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Verona, 14 Maggio 2020

Le retoriche intransigenti faranno implodere la democrazia?

    Volendo demolire le scuole filosofiche contrapposte che asserivano la realtà fosse solo spirito o solo materia, Flaubert ebbe una fantastica battuta: “Sono due impertinenze identiche”.
    Nel caos planetario in cui, al giorno d’oggi, ci siamo cacciati dovremmo mettere a fuoco un obiettivo fondamentale per poter sopravvivere e procedere nella nostra evoluzione civile, culturale ed economico-sociale: “FARE EMANCIPARE IL DISCORSO PUBBLICO DAGLI ATTEGGIAMENTI INTRANSIGENTI”. Solo così, forse, potremmo avere la speranza di rendere le nostre discussioni congeniali alla democrazia. Naturalmente, si tratta di un tema assai ampio e arduo su cui qui posso accennare semplicemente con qualche brevissima riflessione.
    Recenti osservazioni sullo stato del sistema democratico dopo la guerra fredda, le ondate terroristiche e gli tsunami finanziari e pandemici hanno messo a fuoco due preziose intuizioni: una di carattere storico sulle origini delle democrazie pluralistiche, e una di carattere teorico sulle condizioni di lungo periodo della stabilità e della stessa legittimità di questi sistemi.
    Giorno dopo giorno, si comprende sempre più chiaramente che la formazione dei sistemi democratici pluralistici contemporanei si deve, di regola, non tanto ad un preesistente ampio consenso sui “valori fondamentali”, come ci viene ripetuto con enfasi e con una dose di paternalismo ottimista, ma piuttosto al fatto che i vari gruppi politico-ideologici che s’erano per lungo tempo ferocemente combattuti hanno dovuto riconoscersi incapaci di imporre il proprio dominio. Alla fin fine, la tolleranza e l’accettazione del pluralismo sono state soltanto il risultato di uno STALLO tra gruppi contrapposti aspramente ostili che, nel frattempo, dove erano presenti forze antisistema, hanno complicato il quadro con le loro successive mutazioni camaleontiche.
    Questo punto di partenza storico della democrazia, lo riconosco, non si può certo dire sia di buon auspicio quanto alla stabilità di tali sistemi. La cosa è immediatamente evidente, ma diventa ancor più chiara quando la si associ al principio teorico che una democrazia acquista legittimità nella misura in cui le sue decisioni sono il frutto di un processo deliberativo aperto, pienamente dispiegato, che coinvolga i suoi principali gruppi, corpi costituiti e rappresentanti e, alla fine, trovi forma e contenuto in una architettura istituzionale che individui i responsabili dell’azione di governo dopo aver loro conferito un potere limitato ma certo.
    Il processo deliberativo più rilevante, però, è quello che sta alla base della formazione delle opinioni. I partecipanti a questo processo sarebbe un’ottima cosa che non avessero opinioni pienamente o definitivamente formate in partenza, soprattutto quelle a base ideologica o imperniate su un interesse esclusivamente di parte.
    Dai partecipanti al processo deliberativo dovremmo pretendere cioè un atteggiamento realistico e pragmatico che li impegni in una discussione reale, ossia che siano pronti a modificare le opinioni iniziali alla luce degli argomenti addotti dagli altri partecipanti, e anche per effetto delle nuove informazioni che si rendono disponibili nel corso del dibattito.
    Se questo è quel che è indispensabile perché il processo democratico divenga auto-propulsivo e acquisti una duratura stabilità e legittimità, allora, diciamolo con realismo e franchezza, la distanza che separa un siffatto stato di cose dai sistemi democratico-pluralisti, quali sono emersi storicamente dal conflitto e dalla guerra civile, è malinconicamente e pericolosamente grande.
    È assai poco probabile che un popolo impegnato fino a ieri in lotte fratricide accetti improvvisamente questo processo deliberativo costruttivo fondato sul compromesso. Molto più probabile è invece che vi sia semplicemente non più che la ordinaria accettazione del dissenso, senza alcun tentativo di combinare i punti di vista contrapposti. Oppure, se si è costretti alla discussione, si tratterà di un tipico “dialogo tra sordi”; un finto dialogo che avrà in effetti il senso di un prolungamento – e di un surrogato – della guerra civile. Anche nelle democrazie più avanzate, non pochi dibattiti sono stati nell’immediato dopoguerra e sono oggi, nella lunga transizione dopo la stagione socialdemocratica trionfante, per parafrasare Clausewitz, una “continuazione della guerra civile con altri mezzi”.
    Tutta l’attuale, ordinaria, vita politica nell’intero Occidente, sulle due sponde dell’Atlantico, non ci offre altro che lo spettacolo vergognoso di un continuo scontro tribale, in cui ciascuna parte è perennemente alla caccia di argomenti (anche inventati di sana pianta) atti a schiacciare l’avversario con appelli identitari e basici di odio. “Nulla di nuovo sotto il sole” si dirà. Anche nelle società precedenti alla nostra si usava accusare i nemici delle più turpi nefandezze (sacrificio dei neonati – incesto – antropofagia rituale).
    Sono in tanti oggi, veramente in tanti, a chiedere o pretendere, addirittura, dalla politica una visione e un Progetto di spessore e di lungo periodo che porti i nostri popoli disorientati e impauriti verso orizzonti di sicurezza, di armonia e di giustizia. Una pretesa, se ci pensiamo bene, sorprendente se si osserva da un lato la trasformazione tumultuosa, a tutti i livelli, della realtà e, dall’altro, il generale degrado culturale e morale, tranne rare eccezioni, delle nuove rappresentanze politiche dedite soltanto a paludose ed egocentriche dichiarazioni d’intenti inconcludenti, tranne che nella ricerca di nemici interni ed esterni.
    Per passare dal discorso improntato all’intransigenza e alla distruttività, ad un tipo di dialogo più democracy-friendly, bisognerà, quindi, compiere un cammino di educazione e istruzione molto lungo e difficile, ma non teoricamente impossibile. Del resto, questo è l’unico percorso che potrebbe e dovrebbe imboccare la Politica se non vuole evaporare del tutto non solo come potere ma anche come funzione. A quei pochi leader che desiderano sinceramente intraprenderlo questo metodo del dialogo, dovrebbe essere utile la conoscenza di alcuni gravi segnali di pericolo, che sono: tutti gli argomenti inutili, prosaici o falsi, espressamente congegnati da tutti coloro che amano galleggiare sulla realtà per rendere il dialogo e le deliberazioni ampie, o almeno non distruttive, impossibili.

    Tommaso Basileo

























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