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Verona, 31 Ottobre 2021

Non si esce dalla palude
senza riformare
la macchina della Giustizia

    Che la nostra giustizia sia un colabrodo, tantissimi cittadini italiani lo hanno sperimentato sulla propria pelle, da molto tempo. Infatti, sempre più spesso decidono di risparmiare il tempo e la carta bollata di una denuncia che poi si perderebbe regolarmente nel nulla. Il calo, di anno in anno, del numero di denunce registrate (sempre eccessive) non deve far pensare a un continuo, virtuoso, calo dei reati (e della litigiosità). Altroché! L’Italia sembra una sorta di paese di Bengodi per chi campa di furti e truffe di ogni genere. Lo sanno da tempo anche i mariuoli foresti, che infatti l’hanno eletta tra le loro residenze preferite.
    Secondo il Rapporto sulla sicurezza elaborato nel 2017 dal ministero dell’interno vantiamo, si fa per dire, il più alto tasso di rapine in banca di tutta Europa. E nell’ultima relazione della Commissione europea sulla Protezione degli interessi finanziari della Comunità e la lotta contro le frodi si dice che l’Italia continua a svettare indisturbata in testa alla graduatoria delle truffe: fondi europei erogati irregolarmente per centinaia di milioni di Euro. Per i furfanti, del resto, il rischio è basso: insieme alle denunce sono in continua flessione anche le condanne. Eppure la qualità professionale dei nostri magistrati e degli addetti alle forze dell’ordine non è inferiore a quella dei paesi con cui ci compariamo.
    Il sindacato delle toghe sostiene che la durata abnorme dei processi (quasi tre volte i tempi medi europei), in particolare di quelli penali, dipenda dal fatto che i criminali italiani, così come quelli d’importazione, sfruttano una serie di complessi meccanismi per dilatare al massimo i tempi e acciuffare così la prescrizione del reato. I numeri della direzione generale di statistica del ministero della giustizia, almeno in apparenza, sembrano dare sostegno alla loro tesi. Infatti, se si somma al 60% delle prescrizioni che avvengono già nella fase preliminare del procedimento giudiziario (quindi prima dei maneggi di avvocati e presunti furfanti), il 10% di prescrizioni “fisiologiche” e il 20% di doverose assoluzioni, contro cui immancabilmente il PM ricorre anche senza nuove evidenze a prova, siamo obiettivamente di fronte una giustizia a bassissima produttività che è un eufemismo sostenere funzioni a scartamento ridotto.
    A ben vedere, le cose stanno proprio messe come sostiene l’ANM? Intanto, ormai da molti anni, i termini di prescrizione vengono sospesi nei rari casi in cui a determinare lo slittamento del processo sia una richiesta di rinvio avanzata dall’imputato e dal suo avvocato. Diciotto minuti è la durata media delle udienze penali. Solo tre su dieci si concludono con una sentenza. Tutte le altre vengono rinviate. Di quattro mesi e mezzo. Il motivo più frequente del rinvio è l’assenza del giudice titolare. Ma, in ogni caso, gli stessi ritardi del penale li registriamo nei processi civili, dove si contrappongono interessi privati che sono naturalmente indirizzati alla rapida risoluzione dei conflitti. E qui casca l’asino. I tempi della nostra giustizia civile sono più lunghi di quelli del Gabon e di Sao Tomé. Facciamo meglio solo del Congo. Il che dimostra come il difetto stia nel manico, ossia nell’organizzazione della macchina della giustizia, e non nel comportamento dei suoi utenti che non sono tutti ricchi e potenti, e di queste défaillance sono le prime vittime.

