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la Bacheca Virtuale

di Silvano Calzini

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Quando leggere è un piacere e una autentica passione


26 gennaio 2004

Ennio Flaiano: un uomo fuori posto
    

In una vecchia fotografia in bianco e nero degli anni Cinquanta c'è una tavola imbandita intorno alla quale sono seduti vari personaggi, noti e meno noti, del mondo del cinema: gli uomini rigorosamente in smoking e le signore in abito da sera, sono tutti sorridenti e visibilmente soddisfatti di trovarsi lì. C'è solo un signore, con occhiali e baffetti neri, che ha un'espressione seria e un po' corrucciata, l'impressione è che si stia annoiando moltissimo e vorrebbe essere da tutt'altra parte. Quel signore è Ennio Flaiano. Un'immagine che mi è sempre parsa il ritratto più fedele di un uomo colto, sensibile, ironico, malinconico e perennemente fuori posto. Sì, fuori posto nel mondo un po’ cialtrone dei cinematografari, nel mondo serioso ma non serio degli intellettuali italiani fintamente impegnati e più in generale fuori posto nella vita. In un'intervista del 1972 lo stesso Flaiano confermava la sua estraneità al cinema: "Una volta entrati in quel giro è quasi impossibile uscirne. Ma non amavo quell'ambiente, non mi riconoscevo in quel lavoro, ho sempre avuto un senso di colpa, e non perché io presumessi di dover dire grandi cose agli uomini, ma sentivo di tradire la mia natura".

Flaiano oggi è ricordato quasi esclusivamente come uno straordinario creatore di aforismi, trovate e battute. Viene citato spessissimo, a proposito e a sproposito, sembra che tutti lo abbiano conosciuto e frequentato, ma sarebbe più giusto dire che viene usato come una sorta di juke box a cui attingere quando si vuol fare bella figura in società. In questo modo gli si fa un torto gravissimo perché era molto di più di un "battutista" o di uno scrittore spiritoso. Anche da vivo ha avuto la sorte di vedere misconosciuto il suo lavoro di sceneggiatore e ne soffriva. Dubito che senza il suo apporto sarebbero nati tanti capolavori del cinema italiano, dalla Dolce vita in giù.

E poi soprattutto ci si dimentica che Flaiano è stato un grande narratore, anche se ha scritto un solo romanzo e il resto della sua produzione letteraria è costituito da raccolte di brevi racconti, osservazioni, articoli, pagine di diario, in buona parte pubblicate postume.

Nel 1947 scrisse Tempo di uccidere, il suo primo e ultimo romanzo, ambientato in Etiopia durante gli anni dell’occupazione italiana, ma lo sfondo dell’Africa, la guerra, il fascismo sono solo dei pretesti. Il vero tema centrale del libro è la ricerca individuale, quel viaggio dentro se stessi per capire chi siamo veramente e che inevitabilmente ci allontana dagli altri e ci spinge verso la solitudine. Il protagonista alla fine del romanzo resta solo con il suo senso di colpa per il delitto che ha commesso e una battuta nelle ultime pagine del libro riassume bene il senso tragico della storia: "Il prossimo è troppo occupato coi propri delitti per accorgersi dei nostri".

Il romanzo vinse il Premio Strega del 1947, ma anche in quell'occasione che avrebbe dovuto essere felice Flaiano si rese conto di essere uno spirito senza patria. Non per niente era solito dire: "Io scrivo per non essere incluso". Anni dopo ricordò che la sera della premiazione se ne tornò a casa da solo convinto che il premio fosse frutto di un equivoco e che in realtà del suo libro non avessero capito niente. Anche in quella notte d'estate Flaiano si sentiva un uomo fuori posto mentre camminava per le strade di una Roma deserta con un'aria malinconica e la "sensazione che ogni successo, in fondo, è un malinteso".

Silvano Calzini

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