Robert Walser: l'uomo che
voleva diventare uno zero assoluto
In un mondo come quello di oggi dominato dal presenzialismo a tutti i costi, dalla facile indignazione e dalla protesta a
buon mercato, leggere e conoscere lo scrittore svizzero Robert Walser vuol
dire disintossicarsi dalla stupidità dilagante per entrare in regioni dello
spirito dove soffia un vento forse gelido, ma tonificante e salutare, che ci
può aiutare a conservare un minimo di dignità.
Sto parlando di uno scrittore unico e di una
personalità originalissima, non classificabile in nessun gruppo, in nessuna
categoria o comunità. Un isolato cultore della riservatezza e della povertà
che non ha mai alzato la voce o protestato; un uomo che ha fatto
dell'assenza la sua religione e che si è nascosto nelle pieghe della vita
per salvarsi l'anima. In apparenza Walser è stato uno sconfitto dalla vita,
ma se si impara a conoscerlo un po' si capisce che quest'uomo mite e inerme
ha combattuto una lotta titanica e probabilmente è uno dei pochi esseri
umani che è riuscito a non farsi inghiottire da quell'ingranaggio infernale
che ci stritola tutti, giono per giorno, ora per ora. I protagonisti dei suoi romanzi e delle sue
prose brevi sono sempre dei servitori o dei perdigiorno che conducono
un'esistenza insignificante, costretta nei limiti imposti da qualche entità
superiore. Ma è proprio in questa subalternità il segreto. Solo
mimetizzandosi in un ruolo anonimo è possibile salvaguardare il proprio io,
non essere identificati dal potere e non cadere nella macina sociale.
Walser vede con grande lucidità il vuoto e il
non senso della realtà ed è convinto che per preservare un minimo di
identità sia necessario abdicare alla vita. L'unica via di salvezza è nella
sconfitta. Da qui la sua ossessione del "servire". Dipendere da qualcuno o
da qualcosa vuol dire rinunciare alla propria personalità, ma anche essere
esentati dal partecipare all'orrore del mondo. La stessa biografia di Walser è una
testimonianza di questa tecnica di sopravvivenza. Prima si è dato a mille
mestieri: dall'apprendista in banca nella natia Biel al commesso di
libreria, dal copista al domestico; poi ha quasi scelto di entrare in
manicomio. Infatti nel gennaio del 1929, quando Walser ha 50 anni, viene
ricoverato in una clinica per malattie nervose di Berna. Da allora, per 27
anni, vivrà sempre in case di cura, in solitudine e rinunciando anche a
scrivere. L'unico contatto con il mondo esterno saranno le lunghe
passeggiate fatte in compagnia dell'amico Carl Seelig, che ci ha lasciato
una toccante e preziosa testimonianza con il libro "Passeggiate con Robert
Walser" (Adelphi) che consiglio vivamente a chi dovesse prendersi una cotta
per Walser.
Nei lunghi anni di ricovero passava le giornate
nella grande camerata con gli altri malati piegando sacchetti di carta,
osservando scrupolosamente le regole dell'istituto e quando l'amico Seelig
gli propose un trasferimento che migliorasse la sua situazione rifiutò in
modo deciso. Non voleva avere privilegi
né rientrare in contatto con il mondo e si proponeva soltanto di soddisfare
quella che una volta definì come la sua massima aspirazione: "diventare uno
zero assoluto".
La mattina di Natale del 1956 Robert Walser uscì
da solo dall'istituto per una delle solite passeggiate. Qualche ora più
tardi venne ritrovato morto in un pendio coperto di neve. Giaceva disteso
con la testa un po' piegata, la bocca aperta e sul volto aveva
un'espressione che assomigliava a un lieve sorriso.
Silvano Calzini
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