Russi Primo Amore
Non ricordo con precisione il giorno e il
mese, ma erano i primi anni Settanta, facevo la V ginnasio e mentre leggevo le
prime pagine dell'<em>Idiota</em>
di Dostoevskij mi fermai, sollevai la testa e in un istante ebbi la precisa
sensazione di essere entrato in un mondo incantato e nuovo per me. Fu come
aprire una porta chiusa e trovarsi davanti a una distesa sconfinata dove
potevo inoltrarmi e cogliere piaceri e ricchezze a volontà. Un momento
magico e irripetibile, uno di quelli che segnano per sempre la vita di una
persona, forse paragonabile solo alla scoperta del sesso.
Con l'entusiasmo e la frenesia dei quindici anni mi tuffai nella lettura dei
grandi classici russi a cominciare da Dostoevskij, che mi sono sempre
immaginato un po' invasato e con lo sguardo febbricitante chino sul tavolo
che scrive pagine straordinarie, quasi sotto l'effetto di un attacco della
sua epilessia. Sempre in fuga da una città all'altra, inseguito dai
creditori e dai suoi incubi. E subito dopo il gigante Tolstoj, la
personificazione della Russia, possente, sterminato. In <em>Guerra e pace</em>
c'è veramente tutto: la gioia, il dolore, l'amore, la vita e la morte. Che
cotte mi sono preso per le protagoniste dei suoi libri; prima Natasha, così
giovane e fresca, poi Anna Karenina più matura, più donna, più femmina. Dai
grandi romanzi ai racconti, come quell'autentico gioiello che è <em>La morte
di Ivan I'lic</em>; non credo che esista una rappresentazione migliore del
progredire della malattia e di come finisce una vita.<p align="justify">
In quegli anni mangiavo letteralmente pane e Russia e la prima cosa che ho
fatto all'università è stata quella di iscrivermi al corso di russo. Una
volta sostenuti gli esami stoltamente non andai avanti, ma mi è
rimasto nelle orecchie e nel cuore il suono di una lingua dolcissima e
affascinante.
Ricordo un'estate passata in compagnia di Cechov, che nei suoi racconti non
ha bisogno di eroi o di fatti eclatanti per mostrare tutta
l'incomunicabilità che c'è tra gli esseri umani, l'orrore della vita
quotidiana e il non senso della vita. Straordinario.
Quando sento dire da qualche anima bella che gli scrittori russi sono
noiosi, tristi e troppo lunghi lascio perdere e dentro di me penso
all'ironia e alla modernità di Gogol, un autentico prodigio di
immaginazione, capace di costruire un racconto su un naso che se ne va a
spasso per le vie di Pietroburgo in uniforme di alto ufficiale.
Quante volte al momento di alzarmi al mattino mi è venuto in mente Oblomov,
il protagonista del romanzo di Goncarov, che se ne restava pigramente a
letto e rinunciava a correre da una parte all'altra per degli impegni quasi
sempre inutili e a incontrare delle persone quasi sempre noiose. Lui sì che era un saggio!
Con il passare degli anni l'amore per i grandi russi della letteratura non è
mai venuto meno, anzi per me sono diventati un punto fermo, un'ancora a cui
aggrapparmi nei momenti difficili della vita. So che loro non mi
deluderanno mai. Ogni volta che li riprendo in mano è una nuova scoperta; il furore giovanile ha ceduto il passo a un piacere più meditato, a
un'assimilazione più profonda. Quell'istante magico di trenta anni fa ha
piantato le radici, è cresciuto insieme a me ed è chiuso nello scrigno delle cose che mi sono più care, quelle a cui non rinuncerei mai. Un vecchio detto russo dice bene: "La Russia è grande, fratello".
Silvano Calzini
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