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Quando leggere è un piacere
e una autentica passione
    
Milano, 16 Aprile 2007

Borgese
e il fantasma
del suo romanzo
  

   Nella letteratura italiana del Novecento si aggira il fantasma di un grande romanzo per lo più misconosciuto. Accolto male dalla critica fin dall'inizio, ogni tanto qualcuno lo riprende e ne tesse le lodi, uno per tutti Leonardo Sciascia, ma ben presto il libro in questione torna nell'ombra, quasi fosse condannato all'oblio da un destino maligno. C'è chi lo ha accusato di essere il ritratto di un eroe dannunziano senza avere capito niente, qualche altro cultore del bello ha storto il naso per una scrittura a suo dire troppo mentale e psicologica. E pensare che la narrativa italiana non abbonda di grandi libri. Per fortuna quando venne tradotto in Francia l'accoglienza fu ben diversa, tanto da essere definito: "Uno dei più grandi romanzi della letteratura italiana o semplicemente della letteratura del nostro secolo".
   Sto parlando di "Rubè", pubblicato nel 1921 e scritto da Giuseppe Antonio Borgese (1882 - 1952). Professore di letteratura tedesca, critico letterario, giornalista, Borgese fu un esempio raro di intellettuale. Estraneo al provincialismo e alle chiusure della cultura italiana del tempo, seppe dimostrare tutto il suo valore di uomo quando fu tra i pochissimi docenti universitari a rifiutare il giuramento di fedeltà al fascismo e preferì andare in esilio negli Stati Uniti, per tornare solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale.<br>  In estrema sintesi "Rubè" è la storia di un piccolo borghese siciliano, Filippo Rubè, predestinato alla carriera politica, ma che invece, travolto dalle vicende della storia e vittima delle proprie inquietudini personali, è destinato a una fine tragica. Un romanzo che è allo stesso tempo ritratto di un uomo e di una nazione perché tutta la vicenda personale di Rubè è strettamente correlata agli avvenimenti storici che caratterizzarono quegli anni in Italia: l'interventismo, la Prima guerra mondiale, il tormentato dopoguerra con la nascita del fascismo e gli echi della trionfante rivoluzione bolscevica. Giustamente è stato detto che "Rubè" è prima di tutto un romanzo psicologico che però porta e sviluppa dentro di sé un romanzo politico.
   Filippo Rubè, il protagonista, è una personalità complessa, piena di contraddizioni e complicazioni, sempre intento a scrutarsi e a tormentarsi. Insoddisfatto della propria condizione di giovane avvocato con aspirazioni politiche, corre volontario in guerra, dove spera di purificarsi. È un acceso interventista ma ben presto scopre di avere paura delle bombe. Quando viene ferito in modo casuale passa per eroe, ma dentro di sé invece è consapevole di essere un vile. Nel dopoguerra si trasferisce a Milano per darsi agli affari, ma anche in questo caso fallisce miseramente. Si sposa, ma è incapace di amare la moglie; si fa un'amante, ma anche con lei finisce in tragedia. Continuamente portato ad analizzare se stesso, incapace di sentimenti veri, tormentato dai dubbi, Filippo Rubè entra a pieno titolo tra i grandi "inetti" della letteratura. Come i protagonisti dei libri di Svevo, Tozzi e Pirandello, è estraneo alla vita e soffre di quello che verrà chiamato "il male di vivere".
   Tutta la parte finale del romanzo è una corsa disperata di Rubè su e giù per l'Italia, dal lago Maggiore alla Sicilia, per poi risalire fino a Bologna, senza sapere più bene chi è e cosa vuole fare. In balia delle proprie nevrosi e di un destino che sembra prendersi gioco di lui fino alla fine, quando si diverte a fargli mancare l'ultimo appuntamento con la moglie e a farlo finire in un corteo di dimostranti. A quel punto arriva la fine, tragica e del tutto casuale, emblematica di un'esistenza priva di senso. "Rubè" dimostra che Borgese aveva capito che era finito il tempo degli eroi, delle fedi, delle ideologie, e da quelle pagine emerge una visione lucida e spietata, dura da accettare. Dunque siamo di fronte a un romanzo magnifico e attualissimo, che rappresenta al meglio la crisi dell'uomo moderno, quella che sarà il fil rouge di tutta la grande letteratura del Novecento.

Silvano Calzini
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