LEGGI i SeBook LEGGI
i SimonellielectronicBook
L'Economica On Line

L'Istrice | Internet&CoNewsDigest | eBookNewsDigest | Il Catalogo
Dialettando.com | Diario del '900 | The Web Park Speaker's Corner
Simonelli Editore Bookstore | i SeBook | Scarica il Catalogo |Home Page

 

la Bacheca Virtuale

di Silvano Calzini

n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12
Clicca sul numero in rosso per leggere le altre puntate


Quando leggere è un piacere e una autentica passione


13 aprile 2004

THACKERAY: UN VITTORIANO FUORI DAL CORO

“Un uomo enorme, fiero, piangente, affamato, non un uomo forte.” Così viene descritto Thackeray, ed è un ritratto che fissa bene i tratti fisici e psicologici dell’uomo e dello scrittore. William Makepeace Thackeray nacque nel 1811 a Calcutta da una famiglia inglese trasferitasi in India al servizio di Sua Maestà e dell’Impero britannico. Il padre morì quando William aveva solo 4 anni e due anni dopo il piccolo venne mandato in Inghilterra a compiere la sua istruzione, mentre la madre restò a Calcutta. Questa triplice separazione – dal padre, dal Paese e dalla madre – segnerà per sempre la personalità di Thackeray e lo porterà a cercare inutilmente per tutta la vita un punto fermo. Non lo trovò negli studi, abbandonati a 19 anni dopo avere peregrinato da un istituto all’altro raccogliendo frustate e umiliazioni; non lo trovò in un Paese, vivendo in Inghilterra, in Francia, in Germania con puntate in Irlanda, Stati Uniti, Italia e in altre zone del Mediterraneo; non lo trovò nel gioco, in cui dilapidò la rendita ereditata dal padre; non lo trovò nella vita privata, sposando una giovane irlandese che gli diede tre figlie e che subito dopo sprofondò nel vortice della follia e venne ricoverata per sempre in manicomio.
Goffo, insicuro, complessato, facile a passare dall’euforia alla depressione, solo nella scrittura Thackeray riusciva a sottrarsi da quella sensazione di esclusione, di uomo eternamente in bilico tra il rispetto delle norme sociali e il loro rifiuto. Con la penna in mano improvvisamente volteggiava leggero, sempre sorretto da un’ironia penetrante attraverso la quale faceva a fette la società che lo circondava. Negli anni della grande stagione del romanzo vittoriano Thackeray fu una figura a parte, in posizione del tutto singolare rispetto agli altri romanzieri dell’epoca. Non a caso pensò addirittura di scrivere una parodia di Dickens (di cui soffrì sempre il complesso), ma fu sconsigliato dato il carattere ormai sacrale del suo rivale.
Dopo lunghi anni di tentativi il momento dell’ingresso nei ranghi della letteratura ufficiale dalla porta principale fu la pubblicazione de «La fiera delle vanità», il romanzo uscito tra il 1847 e il 1848 che gli procurò fama e riconoscimenti. Il suo essere per molti versi fuori dal coro insieme ai consensi gli fece però piovere addosso anche dure critiche.«Le memorie di Barry Lyndon», l’altro suo grande romanzo, venne giudicato da molti un’opera gravemente immorale perché le mirabolanti avventure del protagonista non venivano presentate come la confessione di un malvagio e di un criminale ma come la biografia di un uomo che si crede onesto, anzi un benemerito della società. Lo stesso Thackeray espose chiaramente la sua visione disincantata quando commentò la vita di Barry Lyndon dicendo:“Se la storia della sua vita ha una qualche morale - cosa di cui dubito - questa è che l’onestà non è la miglior politica”. Una filosofia troppo cruda e realista per quei tempi, lontana mille miglia da ogni moralismo consolatorio e che è possibile ritrovare anche nella Fiera della vanità, in cui viene confermato un totale scollamento nella vita tra “meriti” e “successo”. Dai suoi libri emerge l’idea di una immoralità seducente e non priva di aspetti positivi, con quei protagonisti - la straordinaria Becky Sharp in primis - che hanno tutte le qualità per affascinare il pubblico e nello stesso tempo sfidare la morale convenzionale: il coraggio, la bellezza, la spregiudicatezza e una collocazione morale a dir poco ambigua. E poi quell’ironia, quel tono apparentemente leggero nel trattare problemi seri, che è uno dei maggiori pregi di Thackeray, non andava proprio giù a molti suoi contemporanei.
Il paesaggio umano che Thackeray ci mette davanti agli occhi non è certo consolante; i suoi personaggi alla fine sono tutti negativi in quanto prodotti di in un mondo degradato a mercato, ma alla base della sua visione non c’è un cinismo compiaciuto, quanto piuttosto realismo, rifiuto dell’ipocrisia e soprattutto un grande senso di delusione e di scontentezza, vero fil rouge della sua vita di uomo e di scrittore, il tutto sempre mascherato dall’ironia. La società non è altro che una “fiera” e i personaggi sono solo “marionette” come suggerisce lo stesso autore nella splendida conclusione della Fiera della vanità: “Ah, Vanitas Vanitatum! Chi di noi è felice, in questo mondo? Chi riesce a soddisfare le sue aspirazioni? E chi se ne sente pago, quand’anche vi riesca? Suvvia venite, bambini, riponiamo il teatrino e le marionette. La commedia è finita”.

Silvano Calzini

Qualche altro lettore vuole inserire
in questa Bacheca Virtuale l'elenco personale
delle sue letture preferite, delle sue "cotte" letterarie?
Le sue riflessioni e "provocazioni" sugli autori più amati?
O, semplicemente, gli itinerari più originali e personali
per entrare nel mondo di un autore?
È il benvenuto. Invii il suo testo a ed@simonel.com


Ti piacciono queste pagine? Vuoi sostenere questo spazio on line tutto e sempre dalla parte della cultura? Puoi farlo acquistando contrassegno i libri Simonelli Editore (basta una e-mail) oppure, direttamente on line, i SeBook, i SimonellielectronicBook, l'Economica On Line.


 

 

 

© Copyright Simonelli Editore
Vietato copiare o linkare senza autorizzazione
You may not reproduce or create a link to this WebPage without our prior permission
.