L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

           di Luca Dresda


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PONTE MILVIO
di Roberto Meddi
Con: Toni Ucci, Nina Soldano, Francesco Medici, Alex Van Damme, Giuseppe Antignati, Michele Melega.
Genere: Drammatico/Sociale
Sceneggiatura: Gioia Magrini
Durata: N.P.

Martedì 7 Novembre. Un piccolo evento ci ha allietati. Arriva in redazione un invito per l'Anteprima di questo film italiano, e certamente è il segno dell'espansione di Internet. È una sorta di legittimazione del nostro lavoro, se mai ce ne fosse bisogno, e un incoraggiamento a continuare a percorrere questa strada teoricamente più facile, ma spesso segnata da una mancanza di feedback. La Rete è a portata di tutti e, proprio per questo, anche molto frammentata. A volte è facile avere la sensazione di scomparire nella quantità. Ma è una sensazione errata nel nostro caso.
Naturalmente non mi lascio sfuggire quest'occasione. Sono curioso. Sapete benissimo come la pensi sul cinema italiano. Il problema è complesso e cercheremo di sviscerarlo dialogando con personaggi del settore [nde:Un'inchiesta-dibattito sul Cinema Italiano che sarà on line tra brevissimo e da cui speriamo che scatti a livello popolare un serrato scambio di opinioni sull'argomento in The Web Park Speaker's Corner, il nostro ForumAutomatrico dove, naturalmente, si può liberamente intervenire anche per commentare queste recensioni].
I film che riescono ad uscire in sala sono pochi, quelli che il pubblico premia con la propria presenza ancora meno. Ed esiste un folto gruppo di film più o meno piccoli (di budget e spesso anche di idee) che sfuggono completamente all'attenzione. Non vanno a Festival, non ne parlano i quotidiani. Sono soldi del Fondo di Garanzia gettati alle ortiche. Questa è la realtà, e ha poco a che vedere con la qualità dei prodotti. O meglio, le due cose a volte hanno un rapporto di proporzionalità diretta (tanto più è sconosciuto un film, tanto più è brutto), ma non è una regola assoluta. È anche vero che una buona idea sviluppata da un buon regista ecc. ecc., se usufruisce di un finanziamento di pochi spiccioli, dovrà essere rivista in funzione di quelle due lire. Ma allora perché farlo comunque, il fim? Non sarebbe meglio una forma di sciopero di protesta? Smettere di realizzare film per un certo tempo per dimostrare contro un sistema che non permette ai talenti di crescere, li comprime, li costringe a lavorare solo in televisione. Non forma le nuove generazioni, non dà spazi per le nuove proposte.
Proponiamo qualcosa di nuovo invece di sfornare continuamente film della serie vorrei-ma-non-ho-il-contante!? Poi vediamo anche ex-grandi registi che da anni immettono sul mercato prodotti inguardabili, ma si sa che in Italia chi raggiunge una posizione non la molla più. Non sarebbe così se valesse il valore, il merito, invece che l'attack che ci mettiamo sul sedere per aderire alla poltrona.
Stop. Parliamo del film in questione.
Ponte Milvio, lo spazio. Una giornata, il tempo. Cinque storie parallele, marcate da un segno: il disagio, «con protagonisti di età diverse, dai cinque agli ottant'anni, colti in una "giornata particolare" della loro vita.» [dalla sinossi degli autori]
È un coacervo di esistenze parallele segnate da una forte difficoltà a comunicare, da una crisi acuta potremmo dire. Il bambino, Simone, figlio di un architetto e di un'insegnante. Una famiglia benestante, ricca fuori e povera dentro. Un classico. Un padre troppo preso dai suoi affari per giocare. E l'unica compagna della giornata rimane la televisione. Da qui la decisione improvvisa, scappare e di avventurarsi nella giungla d'asfalto, salvo poi desiderare di ritornare a casa una volta assorbito il momento di ribellione. Quando il suo gesto ha intaccato quell'apparente tranquillità familiare.
Poi c'è l'adolescente che vive con la madre sola. Una tossicomane che "batte" per vivere. Un personaggio controverso, troppo maturato per la sua età.
In un seminterrato vive Bruno con sua moglie e sua figlia. Un disoccupato privo d'iniziativa parrebbe. E in effetti, alla romana, decide di partecipare ad una rapina in banca (si sa che i romani classici sono un po' ladroni). Un colpo da banda del buco, passando per le fognature. Una metafora?
Poi i due giovani "barboni". Uno africano, Zahid, l'altro in conflitto con la madre, Stefano. Due esistenze che galleggiano, prive d'identità quasi, svuotate, che vivono sotto al ponte. Forse due personaggi scontati, ovvi, che mancano di uno spessore.
Infine, Aldo, un pensionato che vive con la moglie allettata da uno scippo, invalida che sogna di andare in Casa di Riposo. Due vecchi che si autorecludono.
Fin qui la storia. Confesso che il film non mi ha convinto molto e continuo a pormi le domande che formulavo all'inizio di questo intervento. Ho trovato questo film troppo descrittivo, al limite del non interventista. Mi spiego.
La realtà così com'è (o forse, così come la scrittrice la intende) di per se non è cinematografica. Quello che "tocca" le corde è l'insinuarsi nei perché, nelle crisi, entrare dentro le dinamiche psicologiche e viverle con crudezza e coraggio. In Italia siamo tutti un po' moralisti, ci hanno abituato a questa normalità da ricercare a tutti i costi, non mettiamo le mani nella melma e se lo facciamo abbiamo già pronta la salvietta rinfrescante.
Ho dialogato con gli autori via mail e il risultato lo vedrete on-line molto presto. Vedo comunque una sorta di rassegnazione, che mi dispiace e mi irrita. Sì, perché alla fine ognuno si prende quei pochi spiccioli e scappa a girare. I produttori poi, gente che non rischia nulla, dei "politici" senza nessun interesse nel settore. Mettono in tasca parte del misero finanziamento senza meriti. Ma perché in Italia si danno soldi a chi non fa nulla? Sembra la Repubblica dei nullafacenti. Se vuoi fare ti mandano a casa, o ti "promuovono", se invece "scaldi la sedia" e non rompi gli equilibri di potere...
Direte voi che c'entra questo con il film e il Cinema? Molto, troppo, purtroppo.
La discussione non finisce qui. Auguro agli autori il meglio. Ma questo loro prodotto non mi sento di promuoverlo. Mi astengo dal dare un voto. E mi aspetto un segnale. Sì, mi aspetto che qualcuno un giorno quando si trovi a girare in condizioni disarmanti, si ribelli, scioperi, faccia una piccola rivolta, qualcosa. Oppure si dia al cinema indipendente, auto-prodotto.
Continuare così è deprimente. Vedere non-attori (solo alcuni in questo caso) sullo schermo è deprimente. Si, perché non è completamente chiaro se lo si faccia per convinzione neorealistica [ancora?] o per necessità di bilancio.
Questa nostra non è certo una vetrina specializzata. Oggi però, il cinema è lo svago più importante nel mondo, e più che l'afflusso nelle sale sono i noleggi e gli acquisti di videocassette e DVD a regnare sovrani. Tutti, quindi, hanno una cultura cinematografica, anche senza sapere cosa vuol dire scrivere una storia, dei dialoghi, organizzare una troupe, scegliere e dirigere degli attori, e montare un film. Come sempre il giudizio ultimo spetta ai lettori.

Luca Dresda

 


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