    Oggi in Italia solo il 40% circa della popolazione carceraria (fatta per otto decimi da extracomunitari e tossicodipendenti) è costituito da persone che hanno ricevuto una condanna definitiva. Per il 57% c’è invece ancora in ballo una presunzione d’innocenza: il 61% di loro addirittura non è mai stato condannato, mentre il 29% è in attesa di una sentenza di secondo grado e il restante 10% sta aspettando un verdetto della Cassazione. L’esercito dei carcerati preventivi nel nostro paese è quasi il doppio di quelli di Spagna e Inghilterra e superiore persino a quelli della Germania.
    Con buona pace di chi continua a lamentare carenza di risorse finanziarie, di mezzi e di personale per la giustizia è utile l’analisi internazionale comparativa.
    Al di là delle opinioni, a smontare l’eterno piagnisteo ci sono studi e ricerche di molte fonti. Le elaborazioni della Cepej sono basate sui dati forniti da 45 stati OCSE.
    Dunque, l’Italia dispone di 1292 tribunali. Che sono più dei 595 dell’Inghilterra, dei 703 della Spagna, dei 773 della Francia e anche dei 1136 della Germania. Solo la Russia, con 2696, ne ha di più. Il nostro sistema giudiziario può contare su 12,1 giudici professionali per ogni 100.000 abitanti. Dato inferiore alla sola Germania. La Francia ne ha 11,9, la Spagna se ne fa bastare 10,1, e l’Inghilterra addirittura 7, per non parlare di Danimarca 6,6 e Irlanda 3,1.
    Accanto alle toghe, a vario titolo, per lavorare nelle aule dei tribunali, sono in ruolo 27.067 addetti. Poco meno del doppio di quelli che ne impiega la Francia 15.199. Insomma, in Italia ogni magistrato gestisce 4,2 addetti. La Francia 2 e la Germania 2,9.
    Il budget italiano per tribunali, pubblici ministeri e patrocinio per i non abbienti è inferiore solo a quello tedesco ma è quasi il doppio di quello spagnolo e superiore del 30% di quello francese. Gli stipendi dei nostri togati sono fra i più alti d’Europa. E dopo 28 anni TUTTI raggiungono lo status di magistrato di cassazione con funzioni direttive, a meno di gravi incidenti di percorso.

    Ma il tema più spinoso da approfondire, alla ricerca di maggiore efficienza ed efficacia nell’impegno dello Stato per la giustizia, riguarda la dimensione degli uffici. Il libro verde del MEF, evidenzia l’esistenza nell’organizzazione giudiziaria di rilevanti ECONOMIE DI SCALA NON SFRUTTATE. La dimensione degli uffici è troppo limitata. La produttività del magistrato risulta infatti crescente al crescere (entro certi limiti) delle dimensioni del tribunale in cui opera e questo effetto è da attribuire alla migliore gestione del personale e delle attrezzature. Quando, però, le dimensioni degli uffici giudiziari divengono troppo elevate si riscontra una perdita di efficienza legata al sovradimensionamento. Tra i 20 magistrati e non più di 80 andrebbe ricercata la dimensione ottimale.
    Se si va a spulciare la dotazione organica dei tribunali ordinari in Italia si scopre che il 19,39% ha meno di dieci magistrati e il 36,96% ne conta più di dieci ma meno di venti. Quindi il 56,35% è al di sotto della soglia minima di efficienza.
    Una grave causa di disfunzione è l’irrazionalità dell’attuale distribuzione delle sedi giudiziarie, che sfugge ai più elementari principi di buona organizzazione degli uffici pubblici. Ciò provoca costi di gestione altissimi e continui rischi di blocco dei processi per l’assenza anche di un solo giudice. Insomma, bisognerà tagliare e accorpare, ma fin’ora non si è riusciti a farlo perché si tratta di scontentare troppi potentati, toghe e legali, che non hanno nessuna intenzione di rinunciare al tribunale dietro l’angolo.
    Last but not least: il meccanismo del “fuori ruolo” e la destinazione alle “attività extragiudiziarie” in quasi tutti i ministeri oltre quello della giustizia, distoglie un numero impressionante di toghe dalle attività ordinarie (cosa che non si riscontra nel resto d’Europa). Il risultato del complesso delle disfunzioni ci rende conto di un picco di oltre tre milioni di cause in arretrato (fenomeno sconosciuto altrove).
    Cosa si poteva obiettare a Giovanni Falcone quando scrisse in “Proposte e interventi 1982-1992” di “un’immagine della giustizia che a fronte di interventi talora tempestivi soltanto per fatti di scarsa rilevanza sociale, e talora tardivi per episodi di elevata pericolosità, appare all’opinione pubblica come una variabile impazzita del sistema”?

    Tommaso Basileo

























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