L'occhio indiscreto
Poltronissima di Prima Visione

di Luca Dresda

 

 


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PINOCCHIO

di Roberto Benigni

Con: Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Kim Rossi Stewart, Carlo Giuffré, Alessandro Bergonzoni, Beppe Barra, I Fichi D'India.

Sceneggiatura: Roberto Benigni e Vincenzo Cerami.

Genere: Fiaba.

Nazione: Italia

Durata: 108 minuti.

28 Ottobre 2002

Pinocchio. Una favola eterna, che accompagna tutto il Paese senza distinzioni dall'infanzia e lo segue nella sua crescita con versioni e varianti di ogni tipo. Pinocchio è anche un Siddharta, che attraverso le esperienze più diverse, dalle lecite alle quasi illecite, trova la sua strada e la maturità. Pinocchio è esibizionismo sessuale, come dice la psicoanalisi, per la quale il naso che si allunga è simbolo fallico. Pinocchio è un discorso sulla morale e sull'ubbidienza, sull'amore filiale, sulla conoscenza, sul difficile e labile confine tra cattivi e buoni maestri.
Diciamolo pure, Pinocchio è tutto e il contrario di tutto. Bandiera dei cattolici e bandiera dei 'rivoluzionari', ognuno dei quali può trovarvi il suo, senza ledere o violentare la fantasia insita nella favola.
Ma Pinocchio è anche il chiodo fisso di Benigni. Sono anni che ci lancia messaggi sul suo essere il burattino senza fili (che già di per sé è una buona rappresentazione del comico toscano). Io, personalmente, lo vedrei molto meglio nei panni di Lucignolo, ma lui no, lui si sente Pinocchio il bugiardo, Pinocchio l'estatico. E qui forse pecca di presunzione. Sì, perché è vero che Pinocchio è il burattino che trovandosi bambino scopre il mondo, la possibilità di viverlo, respirarlo, toccarlo, sentirlo. È anche vero che la sua ingenuità travalica i limiti di sopportazione degli adulti responsabili, dei 'grilli parlanti' per dirla chiaramente, ma è anche vero che questo Pinocchio saltellante e giocoso, da prima serata in Tv su RaiUno, che fa dispetti a Raffaella Carrà o a Pippo Baudo, è un po' troppo sopra le righe e rischia di mettere troppo in disparte le tante sfumature della fiaba.
Che dire di questo Mastro Geppetto un po' ingessato, al modo del teatro napoletano, senza quella carica umana a cui eravamo ormai abituati a pensare dopo la serie televisiva di Comencini?
Che dire di un Kim Rossi Stewart assolutamente fuori parte, forzato, in un comico macchiettistico nel quale è totalmente fuori posto?
E il gatto e la volpe dei Fichi D'India?
Invece di essere due furbacchioni patentati, due calcolatori crudeli e spietati, cinici fino alla fine, diventano due burloni clowneschi anche poco divertenti, due venditori ambulanti, perdendo quel carattere di macchia scura, di attrazione fatale che esercita il male e la perversione tipiche nelle fiabe di tutti i tempi.
Non mi soffermerei su una fatina che francamente è priva di attrattive. Né mi dannerei l'animo su un grillo parlante poco magnetico. Invece vorrei rimarcare la grandezza di un direttore del circo azzeccatissimo. Un Bergonzoni superlativo, al top delle sue capacità, pieno di una ghignosità giocosa, ma anche di quel cinismo fiero e cialtrone tipico di ogni direttore di circo. Una scelta stranamente giusta in un cast caratterizzato dalle scelte errate.
Mi rendo conto di essere piuttosto spietato, drastico quasi, e di arrivare anche fuori tempo massimo con un giudizio che altri hanno dato anche più approfonditamente. Ma questo film, non prende, non arriva, non affonda il colpo. Ma soprattutto manca di profondità. Questo è quello che stupisce i più.
Al tempo di La vita è bella dissi che, uscito dal cinema, mi ero sentito offeso in nome degli ebrei e delle loro famiglie. Forse ero stato un po' severo, ma quel gioco fine a se stesso, privo di un colpo allo stomaco di chi deve far capire che quella era una tragedia inimmaginabile, non assorbibile, con la quale non si riesce a fare i conti tutt'oggi, meritava un rispetto maggiore.
Oggi, davanti a questo Pinocchio urlante, sbraitante, che salta come una molla, davanti a questa esplosione di narcisismo attoriale, io alzo le braccia. Mi arrendo. Mi arrendo al potere dei soldi, al potere delle illusioni, e anche all'uniformazione dei gusti che ha impedito a qualcuno di dire a Benigni, durante le riprese, che quello che stava facendo era inguardabile, di cattivo gusto, noioso, blaterante. Che è meglio, molto meglio, vedere un bambino vero, e che lui era fuori parte, oltre nettamente fuori strada.
Al cinema, avrei voluto urlare: "Aridatece la Lollo!". Lo faccio ora, schiacciato dal peso di quei 45 milioni di euro spesi per questo fritto misto di banalità e di sciocchezze.
Potete perderlo, ma non se avete dei bambini. Loro, forse, spero, si divertiranno.

Voto 4

Luca Dresda

 


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