Stefan Zweig, l’ultimo europeo
“Sono nato in un grande possente impero, nella monarchia degli Absburgo, ma
non si vada a cercarla sulla carta geografica essa è sparita senza traccia.
Sono cresciuto a Vienna, metropoli supernazionale bimillenaria, e l’ho
dovuta lasciare come un delinquente prima che essa venisse degradata a città
provinciale tedesca. Io ora non appartengo ad alcun luogo, sono dovunque uno
straniero e tutt’al più un ospite; anche la vera patria che il mio cuore si
era eletta, l’Europa, è perduta per me da quando per la seconda volta, con
furia suicida, si dilania in una guerra fraterna.”
In queste parole tratte dall’introduzione alla sua biografia, “Il mondo di
ieri”, c’è il ritratto completo della vita e del dramma di Stefan Zweig
(1881 1942). Nato in una famiglia della grande borghesia ebraica di Vienna,
cosmopolita per spirito e formazione, trascorse buona parte della sua vita
viaggiando tra Vienna, Berlino, Zurigo, Parigi, Londra, e poi la Russia,
l’Italia, l’America, sempre in contatto con i maggiori intellettuali
dell’epoca. Autore soprattutto di racconti e biografie, fu uno scrittore
popolarissimo tra le due guerre, ma resta un “minore” rispetto ai tanti
giganti suoi contemporanei, da Mann a Musil, solo per fare due nomi. Con il
passare degli anni la sua fama è sempre più rimasta legata all’immagine
dell’ultimo cantore di un’epoca e di un’Europa ormai scomparse, un mondo
dove ai suoi occhi regnavano l’amore per l’intelligenza e la cultura, il
gusto per la poesia e la musica, un mondo nel quale “ognuno sapeva quanto
possedeva e quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era
proibito in cui tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi”.
L’Europa di Zweig era quella dove non esistevano frontiere e passaporti,
accomunata da una spiritualità comune, che credeva nella funzione storica
della cultura, strumento di comunicazione e di dialogo tra i popoli e tra le
società. L’avvento della modernità, arrogante, volgare, con il culto
dell’efficientismo, e l’esplosione dei nazionalismi che porteranno l’Europa
a “suicidarsi” con le due guerre mondiali, furono qualcosa di sconvolgente e
incomprensibile per Zweig, del tutto incapace di accettare la nuova realtà.
Quella di Zweig era senza dubbio una visione aristocratica, di chi era
cresciuto e si era formato nel privilegio, e la critica ha spesso colto
nella sua nostalgia un sapore dolciastro, un che di troppo caramelloso.
Facile immaginare che un tipo del genere poteva dare sui nervi a uno
scrittore come Carlo Emilio Gadda, che infatti dopo avere letto
l’autobiografia di Zweig diede uno dei suoi giudizi al vetriolo “Un
trufolone europeo che va in cerca di tutti, è amico e ospite di tutti, è
stato a balia con tutti (…) Tutto ciò non gli impedisce di ‘nutrire degli
ideali’. Il più alto, il più generoso, e ad un tempo il più facile, è la
comunione delle anime universe nella civiltà della supernazione. Auspicio
supremo la scomparsa dei passaporti”.
Per restare fedele al suo personaggio Zweig aveva dato alla sua
autobiografia, “Il mondo di ieri”, scritta quando era già in esilio, il
sottotitolo “ricordi di un europeo”. Per capire meglio la sua visione del
mondo, vecchio e nuovo, la cosa migliore resta leggere “La novella degli
scacchi”, forse il suo racconto più famoso, scritto negli ultimi mesi di
vita. Il tema è quello di una sfida tra due personaggi che rappresentano due
opposte umanità uno, sensibile e tormentato, è arrivato agli scacchi
attraverso un percorso drammatico, l’altro, un gelido professionista, arido
e del tutto ignorante, “specializzato” solo nel gioco degli scacchi. Una
sfida che alla fine vede inesorabilmente soccombere il “mondo di ieri”,
rappresentato dall’anima aristocratica e sensibile, di fronte al “mondo
nuovo”, sotto le sembianze di un’intelligenza fredda e selettiva.
Questo racconto può essere considerato il testamento spirituale di Zweig,
che lo scrisse negli ultimi mesi del 1941 a Petropolis, la cittadina vicino
a Rio de Janeiro dove era andato a vivere, lontano, il più lontano possibile
dalla sua Europa che non riconosceva più. Ormai era un uomo stanco, deluso,
che vedeva finire in cenere tutto ciò in cui aveva sempre creduto. Il 23
febbraio 1942 Stefan Zweig si suicidò insieme alla seconda moglie.
Silvano Calzini
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