la
Bacheca Virtuale
di Silvano
Calzini
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Quando leggere è un piacere e una autentica passione
Milano,
18 Maggio 2007
L’Amarcord di Meneghello
Non è un romanzo vero e proprio e neanche un saggio nel senso tradizionale. Un’opera difficile da classificare, scritta in una lingua che passa continuamente dal dialetto a un italiano purissimo, con qualche inserimento di inglese, il tutto sempre sul filo dell’ironia. Sto parlando di “Libera nos a Malo” di Luigi Meneghello. Un libro che attraverso la ricostruzione del microcosmo di Malo, il piccolo paese in provincia di Vicenza in cui l’autore è nato e cresciuto, trasmette la vicenda di tutta la società italiana, nel periodo in cui passa da una statica e secolare civiltà contadina alla modernità. Un “amarcord” in stile felliniano, intriso di malinconia, ma senza mai cadere nel patetico e nello sdolcinato e che anzi spesso ci fa sorridere.
In sintesi è la ricostruzione della vita a Malo a partire dagli anni Venti e Trenta, quelli in cui Meneghello è cresciuto e si è formato per arrivare fino agli anni Cinquanta. Ci sono i giochi dei bambini e le condizioni di vita semplice e spartane di allora, una serie infinita di personaggi ed episodi, con i riti della provincia e tutte quelle piccole grandi cose che scandivano l’esistenza in quell’Italia che oggi ci sembra lontanissima, ma in cui affondano le nostre radici.
Nessun aspetto della vita di Malo viene tralasciato: vizi e virtù, costumi sessuali, usi religiosi, rapporti col lavoro e con le donne, legami d’amicizia. Un libro pubblicato nel 1963 e concepito a distanza, perché Luigi Meneghello nel dopoguerra si era trasferito in Inghilterra dove ha trascorso più di cinquantanni insegnando letteratura italiana all’università. L’impressione è che sia stato spinto a scriverlo non tanto dalla nostalgia quanto dalla volontà di non volere perdere quella sorta di imprinting originale che tutti abbiamo e che, anche se inconsapevoli, ci portiamo dentro per sempre.
Confesso che mi sono avvicinato al libro con un certo sospetto. In genere diffido delle tante ricostruzioni del buon tempo antico con l’esaltazione sdolcinata della vita semplice di una volta, dove tutto era bello e la vita scorreva serena e felice. Sono fasulle e mi fanno sempre venire in mente quei professionisti di successo che, stanchi della vita nella metropoli, se ne vanno in campagna a coltivare l’orto e si mettono a sproloquiare sul “piccolo è bello” e ad esaltare la “sana vita della campagna”.
Meneghello per fortuna è di un’altra razza. A mano a mano che leggevo le pagine del suo libro mi veniva in mente Bruegel, il pittore fiammingo del Cinquecento che nei suoi quadri amava raffigurare tutte le manifestazioni della vita e gli uomini così come sono nella realtà, con le loro fatiche quotidiane, le gioie e i dolori. Credo che il lungo soggiorno in Inghilterra lo abbia aiutato; la distanza – cronologica e spaziale – ha dato i suoi frutti e ha permesso a Meneghello di guardare al suo mondo senza idealizzarlo, ma con il giusto distacco e con quell’umorismo che permette anche di cogliere gli aspetti grotteschi del tempo che fu.
La memoria, individuale e collettiva, è importante, ma è materia delicata e va usata con giudizio. Bisogna essere capaci di tenere a bada la nostalgia. Muoversi sul filo dei ricordi è come camminare sul filo, serve una grande capacità di equilibrio per non precipitare nella melassa e nella cialtroneria. In questo senso Luigi Meneghello ci lascia una lezione non da poco con il suo “Libera nos a Malo”: la lezione di un maestro.
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