L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

           di Luca Dresda


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Jakob il bugiardo
di Peter Kassovitz
con Robin Williams
Genere: Tragi-commedia
Durata: circa 120 minuti

Negli ultimi due anni abbiamo assistito ad un'insolita quanto riuscita tendenza cinematografica a rileggere l'Olocausto in chiave umoristica, iniettando un seme di speranza, cercando il sorriso e il buon umore per suggerire la necessità di ritrovare un germe di vita laddove pare esista soltanto follia omicida. Nessuno di questi film, da «La vita è bella » a «Train de vie», hanno mai voluto negare la tragedia, né sminuirne l'orrore, né tanto meno cercare una soluzione nell'oblio. È per questo rispetto che hanno avuto un successo a volte insperato. Ecco, mi pare che «Jakob il bugiardo » arrivi con un certo ritardo. Immagino che molti non ne abbiano sentito neanche parlare... e questo è un peccato.
In effetti il pubblico segue delle regole a volte piuttosto rigide. Dopo aver premiato sia Benigni che Mihailehanu (sconosciutissimo outsider di «Train de vie»), hanno accolto con indifferenza un altro film sull'Olocausto. E questo nonostante l'argomento sembri inaspettatamente fecondo, da un punto di vista umoristico. Senza nasconderci nulla, quante saranno le barzellete sugli ebrei? Forse è il secondo argomento più trattato dopo i Carabinieri, e molte di queste battute sono inventate dagli ebrei stessi. Si sa che il sense of humour è spiccato in questa comunità, lo studiava anche Freud («Umorismo e Ebraismo»).
Questo film ha una sua peculiarità rispetto ai due precedenti. Non è soltanto una favola, o un racconto di speranza. È soprattutto un riuscito tentativo di restituire una visione distaccata e originale che mira alla comprensione di ciò a cui poteva ridursi l'esistenza quotidiana di un Ebreo Polacco che vivesse all'interno di un ghetto. Ovviamente non esistevano solo le retate, i lavori forzati, i treni della morte o i Campi più o meno di sterminio. La vita, quello che restava di essa, continuava in luoghi ad hoc, a volte costruiti di sana pianta a volte evacuati e ripopolati alla meno peggio. Continuava mantenendo il massimo di dignità possibile, anche in condizioni di carenza delle più elementari misure igieniche, e gli individui si sentivano comunque se stessi, pur se sempre più assimilabili ad una massa indistinta e irriconoscibile ad uno sguardo distaccato. In realtà, sentire e provare emozioni, avere la coscienza delle proprie percezioni, la consapevolezza della propria condizione (la fame, la paura costante, i crampi allo stomaco, i parassiti, il freddo, la sporcizia), tutto questo era un lusso per temerari o per probabili suicidi. L'unico modo di avvicinarsi sempre di più alla fine di quella lenta e inesorabile tortura era allontanarsi da sé stessi, spogliarsi della propria interiorità, vivere di scansioni minime e definite, ridursi ad una tessera di un mosaico, una ruota di un meccanismo. Solo così si poteva sopravvivere ad una crudeltà ogni giorno più surreale. Ma non era una scelta, l'uomo ha una capacità straordinaria di adattarsi, pur se pagandone successivamente le spese.
In questo lento scorrere di un'esistenza ridotta ad un tempo ed uno spazio espropriati e colonizzati da paure e allarmi continui, gli individui continuavano a discutere, a raccontarsi storie, sicuramente a pregare e, perché no, a raccontarsi barzellette. Sembra assurdo per noi che dall'esterno inorridiamo alla lettura delle storie di quei sopravvissuti che fanno della divulgazione il senso della propria sofferenza passata, che anche in quel terrore si potesse trovare lo spazio rubato per un sorriso o per una battuta di spirito.
Jakob un giorno, seguendo un foglio di giornale svolazzante si trova davanti al cancello di accesso al Ghetto, al limite dell'orario di coprifuoco: le 20.00. La sentinella lo spedisce immediatamente dal Comandante perché gli dia la giusta punizione. Nell'attesa dell'Ufficiale in pieno banchetto con una ragazza rotondetta, Jakob ascolta alla radio la notiazia dell'avanzata dell'Armata Rossa verso il confine Polacco. Meraviglia delle meraviglie! Un solo problema. I nazisti non hanno soltanto massacrato e sfruttato gli ebrei, no. Quello che si deve sapere e ripetere alla nausea è che si è perpetrato uno dei disegni più razionalmente congegnati della storia dell'Umanità. Dovevano essere azzerati, ridotti a ombre, quasi convinti della giustezza della propria spregevolezza. Gli ebrei non dovevano sapere nulla. niente radio, niente giornali, niente di niente. Il tempo lo avevano fermato i feldmarescialli di Hitler. Jakob si trova in una situazione irreale. Ha in mano una notizia piena di speranza, e allo stesso tempo la sua condanna a morte. Come in una tragedia annunciata, in un litigio gli sfugge una frase di troppo sui Russi. E sulla radio che ha ascoltato.
Si sa, il Ghetto è un piccolo paese e la gente mormora. In un attimo, tutti salutano Jakob come colui che ha la radio, il coraggioso ma anche la fonte di possibili nuove notizie di speranza. A niente vale la sua negazione. Come può raccontare di essere stato nel Comando del Ghetto? Questo equivarrebbe a dichiarare di essere un collaborazionista! Passa un giorno e passa un altro, Jakob, che tra l'altro nasconde veramente un segreto nel suo appartamento (una bambina sfuggita da un treno della morte e di cui si prende cura a suo rischio e pericolo), comincia ad inventare storie sull'esercito Russo e su quello degli Americani che avrebbe spedito piccole band Swing al fronte per tirare su il morale delle truppe. Queste storie hanno grande influenza sulla popolazione; i suicidi si arrestano, la gente ricomincia a riconoscere una dimensione dimenticata: il domani. È un quadro veramente insolito, duro quanto tenero, angosciante quanto ironico, oscuro e brillante. Mi piacevano gli ossimori per descrivere le sensazioni comunicate da questo film.
Devo essere onesto fino in fondo. Ho avuto la sensazione che fosse un po' troppo simile a «La vita è bella», e in fondo quando vidi quel film ho provato un po' di fastidio (forse bigotto) nel vedere quella tragedia di cui leggo costantemente, ridotta ad una favoletta tra padre e figlio. Ma «Jakob il bugiardo » non ci risparmia la cruda realtà della tragedia. E se il messaggio è di speranza nel futuro, non ci mostra soltanto la favoletta della star di turno, anzi si esce dal cinema con un bel groppone nello stomaco. Chiudo con una proposta: dato che non lo troverete nelle sale....affittatevelo!! Non va perso, fidatevi. Robin Williams è un po' troppo istrione forse, ma il cast è eccezionale, in bravura e intensità. Buona visione (privata).

Luca Dresda

 


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