L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

           di Luca Dresda


Già visti e giudicati...  NOTTING HILL  * LA RAGAZZA SUL PONTE *  FIGHT CLUB * SESTO SENSO *  MIFUNE *  THE EYE *  BEING JOHN MALKOVICH *  SUMMER OF SAM *  JAKOB IL BUGIARDO *  GHOST DOG

The BLAIR WITCH PROJECT
di Daniel Myrick e Eduardo Sànchez
Genere: Horror in stile documentaristico.
Durata: 85 minuti circa.

Abbiamo ascoltato ogni genere di commento e di notizia su questo evento. Sì, evento, perché andando al cinema a vedere questo film si entra in una dimensione irreale, costruita ad arte da due giovani geni Americani. Il tutto è nato qui, tra noi, nel mondo di Internet. I due creano un sito nel 1994, che parla del mistero della Strega di Blair (altro nome per la cittadina di Burkittesville nel Maryland) e di quattro ragazzi scomparsi nel bosco della zona mentre cercavano di realizzare un documentario sulla Strega in questione (questo è il Progetto del titolo). Dopo solo poche settimane il sito contava oltre centomila passaggi. Questa era la prova che i due ideatori avevano colpito nel segno. Dopo un anno appare la notizia che, a seguito di intense ricerche, erano stati ritrovai degli zaini contenenti del materiale cinematografico, ma soprattutto delle videocassette e della pellicola: il girato! Un anno di misteri, e adesso non restava che presentare il film vero e proprio. Il mistero s'infittiva, la realtà (the real world) e il virtuale si confondevano inestricabilmente.
Cosa c'era in quelle videoccassette? La Strega di Blair esiste davvero? E i tre giovani, dove sono? Chi sono, soprattutto? E se la Strega non esiste, cosa ci sono andati a fare nel bosco di Burkittesville?
Non voglio confondere ulteriormente le acque, ma ammetto che anche un "Internettaro" come me ha avuto le sue difficoltà nel mettere ordine in una questione così complicata. Sì, perché attraverso questa operazione ci rendiamo conto dell'attrattiva che rappresenta il fantastico, il virtuale, e la distanza che esiste tra chi gestisce il mezzo (e potenzialmente potremmo essere noi tutti a farlo) e semplici utenti. In qualche modo apre una serie di prospettive anche inquietanti che non sta a me, qui, discuterne.
Esce il film ed è subito ressa ai botteghini. Ma cosa andava a vedere la gente? Un film horror? I volti degli scomparsi? Andava a scoprire il mistero? Curiosità? Voyerismo? Difficile vedere una ressa del genere per un film horror, neanche «Scream» che pure per me è un capolavoro, ha visto incassi del genere... E non vale la teoria secondo cui gli Americani sono un popolo di ingenui, che crede a tutte le storie. Io stesso ho spiegato a più di una persona che la storia era inventata e non vera!? (Ma sarà così poi?) Forse questo valeva nel passato. Basta pensare alla famosa trasmissione radiofonica in cui Orson Welles annunciava l'invasione della terra da parte dei Marziani. Psicosi generale!
Quei tempi sono lontani, sembrano il MedioEvo della comunicazione. Eppure, cambia il mezzo, ma la storia si assomiglia. The B.W.P. è un film intelligentissimo, costruito in modo perfetto, dove il Male, l'Incubo, non viene mai mostrato. Non ci sono effetti speciali, né scene di carneficine o sbudellamenti vari. È il buio e il disorientamento che sono padroni. La tensione cresce gradualmente senza tregua, fino ad un climax finale. Non aspettatevi grandi colpi di paura, qui il terrore viene da una costruzione quasi sempre in soggettiva, dal di dentro, e noi pubblico siamo forzati a condividere con i tre documentaristi, le pene di un ambiente ostile. Il risultato è strepitoso. Ma non lo è per tutti. La critica, dopo aver esaltato l'operazione di Marketing, ha stroncato in coro il film, definendolo un bluff. E anche il pubblico, spesso è deluso e sprezzante. Io sarò di parte, ma qui siamo di fronte ad uno degli horror migliori in assoluto. Il modo in cui viene girato (un po' in bianco e nero un po' a colori, quasi tutto con telecamera a spalla fino a provocare un senso di nausea) è l'unico possibile. Ricordiamoci che quello che si vede è il materiale filmato per realizzare un documentario, non un film a proposito di tre documentaristi. Non so se la differenza è chiara.
Due cose prima di concludere.
Primo: il doppiaggio. Questo è uno di quei film che per essere apprezzato nel bene e nel male, ha bisogno di un'immersione totale da parte di chi lo vede. Il doppiaggio purtroppo fa da filtro e agisce anche sull'inconscio, distanzia. Da vedere in originale (si apprezza anche di più la recitazione strepitosa dei tre attori!!)
Secondo: La camera a spalla, le immagini mosse ormai sono un "must" abituale (Dogma docet), ma danno fastidio ai più. Però è così che il nostro occhio vede la realtà, è solo nei centri cerebrali, nel processo percettivo, che l'immagine viene stabilizzata. L'immagine mossa è come una visione non elaborata. È il punto di vista soggettivo per eccellenza!!! Il modo migliore per rompere la quarta parete e far partecipare attivamente il pubblico all'azione (sempre che questi non voglia soltanto evadere e "lasciarsi trasportare" da una storia forte).
Ripeto, per me è un film eccellente, ma anche questa volta magari sono di parte. Sì, perché questo tipo di linguaggio mi piace, lo apprezzo in special modo, fa parte del mio background, lo trovo innovativo e dinamico, sprezzante, crudo, essenziale. È un linguaggio immediato, come immediato è il modo di comunicare dell'inconscio.

