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Quando leggere è un piacere
e una autentica passione
    
Milano, 12 settembre 2006

  William Demby: un americano a Roma

  N
ato a Pittsburgh nel 1922, Wiliam Demby arriva in Italia con la divisa dell'esercito americano durante la Seconda guerra mondiale. È nero, appassionato di jazz, si interessa di pittura, e si innamora dell'Italia e di Roma. Intanto si congeda dall'esercito, torna negli Stati Uniti e si laurea. Ma nel 1947 decide di tornare nel nostro Paese portandosi dietro solo qualche vestito e il suo clarinetto. Ha 75 dollari in tasca e una vaga idea di studiare storia dell'arte. Tra una passeggiata e l'altra con i suoi amici pittori tra i colori e i quartieri di Roma si mette a scrivere un romanzo, "Festa a Beetlecreek", che verrà pubblicato nel 1950 dalla Mondadori nella collana della Medusa, tradotto da Fernanda Pivano. Introvabile oggi nelle librerie, consiglio a tutti di andare a cercarlo sulle bancarelle di uno dei mercatini del libro usato che ci sono in molte città. Ne vale la pena.
  è la storia di un bianco che vive nel quartiere nero di Beetlecreek, un paesotto del West Virginia, e di un ragazzo nero. La storia di due anime solitarie alla disperata ricerca di un rapporto umano che dia un significato alla loro vita, del loro tentativo di amicizia che inevitabilmente si scontra con le barriere mentali e i codici sociali di una piccola comunità e che è destinato a finire in modo tragico.
Un libro molto bello che al momento della sua uscita venne definito "Un atto d'accusa contro il provincialismo e il fondamentalismo" e che impose Demby come una voce nuova e diversa nel mondo della letteratura afro-americana. Forse anche troppo diversa perché, più che alla polemica sociale e razziale, Demby è interessato all'aspetto esistenziale e psicologico, rifuggendo per sua stessa ammissione da ogni forma di provincialismo etnico. Per Demby non esiste uno specifico problema dei neri, ma la necessità di rompere con le diffidenze, gli odi e le paure da una parte e dall'altra: nella sua visione il problema razziale è una questione prima spirituale e poi materiale. In un'intervista ha dichiarato: "Ho sempre pensato che uno scrittore nero avesse lo stesso tipo di mentalità di qualunque altro scrittore di qualsiasi epoca. E che può creare qualunque mondo voglia immaginare".
  Gran bel personaggio questo William Demby. Ha vissuto a Roma per moltissimi anni, lavorando come sceneggiatore e traduttore in inglese dei film dei maggiori registi italiani, Antonioni, Visconti, Fellini, e tra l'altro collaborando come aiuto-regista con Rossellini alla realizzazione di "Europa 51". Si è sposato con la scrittrice italiana Lucia Drudi e ha avuto un figlio, apprezzato musicista. Nel 1969 è tornato negli Stati Uniti per insegnare all'Università di New York fino al 1989, e poi ha continuato a dividersi tra l'America e l'Italia, dove ha creato un'associazione culturale per ricordare la moglie scomparsa qualche anno fa.
Probabilmente proprio questa sorta di doppia identità culturale, americana e italiana, insieme alla sua visione del tutto personale della questione razziale, ha fatto sì che la figura di Demby rimanesse un po' isolata e ai margini nel panorama della letteratura americana.
   Demby ha pubblicato altri romanzi, ma "Festa a Beetlecreek" rimane il più conosciuto e apprezzato. Forse perché come ha detto lui stesso qualche anno fa: "è un libro sull'assenza di simmetria nei rapporti umani, sull'imperfezione della giustizia, sulla tragica inesorabilità della disumanità dell'uomo verso l'uomo". E questi sono temi attuali oggi come ieri e che fanno di un libro un grande libro.

Silvano Calzini
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