L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

           di Luca Dresda


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KADOSH
di Amos Gitai
Con: Yael Abecassis e Yussuf Abu-Warda
Genere: Drammatico.
Durata: 110 minuti circa

Sono stato tramite Il Club de La Repubblica, all'anteprima di questo film che non so veramente come definire. Il regista e l'attrice principale hanno prima fatto una piccola introduzione. Confesso che avrei preferito sentirli parlare dopo la proiezione. Cosa si può recepire dei discorsi su un film che non si è ancora visto? Ma ormai i dibattiti sono fuori moda e si opta piuttosto per la pubblicità o la promozione.
Una storia veramente antica per certi versi, nel senso della tradizione. Una piccola minoranza ultraortodossa ebraica a Gerusalemme. La lettura delle scritture e le leggi imposte dalla comunità sono più forti di qualsiasi vincolo d'amore. Siamo a un tema affrontato in tutte le sue sfaccettature: l'amore contrastato. Qui in realtà, il problema reale, l'imbarazzo della comunità è verso una coppia che non fa figli dopo dieci anni di matrimonio. Il marito è il figlio del Rabbino, e questo rappresenta un ulteriore motivo di contrasto. Non importa verificare chi dei due sia sterile, perché per le comunità di questo tipo la donna ha senso solo nella maternità (e soprattutto quando dà luce ad un maschio), ed in questo è implicita la condanna dell'emisfero femminile. È ovviamente la donna ad essere infeconda. L'amore che lega la coppia è vero, sentito e rappresenta anche un germe di rivolta, pur se inesploso. Ma la forza del verbo divino è più potente delle scelte umane.
Qui potremmo aprire una parentesi infinita sulla pericolosità sociale di comunità tradizionali di questo genere, non importa quale sia la loro religione. Il messaggio: «fai figli per conquistare il mondo», non è tanto fuori dalla realtà. Il problema di chi difende una tradizione basata sulla cristallizzazione dei costumi e delle abitudini è l'intolleranza, l'imposizione, l'annullamento delle individualità. La convivenza pacifica implica flessibilità e tolleranza, ha bisogno di essere coltivata nel rispetto delle diversità e non nell'imposizione di un verbo univoco. Quando il Rabbino comunica al figlio il proprio imbarazzo condiviso dalla comunità, il significato del fare figli in un mondo di "senza Dio" (chiamati "gli altri") che al contrario non prolifica, sentiamo il desiderio irrefrenabile di ribellione, speriamo in un addio, un abbandono. No, un uomo nasce nella consapevolezza di non poter sfuggire a Dio e alla sua vendetta. Il senso di colpa schiaccerebbe il nostro protagonista forse, ma forse no.
Ce ne sono stati di uomini coraggiosi che hanno rotto le catene di una cultura ingessata e tirannica. Fatto sta, che la comunità gli affida una nuova moglie, che lui non ama ma che secondo tutti gli darà i figli che lo faranno diventare uomo a pieno titolo. Ritmo lento ma non ossessivo, grande tensione emotiva, forse una tendenza marcata alla recitazione americaneggiante, e soprattutto la potenza di una storia che ci guida all'interno di un mondo assolutamente estraneo al nostro.
Mi pare un'operazione molto interessante. Forse non sarà un grande film, e neanche troppo coinvolgente, ma ha una sua forza emotiva non trascurabile, che potrà farvi commuovere in più di un momento. Cosa aggiungere?
Beh, l'attrice protagonista: è una donna bellissima che nel film si trasfigura in una semplice donna, una delle tante della comunità a cui poco è permesso e che porta in volto questa clausura sociale. Notevole Voto 7
Buona visione!

Luca Dresda

 


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