L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

           di Luca Dresda


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Ghost Dog
di Jim Jarmush
Con Forest Whitaker
Genere: Dramma (in chiave di poema)
Durata: 116 minuti circa
L'educazione spirituale di un allievo samurai Newyorkese nero, alle prese con la comunità dei gangster italoamericani.
Ricordate il discorso a proposito del film di Spike Lee? Beh, continua la saga dei mafiosi siculo-statunitensi sempre più ridicoli e fuori dal tempo, superati da un mondo che sfila via sempre più veloce e annichiliti anche da un killer nero seguace della filosofia orientale dei Samurai.
Devo dire che mi colpisce come la nuova cinematografia americana trovi spazi indipendenti di comunicazione quasi esclusivamente attraverso la violenza e le uccisioni a catena. Parlo di Tarantino, di Spike Lee, di Jarmush stesso, ma che dire dei maestri alla Coppola e Scorsese che per primi forse hanno visto nella violenza il mezzo per evidenziare un problema profondo di coesistenza tra individui? Questa tendenza ha poi condizionato anche noi europei, e Luc Besson è solo uno degli esempi (avrete sicuramente visto o sentito parlare di Nikita e Leon).
La violenza estremizzata, il killer solitario che si muove come un fantasma nel caos metropolitano, che anticipa le mosse dei suoi nemici, che vive dell assassinio e che è un profondo conoscitore dei misteri della vita... o che difende forse il mondo da qualche ingiustizia. È una figura che appare sempre come segnata, chiusa, misteriosa, poco incline al sorriso o alla tenerezza pur non essendo privo di cuore e di generosità d'animo.
Credo che, come dico spesso, penetrando all'interno di questi gesti estremi o avvicnandosi a questi personaggi limite, si riesca a suscitare per induzione una riflessione di livello più profondo sul senso della vita, sul cammino esistenziale degli individui, sull'unicità degli esseri umani. È chiaro che tutta questa violenza, il sangue che fiotta copioso costantemente, morti e feriti, ci fanno entrare in una dimensione onirica in cui il senso va ritrovato nel percorso iniziatico e di traformazione del personaggio principale. Ogni morte richiama simbolicamente la possibilità di una nuova vita, diversa e ad un livello superiore. Jarmush già in Dead man con Jonny Depp si era addentrato nei percorsi di una filosofia esotica, quella dei pellerosse, cercando di approfondire il tema del passaggio dalla vita alla morte attraverso un percorso denso di incontri illuminanti.
Qui invece è, consentitemi, l'ossimoro terminologico, similmente, vediamo un allievo Samurai che insegue l'obiettivo più lontano, quello più difficile, il controllo sulla propria vita, la piena presa in carico del proprio destino, in un tragitto "pedagogico" e spirituale che lo porterà inevitabilmente all'estremo passaggio, quello della propria inziazione.
Il tema dell'allievo e del passaggio di consegne è trattato con una delicatezza degna di un vero poeta. Ghost Dog, il grande nero braccato dai mafiosi italiani, conosce una bambina bellissima dall'intelligenza e sensibilità superiori alla media, fatto che la fa essere curiosa e attenta. C'è uno scambio di opinioni su dei libri, il killer gliene darà inizalmente anche uno da leggere (Rashomon, da cui Akira Kurosawa ha tratto la sceneggiatura per uno dei suoi capolavori), e questi gesti semplici segnano un destino. Poi c'è l'amico di Ghost Dog, il venditore ambulante di gelati. Un nero francofono che non parla e non capisce l 'inglese. Il caso o semplicemente l'ncontro tra due anime gemelle vuole che i due parlando ognuno nella sua lingua dicano le stesse cose, creando anche un effetto comico non male. Ma queste diversità sono soltanto apparenza, nel profondo di ognuno dei due c'è una vicinanza spirituale e psicologica che li rende uniti.
Solo un grande cineasta sa esprimere concetti così complessi con un tocco delicato di questo genere. È tipico del genio gettare poi una spruzzata di ironia a completare la ricetta magica.
Non sono obiettivo, me ne rendo conto, ma per me Jarmush è veramente qualcuno! Poco conosciuto, anche perché fa film solo quando ha qualcosa da dire e non alla Vanzina, ad ogni sbadiglio, è figlio di una cultura cosmopolita, che mira alla ricerca di un senso comune, un nesso, un segno. Non descrive storie di provincia, identificabili assolutamente e irrevocabilmente con un ambiente storico e sociale, i suoi racconti sono ambientati in un "ovunque" che per necessità diventa New York o Helsinki, o una foresta dell'interno statunitense, ma che potrebbero avere luogo chissà dove.
Ho detto forse anche troppo. Il resto sta a voi.

Luca Dresda

 


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