L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

di Luca Dresda

 

 


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L'UOMO CHE NON C'ERA

di Joel Coen

Con: Billy Bob Thorton, Frances McDormand, James Gandolfini.

Sceneggiatura: Joel & Ethan Coen.

Genere: Drammatico/Ironico.

Nazione: USA.

Durata: 116 minuti.

13 Gennaio 2002

Mi trovo nell'imbarazzante situazione di dover espormi più del dovuto. Ma in questo caso ci troviamo di fronte al miglior film del 2001 e forse uno dei migliori prodotti degli ultimi cinque se non dieci anni.
I fratelli Coen sono ormai una realtà inconfutabile del cinema mondiale, due artisti che non sbagliano un colpo, non eccessivamente prolifici ma certamente generosi e ingegnosi. La loro cinematografia parte da un piccolo noir del 1984, “Blood Simple”, nel quale intravediamo il loro spirito per il paradosso e il grottesco, per la caricatura e allo stesso tempo la loro profondità di analisi dei personaggi, lo spessore culturale e l'amore per una dissacrazione delle regole. Le loro trame sono sempre intricate ma mai ridondanti, difficili da afferrare alla prima visione eppure così cariche di umanità e di comunicativa da lasciare il segno. Ogni film dei Coen resta per un'impressione quasi pittorica, un'emozione dominante. I loro personaggi hanno un potere vitale, un soffio energetico che coinvolge e avviluppa lo spettatore.
Il grande pubblico li ha cominciati a conoscere con “Fargo”, una parabola splendida sulla stupidità e sulla casualità della vita. Una storia della provincia americana, un'immersione nella banalità di un criminale inetto che si trova incoscientemente proiettato all'interno di una caccia al criminale. Dietro ogni prodotto dei fratelli Coen si nasconde una piccola metafora sulla grande questione del vivere. L'uomo è visto secondo una prospettiva interiore, con quel distacco ironico che solo la profondità della cultura ebraica di provenienza permette loro di realizzare. I loro prodotti successivi sono già “cult”. “Il Grande Lebowski”, e il più recente “Fratello dove sei?”, senza dimenticare il delizioso “Mister Hoola Hoop”. Già pronto un nuovo film “Intolerable Cruelty” che attendiamo con bramosia.
“L'Uomo che non C'era” è un'altra storia di un crimine quasi casuale messo in atto da un uomo inesistente, anonimo (“Che uomo sei?” gli domandano un po' tutti), amante del silenzio e fumatore incallito, che finisce male, anzi peggio. Il crimine e il contesto in cui esso nasce, è sempre stato il pozzo di San Patrizio del cinema, in tutto il globo. I Coen aggiungono quel tocco dissacrante e quella forza descrittiva e ironica che basta a metterli in un piedistallo e costringerci ad inchinarci alla loro genialità. Genialità che nasce da elementi semplici, alla portata di tutti, quella semplicità che rende grande un grande artista. Quest'uomo è l'Uomo, l'Essere umano, l'Homo Sapiens Sapiens, quello che crede di avere in mano i segreti dell'esistenza e che in realtà è preda inconsapevole delle emozioni e dei condizionamenti più banali. È un uomo solo, banale, ridicolo, con un velo di ostilità mai apertamente dimostrata verso il prossimo e che arriva a uccidere il capo della moglie (e suo amante) dopo averlo ricattato per finanziare un progetto di attività imprenditoriale propostogli da un truffatore qualunque.
Tutto è casuale. L'amore, il matrimonio, il ricatto, l'assassinio, le condanne dei tribunali, il volgersi delle stagioni. Tutto è scandito dalle sigarette che Ed Crane fuma senza sosta. Dai tagli che realizza nella sua attività di barbiere. Ed taglia e fuma, fuma e taglia e in tutto questo è attorniato da persone loquaci, logorroiche, che in qualche modo mostrano vantandosi la propria superficialità. Il suo silenzio, invece nasconde una sensibilità eccessiva e blindata, uno sguardo attonito, impotente, e stupendamente e involontariamente ironico.
Quest'uomo inesistente non vive la sua vita, ma la subisce passivamente, arrotolato in modo intricato in pensieri molto più chiari sulla vita e sulle proprie aspirazioni di quanto poi nella realtà riesca egli stesso a dimostrare. La sua non è un'esistenza, ma un lento scorrere di immagini dal ritmo blando e laconico, il tutto in un bianco e nero che qualcuno ha definito un “esercizio di stile”, forse non comprendendo a fondo il valore profondamente analitico del film Coeniano. Un bellissimo affresco.
Sicuramente a torto ho definito i Coen i nuovi Bergman, i nuovi Welles, i “miti” di cui ogni tanto si ha bisogno, i sostituti di Kubrick nel nostro cuore di cinefili incalliti, gli artisti che ci possono far fibrillare ogni volta che si abbia notizia di una loro uscita nelle sale. I Coen sono forse i rappresentanti di quell'amore per il cinema che è amore per i sogni, per una dimensione fantastica che non è pura evasione, ma bisogno primario, nutrimento per la mente, linfa vitale, soprattutto poi in una realtà come quella attuale in cui la concretezza e la razionalità rischiano di prendere definitivamente il sopravvento sulla nostra parte sensibile. E anche se la mia apologia va un po' al di là dei confini di una visione obiettiva, credo che nessuno possa contestare il fatto che questi due fratelli quarantenni ebrei di Minneapolis, Minnesota, siano una delle realtà più piacevoli del cinema mondiale.
Concludo invitandovi ad una ricerca piacevole negli scaffali della vostra videoteca di fiducia. Affittatevi i loro film, anche quelli più vecchi come “Arizona Junior” (con Nicholas Cage) o “Barton Fink”. Non potrete sbagliare.

Voto 9++

Luca Dresda

 


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