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L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

di Luca Dresda


Film già visti e giudicati...                                                                        4 marzo 2003

 Sweet Sixteen

 di Ken Loach

Con: Martin Compton, Annmarie Fulton, William Ruane, Gary McCornack.
Sceneggiatura: Paul Laverty.
Genere: Drammatico.
Nazione: GB
Durata: 106 minuti.

Il nuovo film di Kean Loach che ormai è stabilmente tra i grandi del cinema mondiale. In effetti il suo successo è più dovuto all'affetto e alla condivisione dei suoi temi dei cinefili e degli addetti ai lavori che all' amore vero e proprio del pubblico, ma questo può valere per molti autori, ed è spesso più una questione di scarsa pubblicità o di distribuzioni limitate che ad un giudizio negativo.
Sweet sixteen è un film sociale. E come non potrebbe esserlo un film sull'agghiacciante condizione degli adolescenti delle periferie urbane, cresciuti in famiglie dedite allo spaccio di droga, alla delinquenza e che su questa impalcatura costruiscono la propria identità di cittadini di serie B?
Il protagonista Liam ha la madre in carcere e vive con il nonno e l'amante della madre che odia con tutto se stesso. Sua sorella è fuggita da quella vita di fuorilegge e disastri continui con il suo bambino, probabilmente figlio di padre ignoto, e non vuole più saperne di quella famiglia scellerata.
Ma Liam ha deciso che la sua missione è quella di cominciare una nuova vita con la madre e la sorella una volta che la prima sarà uscita dal carcere di lì a poche settimane.
Ma come può un ragazzo come lui, permettersi di comprare la casa dei sogni, per offrire alle due donne una tranquillità fino a quel giorno impossibile?
Semplice, cominciando a spacciare eroina.
Il tema dei delinquenti che cercano una nuova vita, fuori dal mondo che hanno sempre frequentato è molto battuto dal cinema, con un esempio fra tutti in 'Carlito's Way' di Brian De Palma. E sono sempre storie che parlano di come il passato ritorni sempre a generare danni e complicazioni e come chi è nato nell'illegalità e nell'emarginazione non ha futuro, se non in quella realtà.
E anche qui il percorso è in qualche modo già segnato, Liam diventerà un piccolo boss e la sua vita sarà inestricabilmente legata allo spaccio di eroina e al rischio di finire i suoi giorni tra la galera e l'inizio di una nuova attività illegale.
Kean Loach è sempre stato di un realismo quasi pessimista, ma ha sempre in qualche modo suggerito la sua via d'uscita, anche se attraverso il sacrificio del protagonista. Il suo cinema è quello che negli anni '70 veniva definito 'militante', anche se con una grande capacità di raccontare storie e di rappresentare cinematograficamente il mondo che voleva criticare.
Di questo film, invece stupiscono i dialoghi e lo svolgimento del plot narrativo. Se da sempre la qualità migliore di Loach erano una certa originalità di veduta e il punto di vista, sempre dalla parte di chi di solito non ha voce in capitolo ed è dimenticato, qui stupisce un certo senso quasi 'americaneggiante' di sapore 'Scorsesiano'. Sembra di assistere ad un film già visto tante volte sulla gioventù bruciata degli anni '60, quelle bande giovanili che cercavano una via personale alla crescita e al successo, qualunque fosse il settore in oggetto. Sembra di sentire dialoghi ascoltati mille volte, quelli tipici in cui il turpiloquio e la reiterazione rendono impossibile qualunque scambio reale, lo spogliano di senso, e comunicano solo ansia, rabbia e insofferenza.
Sweet Sixteen sembra un film di un allievo americano di Loach. Manca di quella forza narrativa, di quella critica aspra che rendevano il cinema estremamente scarno di effetti e di 'cinema' di Loach, un rito movimentista, un manifesto del Partito Socialista, un archetipo dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. E tutto questo nonostante lo sceneggiatore abbia vinto il premio a Cannes e abbia già collaborato con Loach per 'Bread and Roses', 'Carla's Song', e 'My Name is Joe', cioè tre dei suoi migliori film.
Ben recitato e ben diretto, ma poco coinvolgente. Da vedere comunque per gli amanti del regista.

Voto 6.

Luca Dresda

 


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