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la Bacheca Virtuale

di Silvano Calzini

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Quando leggere è un piacere e una autentica passione


30 aprile 2004

L'urlo di Mastronardi

Cominciate a leggere "Il maestro di Vigevano" e dopo le prime pagine comincerà a baluginare tra le righe un’immagine prima sfocata poi, a mano a mano che vi inoltrate nel romanzo, sempre più nitida, fino a quando riconoscerete con chiarezza "L’urlo", il famoso quadro di Edvard Munch. Una volta arrivati alla fine non ci saranno più dubbi il libro di Lucio Mastronardi è la versione scritta di quel dipinto e il male di vivere del maestro Mombelli è lo stesso dolore esistenziale che ha portato l’uomo di Munch a urlare al mondo tutta la sua disperazione.
Quando nel 1962 il romanzo uscì più di un vigevanese si adontò per l’impietoso quadro che l’autore aveva tracciato della gente locale, intenta solo a fabbricare scarpe tra fabbriche e fabbrichette, con l’unico scopo di fare più soldi possibile. E ancora peggio la presero quelli del mondo della scuola, i colleghi e i superiori di Mastronardi, che se la legarono al dito per sempre.
La trama del libro è nota, anche grazie al film di Elio Petri con Alberto Sordi. Verso la fine degli anni Cinquanta il protagonista, un modesto insegnante elementare umiliato e malpagato, si arrende alle insistenze della moglie che gli rinfaccia quotidianamente le ristrettezze in cui vivono e, sebbene a malincuore, lascia la scuola e si mette a fabbricare scarpe. Ma l’avventura in un mondo a lui estraneo finisce male per cui al nostro eroe non resta che supplicare il direttore didattico per ritornare all’insegnamento.
Mastronardi era uno scrittore pieno di umori e guizzi, così il romanzo è pieno di trovate e invenzioni e i vari personaggi vengono fuori con tutti i loro tic, limiti e miserie. Valga per tutti la figura del direttore della scuola dipinto come un insopportabile burocrate, compiaciuto del proprio potere che si diverte a umiliare i sottoposti con futili disquisizioni lessicali; uno di quei tromboni che ognuno di noi ha avuto l’occasione di incrociare nella vita. Con la satira della provincia italiana negli anni della corsa al benessere Mastronardi paventava già allora un rischio più grande che oggi noi vediamo diventato realtà, la tendenza a perseguire il futile, il voluttuario, anziché l’essenziale e la nascita di un’inconciliabile strappo tra la smania di avere e la dignità dell’essere. Ma c’è di più.
La figura dell’umile maestro di scuola che pretende di vivere in rigorosa ma onesta povertà ed è impegnato in un’azione di folle resistenza contro un ambiente che finisce per stritolarlo diventa simbolo di una condizione umana ed ecco allora che si trasfigura nel piccolo uomo di Munch, solo e disperato, a cui non resta che lanciare un urlo straziante. E Lucio Mastronardi quello strazio lo visse anche personalmente era un uomo sensibile, spigoloso, dalla personalità complessa, per molti versi simile a Luciano Bianciardi, un altro scrittore contro tutto e contro tutti. Con un’infanzia tribolata alle spalle, Mastronardi, figlio di una maestra, fu maestro egli stesso anche se non amava insegnare, in perenne conflitto con il mondo della scuola; fragile di nervi e vulnerabile non aveva l’animo per reggere il difficile rapporto con la piccola Vigevano indispettita dai suoi romanzi e con un mondo in cui faticava a trovare il suo posto.
In una piovosa giornata di primavera del 1979 fu visto incamminarsi solo, chino sotto la pioggia, verso il ponte del Ticino, una scena che richiama molto da vicino quella dipinta da Munch ne "L’urlo" con quella strana luce e quell’uomo solo sopra un ponte. Mastronardi verrà trovato due giorni dopo, impigliato in un’ansa del fiume, annegato. Non aveva ancora 49 anni e nessuno sa se all’ultimo momento anche lui abbia lanciato un urlo.

Silvano Calzini

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