Ennio Flaiano: un uomo fuori posto
In una vecchia fotografia in bianco e nero
degli anni Cinquanta c'è una tavola imbandita intorno alla quale sono seduti
vari personaggi, noti e meno noti, del mondo del cinema: gli uomini
rigorosamente in smoking e le signore in abito da sera, sono tutti sorridenti
e visibilmente soddisfatti di trovarsi lì. C'è solo un signore, con occhiali e baffetti neri, che ha un'espressione seria e un po' corrucciata,
l'impressione è che si stia annoiando moltissimo e vorrebbe essere da tutt'altra
parte. Quel signore è Ennio Flaiano. Un'immagine che mi è sempre parsa il
ritratto più fedele di un uomo colto, sensibile, ironico, malinconico e
perennemente fuori posto. Sì, fuori posto nel mondo un po’ cialtrone dei
cinematografari, nel mondo serioso ma non serio degli intellettuali italiani
fintamente impegnati e più in generale fuori posto nella vita. In
un'intervista del 1972 lo stesso Flaiano confermava la sua estraneità al
cinema: "Una volta entrati in quel giro è quasi impossibile uscirne. Ma non
amavo quell'ambiente, non mi riconoscevo in quel lavoro, ho sempre avuto un
senso di colpa, e non perché io presumessi di dover dire grandi cose agli
uomini, ma sentivo di tradire la mia natura".
Flaiano oggi è ricordato quasi
esclusivamente come uno straordinario creatore di aforismi, trovate e battute.
Viene citato spessissimo, a proposito e a sproposito, sembra che tutti lo
abbiano conosciuto e frequentato, ma sarebbe più giusto dire che viene usato
come una sorta di juke box a cui attingere quando si vuol fare bella figura in
società. In questo modo gli si fa un torto gravissimo perché era molto di più di un "battutista" o di uno scrittore spiritoso. Anche da vivo ha avuto la sorte di vedere misconosciuto il suo lavoro di sceneggiatore e ne soffriva.
Dubito che senza il suo apporto sarebbero nati tanti capolavori del cinema
italiano, dalla Dolce vita in giù.
E poi soprattutto ci si dimentica che
Flaiano è stato un grande narratore, anche se ha scritto un solo romanzo e il
resto della sua produzione letteraria è costituito da raccolte di brevi
racconti, osservazioni, articoli, pagine di diario, in buona parte pubblicate
postume.
Nel 1947 scrisse Tempo di uccidere, il suo primo e ultimo romanzo, ambientato in Etiopia durante gli anni
dell’occupazione italiana, ma lo sfondo dell’Africa, la guerra, il fascismo
sono solo dei pretesti. Il vero tema centrale del libro è la ricerca
individuale, quel viaggio dentro se stessi per capire chi siamo veramente e
che inevitabilmente ci allontana dagli altri e ci spinge verso la solitudine.
Il protagonista alla fine del romanzo resta solo con il suo senso di colpa per
il delitto che ha commesso e una battuta nelle ultime pagine del libro
riassume bene il senso tragico della storia: "Il prossimo è troppo occupato
coi propri delitti per accorgersi dei nostri".
Il romanzo vinse il Premio Strega del 1947,
ma anche in quell'occasione che avrebbe dovuto essere felice Flaiano si rese
conto di essere uno spirito senza patria. Non per niente era solito dire: "Io
scrivo per non essere incluso". Anni dopo ricordò che la sera della
premiazione se ne tornò a casa da solo convinto che il premio fosse frutto di
un equivoco e che in realtà del suo libro non avessero capito niente. Anche in
quella notte d'estate Flaiano si sentiva un uomo fuori posto mentre camminava
per le strade di una Roma deserta con un'aria malinconica e la "sensazione che
ogni successo, in fondo, è un malinteso".
Silvano Calzini
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