Luca Dresda

 

Al di là della vita
di Martin Scorsese
Con Patricia Arquette e Nicholas Cage
Genere: Drammatico
Durata: 118 minuti circa

Film scostante lo definirei. Questa volta vi propongo una critica non positiva. Negativa, per essere onesti, ma provo del dolore fisico a trattare male Martin Scorsese ...ricordate «Taxi Driver», «Toro scatenato», «Re per una notte», «Fuori Orario», «Mean Streats»? Come fare a mettere in discussione un tale monumento? Voi direte: «Mettendolo in discussione se lo merita!» E avete ragione.
Ho preso a vedere i film quasi sempre in originale. È un'abitudine che consiglio a tutti, magari cominciando con i sottotitoli visto che gli attori USA parlano spesso in slang, in dialetto, non facile da comprendere. Nella versione originale non ci sono i vezzi dei doppiatori, c'è questo suono molto vero, a volte sporco, delle voci non sempre impostate e perfette e tutto questo ci avvicina al cinema da una posizione differente. Altrimenti, ci impigriamo con i suoi edulcorati delle sale di registrazione. La presa diretta, usata anche nei film italiani ormai, è un bene e non un impoverimento, o per lo meno è la normalità. Un film è registrato nel luogo in cui è filmato. Il film doppiato è come (scusate la similitudine) un politico che parla con una calza sulla telecamera per attenuarsi le rughe!
Beh, ho trovato Patricia Arquette insopportabilmente cantilenosa, finta e a tratti rigida, mentre Nicholas Cage addirittura vuoto. Pare una bestemmia.
Ho deciso di sottoporvi questa ciritica negativa per confrontarci meglio, per riuscire a capirci meglio. Io che scrivo da questo piccolo ma generoso pulpito ho sempre una posizione di vantaggio in qualche modo, no? E poiché il mio gusto non è IL GUSTO, ma solo e soltanto una parziale visione del cinema, è giusto che parli anche di certi film che hanno un buon riscontro al botteghino e che non hanno la mia approvazione. Discorso complesso.
«Bringing out the dead» (al di là della vita- sarebbe in verità qualcosa come: estrarre la morte, prendere dalla morte) è un film pretenzioso, ridondante della retorica della città che chiede agli uomini di essere eroi, di compiere gesta epiche. Una città che al calar della notte come una spugna strizzata, mostra una fauna umana conflittuale, autodistruttiva, anarchica, qualunquista. Una città piena di contraddizioni, pericolosa, ma per questo moralmente "utile", sì, perché permette all'uomo giusto di riscattarsi compiendo gesta uniche.
Pare un'ambientazione biblica più che una semplice storia metropolitana. In fondo, che ci sarà mai a New York? Non potremmo trovare forse le stesse contraddizioni in città ancora più antiche come Londra, Dublino, Glasgow o Parigi? E se andassimo ad Amburgo?
Vedete in Altman, per esempio, l'ambientazione americana serve spesso e molto volentieri come spunto per una critica di un certo modo di vivere, e non per poetizzare un'esistenza in fondo arida e piena di frustrazioni. E qui il primo Scorsese non era da meno. Nel cinema di serie B degli USA, invece, viene propinata la retorica del "I love this town" (io amo questa città), frase che senza la stessa ironia fa il verso al grido di battaglia dei Blues Brothers: «Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare». Come a dire, che sono proprio la sporcizia, i suicidi, la solitudine, le sofferenze e le disperazioni che rendono questa giungla d'asfalto notturna un impero della possibilità di riscatto. È quasi una neo-morale cattolica rivisitata ad uso e consumo di coloro che in fondo vivono di queste contraddizioni.
Se il film è la vita di un paramedico che opera in un'unità mobile di pronto soccorso (dicesi ambulanza), la cui funzione è recuperare pezzi di esistenza dispersi, diventati alieni, è anche una parabola sul cinismo paradossale attraverso il quale questo eroe contemporaneo riesce a suo modo a dare un senso alla propria impotenza. È chiaro che recuperare pseudosuicidi al loro ennesimo tentativo goffo, oppure rianimare ubriaconi o folli impasticcati abbonati al reparto urgenze, appare come un paradosso esistenziale. La routine, la quasi coazione a ripetere può essere interrotta soltanto da un gesto altrettanto folle e dissennato. E qui ci siamo. Come dicevano i Greci antichi, «similia similibus curantur» (come a dire che per curare un individuo è necessario un suo simile, nel senso di somigliante). Vale a dire che nel soccorritore esiste una dose di distruttività che lo rende capace di interagire con la vera distruttività senza soccombere, anzi traendone spesso nuova linfa vitale.
Sì, però tutto questo discorso non è trattato con la poeticità d'immagine che sarebbe necessaria.
E non voglio inoltrarmi troppo nei meantri della critica. Mi limito ad un distacco, esprimendo una delusione che è frutto di un precendente amore senza limiti.
E per questo vi spingo a vedere questo film ( se non l'avete già fatto) e a confrontare questi piccoli frammenti di discorso con la vostra idea dello stesso. Non è detto che non abbiate colto qualcosa che a me è sfuggito!?

Luca Dresda

 


CinemaCinemaCinemaCinema...
e, quando torni a casa, niente Tv:
leggi un Buon Libro Simonelli Editore
Perché non ti abboni?

Hai qualche commento da fare? Mettilo tu stesso on line
in The Web Park Speaker's Corner