produzione di viti alle eliminazione degli avversari. Hitler era giunto al potere per vie più o meno democratiche, Stalin per mezzo di intrighi orditi all'interno dell'apparato comunista. Hitler si mise a capo di una delle società industriali più sviluppate del mondo, mentre nel 1938 il PIL pro-capite dell'Unione Sovietica non era nemmeno la metà di quello tedesco.
    Il PATTO fra i due dittatori era destinato ad essere solo un espediente temporaneo?
    L'astuto diplomatico tedesco Ulrich von Hassel non la pensava così: “Resta da vedere quanto i due regimi autoritari considerino il Patto solo come un ipocrita strumento propagandistico o quanto esso segni un definitivo e reale avvicinamento sulla base di una svolta in senso nazionalistico dei sovietici e di una crescente bolscevizzazione del nazismo”.
    Come andò a finire lo sappiamo tutti. Ma è curioso rilevare che l'uomo più paranoico e diffidente della storia moderna, abbia riposto Tutta la sua fiducia proprio nel bugiardo più spregiudicato di tutta la storia mondiale.

    Tommaso Basileo

























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