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la Bacheca Virtuale

di Silvano Calzini

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Quando leggere è un piacere e una autentica passione


 


  Russi Primo Amore

Non ricordo con precisione il giorno e il mese, ma erano i primi anni Settanta, facevo la V ginnasio e mentre leggevo le prime pagine dell'<em>Idiota</em> di Dostoevskij mi fermai, sollevai la testa e in un istante ebbi la precisa sensazione di essere entrato in un mondo incantato e nuovo per me. Fu come aprire una porta chiusa e trovarsi davanti a una distesa sconfinata dove potevo inoltrarmi e cogliere piaceri e ricchezze a volontà. Un momento magico e irripetibile, uno di quelli che segnano per sempre la vita di una persona, forse paragonabile solo alla scoperta del sesso.

Con l'entusiasmo e la frenesia dei quindici anni mi tuffai nella lettura dei grandi classici russi a cominciare da Dostoevskij, che mi sono sempre immaginato un po' invasato e con lo sguardo febbricitante chino sul tavolo che scrive pagine straordinarie, quasi sotto l'effetto di un attacco della sua epilessia. Sempre in fuga da una città all'altra, inseguito dai creditori e dai suoi incubi. E subito dopo il gigante Tolstoj, la personificazione della Russia, possente, sterminato. In <em>Guerra e pace</em> c'è veramente tutto: la gioia, il dolore, l'amore, la vita e la morte. Che cotte mi sono preso per le protagoniste dei suoi libri; prima Natasha, così giovane e fresca, poi Anna Karenina più matura, più donna, più femmina. Dai grandi romanzi ai racconti, come quell'autentico gioiello che è <em>La morte di Ivan I'lic</em>; non credo che esista una rappresentazione migliore del progredire della malattia e di come finisce una vita.<p align="justify"> In quegli anni mangiavo letteralmente pane e Russia e la prima cosa che ho fatto all'università è stata quella di iscrivermi al corso di russo. Una volta sostenuti gli esami stoltamente non andai avanti, ma mi è rimasto nelle orecchie e nel cuore il suono di una lingua dolcissima e affascinante.

Ricordo un'estate passata in compagnia di Cechov, che nei suoi racconti non ha bisogno di eroi o di fatti eclatanti per mostrare tutta l'incomunicabilità che c'è tra gli esseri umani, l'orrore della vita quotidiana e il non senso della vita. Straordinario.

Quando sento dire da qualche anima bella che gli scrittori russi sono noiosi, tristi e troppo lunghi lascio perdere e dentro di me penso all'ironia e alla modernità di Gogol, un autentico prodigio di immaginazione, capace di costruire un racconto su un naso che se ne va a spasso per le vie di Pietroburgo in uniforme di alto ufficiale.

Quante volte al momento di alzarmi al mattino mi è venuto in mente Oblomov, il protagonista del romanzo di Goncarov, che se ne restava pigramente a letto e rinunciava a correre da una parte all'altra per degli impegni quasi sempre inutili e a incontrare delle persone quasi sempre noiose. Lui sì che era un saggio!

Con il passare degli anni l'amore per i grandi russi della letteratura non è mai venuto meno, anzi per me sono diventati un punto fermo, un'ancora a cui aggrapparmi nei momenti difficili della vita. So che loro non mi deluderanno mai. Ogni volta che li riprendo in mano è una nuova scoperta; il furore giovanile ha ceduto il passo a un piacere più meditato, a un'assimilazione più profonda. Quell'istante magico di trenta anni fa ha piantato le radici, è cresciuto insieme a me ed è chiuso nello scrigno delle cose che mi sono più care, quelle a cui non rinuncerei mai. Un vecchio detto russo dice bene: "La Russia è grande, fratello".  

Silvano Calzini

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