di Ken Loach
Con:
Martin Compton, Annmarie Fulton, William
Ruane, Gary McCornack.
Sceneggiatura:
Paul Laverty.
Genere:
Drammatico.
Nazione: GB
Durata:
106 minuti.
Il nuovo film di Kean
Loach che ormai è stabilmente tra i grandi del cinema mondiale. In effetti il
suo successo è più dovuto all'affetto e alla condivisione dei suoi temi dei
cinefili e degli addetti ai lavori che all' amore vero e proprio del pubblico,
ma questo può valere per molti autori, ed è spesso più una questione di scarsa
pubblicità o di distribuzioni limitate che ad un giudizio negativo.
Sweet sixteen è un film sociale. E come non potrebbe esserlo
un film sull'agghiacciante condizione degli adolescenti delle periferie urbane,
cresciuti in famiglie dedite allo spaccio di droga, alla delinquenza e che su
questa impalcatura costruiscono la propria identità di cittadini di serie B?
Il protagonista Liam ha la madre in carcere e vive con il
nonno e l'amante della madre che odia con tutto se stesso. Sua sorella è fuggita
da quella vita di fuorilegge e disastri continui con il suo bambino,
probabilmente figlio di padre ignoto, e non vuole più saperne di quella famiglia
scellerata.
Ma Liam ha deciso che la sua missione è quella di cominciare
una nuova vita con la madre e la sorella una volta che la prima sarà uscita dal
carcere di lì a poche settimane.
Ma come può un ragazzo come lui, permettersi di comprare la
casa dei sogni, per offrire alle due donne una tranquillità fino a quel giorno
impossibile?
Semplice, cominciando a spacciare eroina.
Il tema dei delinquenti che cercano una nuova vita, fuori dal
mondo che hanno sempre frequentato è molto battuto dal cinema, con un esempio
fra tutti in 'Carlito's Way' di Brian De Palma. E sono sempre storie che parlano
di come il passato ritorni sempre a generare danni e complicazioni e come chi è
nato nell'illegalità e nell'emarginazione non ha futuro, se non in quella
realtà.
E anche qui il percorso è in qualche modo già segnato, Liam
diventerà un piccolo boss e la sua vita sarà inestricabilmente legata allo
spaccio di eroina e al rischio di finire i suoi giorni tra la galera e l'inizio
di una nuova attività illegale.
Kean Loach è sempre stato di un realismo quasi pessimista, ma
ha sempre in qualche modo suggerito la sua via d'uscita, anche se attraverso il
sacrificio del protagonista. Il suo cinema è quello che negli anni '70 veniva
definito 'militante', anche se con una grande capacità di raccontare storie e di
rappresentare cinematograficamente il mondo che voleva criticare.
Di questo film, invece stupiscono i dialoghi e lo svolgimento
del plot narrativo. Se da sempre la qualità migliore di Loach erano una certa
originalità di veduta e il punto di vista, sempre dalla parte di chi di solito
non ha voce in capitolo ed è dimenticato, qui stupisce un certo senso quasi 'americaneggiante'
di sapore 'Scorsesiano'. Sembra di assistere ad un film già visto tante volte
sulla gioventù bruciata degli anni '60, quelle bande giovanili che cercavano una
via personale alla crescita e al successo, qualunque fosse il settore in
oggetto. Sembra di sentire dialoghi ascoltati mille volte, quelli tipici in cui
il turpiloquio e la reiterazione rendono impossibile qualunque scambio reale, lo
spogliano di senso, e comunicano solo ansia, rabbia e insofferenza.
Sweet Sixteen sembra un film di un allievo americano di Loach.
Manca di quella forza narrativa, di quella critica aspra che rendevano il cinema
estremamente scarno di effetti e di 'cinema' di Loach, un rito movimentista, un
manifesto del Partito Socialista, un archetipo dello sfruttamento dell'uomo
sull'uomo. E tutto questo nonostante lo sceneggiatore abbia vinto il premio a
Cannes e abbia già collaborato con Loach per 'Bread and Roses', 'Carla's Song',
e 'My Name is Joe', cioè tre dei suoi migliori film.
Ben recitato e ben diretto, ma poco coinvolgente. Da vedere
comunque per gli amanti del regista.
Voto 6.