L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

           di Luca Dresda


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BREAD & ROSES
di Ken Loach
Con: Pilar Padilla, Adrien Brody, Elpidia Carrillo.
Genere:Drammatico-Sociale.
Sceneggiatura: Paul Laverty.
Musiche Originali: Gorge Fenton. Durata: 110 minuti circa.

Loach si lancia nella sua prima avventura americana con il suo solito piglio, con quella dose di passionalità e di forza emotiva che lo contraddistingue. Si insinua in quella ferita sempre aperta che è l'immigrazione clandestina dal Messico. Un confine colabrodo. Un confine che rappresenta la meta di migliaia e forse milioni di persone che nei propri Paesi non ha alcuna speranza di sopravvivere dignitosamente. La fuga da Paesi come Ecuador, Nicaragua, Salvador, Guatemala, e lo stesso Messico è senza soluzione di continuità, un affare per le mafie locali, per gli sfruttatori di queste miserie. Ne sappiamo qualcosa noi italiani. Queste persone sono prese quasi in ostaggio fino al pagamento all'arrivo negli Stati Uniti del pattuito. È come un riscatto. Una vera e propria compravendita di carne umana. E può anche accadere che i "caronti"-carogne non si accontentino dei soldi e cerchino delle soddisfazioni extra. Ma non finisce qui.
Come in tutte le società occidentali questi fantasmi, parvenze di esseri umani fino all'ottenimento dell'agognato permesso di soggiorno, vagano in cerca di lavori che nella maggior parte dei casi sono pagati in nero, senza garanzie sindacali e senza nessuna previdenza o assicurazione di sorta. Stipendi che sono spesso inferiori a quelli che i colleghi nativi potevano percepire parecchi anni prima. Lo sfruttamento è totale. Senza lavoro non si ottiene il permesso, e tutto ha un costo. Chi sono i capi di questo enorme affare? Chi collude con questi sfruttatori-evasori fiscali?
Maya è appena arrivata in USA spinta dalla ricerca di una nuova vita. Va a trovare la sorella Rosa e la sua famiglia. Ha già un lavoro, ma lei vuole entrare nell'azienda di pulizie dove lavora Rosa. Ci riesce ma anche qui come nell'altro posto deve cedere la prima mensilità per ottenere il permesso di soggiorno dal "generoso" capo dei supervisori messicano anch'egli. È una catena senza fine. Il ricattato una volta salito di grado non può fare altro che ricattare a sua volta. La libertà è un'altra cosa. La libertà è quella che i sindacalisti cercano di insinuare in questi lavoratori senza diritti e senza previdenza. La libertà di associarsi, di lottare per le proprie esigenze, di ottenere delle garanzie minime. La questione è universale. Pochi si fermano di fronte alla possibilità di sottopagare i dipendenti quando il rischio non è poi così elevato e quando i dipendenti stessi vedono quel posto di lavoro come un'ultima spiaggia, vitale.
Rosa non vuol sentire parlare di sindacati e di lotte dei lavoratori, vuole solo lottare con la sopravvivenza come ha sempre fatto, lei che ha un marito malato di diabete che riesce a malapena ad avere le medicine necessarie. Maya ha invece uno spirito più agguerrito e viene attratta dal messaggio di Sam e la sua collega del sindacato pulitori.
Sembra un quadro di fine XIX Secolo, eppure nella modernità risplendente del 3° Millennio c'è ancora chi vivendo accanto a noi, non ha nemmeno quelle minime garanzie che ogni lavoratore d'oggi reputa prerequisito di base. Esiste una società parallela, o meglio un ambiente che vive in un caos in cui il più forte riesce ad arricchirsi nel fango.
La lotta va avanti tra dubbi, delazioni, tradimenti e rivelazioni familiari. Rosa confesserà a Maya come ha fatto in tutti questi anni a mandare regolarmente il suo assegno alla famiglia. È anche questa la spada di Damocle che pende su ogni immigrato, la consapevolezza che tutti quelli che sono restati in patria confidino in lei o lui, che non può dimenticarli, che deve lavorare il doppio pur essendo pagata la metà di una persona residente.
Non mi soffermo più sulla trama per non rovinare la visione, anche se non trattandosi di un giallo non sarebbe un gran disastro. Quello che mi interessa analizzare è il percorso di Loach. L'ultimo film era stato "My name is Joe" con il quale il regista era tornato a parlarci delle classi proletarie britanniche. Della sofferenza, delle privazioni di quegli strati sociali che in un paese come l'Inghilterra vivono spesso al di sotto della soglia di una vita soddisfacente. Film pluripremiato (Palma d'Oro all'attore protagonista Cannes nel 1998 a Peter Mullan lui stesso regista del bellissimo "Orphans" nel 1997), "My name is Joe" segnava appunto un ritorno al paese d'origine dopo l'esplorazione per così dire "internazionalista" di "Terra e Libertà" (film sulla guerra civile spagnola durante il regime di Franco) e de "La Canzone di Carla" (Sul Nicaragua Sandinista afflitto dalla guerra civile contro i Contras finanziati dagli Stati Uniti). Ma mentre in questi due ultimi casi la potenza del messaggio socialista di Loach fa breccia e si insinua con prepotenza negli spettatori, in "Bread & Roses" sembra che la sua lama si sia un po' spuntata, perdendo smalto e incisività.
Il tema viene sì trattato con la crudezza e la schiettezza di sempre, ma i personaggi sono un po' sottotono, forse troppo poco drammatici, quasi ludicamente certi del proprio successo. E anche nei momenti più carichi di tensione manca una certa credibilità che un doppiaggio italiano al di sotto degli standard normali, contribuisce ad incrinare.
Inoltre, è girato alla Loach, scarno, essenziale, lucido, senza manierismi o inutili arzigogoli cinematografari. Aggiungerei un ma che si situa proprio all'inizio del film. Questi è moderno, con camera a spalla, in movimento, ad accompagnare la fuga dei messicani verso la terra promessa. Una tecnica molto in voga, rilanciata alla grande da Von Triers e i suoi adepti di Dogma 85. Ecco, questa parentesi stilistica "diversa" è come un fulmine a ciel sereno nella filmografia di Loach, e mi domando se la scelta eccessivamente rigorosa, documentaristica, "oggettiva", a volte non spogli troppo la storia della sua dose di fiction, di sogno, di evocazione, di pathos drammatico, rendendola troppo priva di marchio e di segno, in breve lasciando lo spettatore senza un sapore specifico. Rimango con il dubbio.
Voto 7+

Luca Dresda

 


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