la
Bacheca Virtuale
di Silvano
Calzini
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Quando leggere è un piacere e una autentica passione
Milano,
13 Gennaio 2007
Il racconto
profetico
di Maupassant
Trecento
racconti, sei romanzi, oltre ad alcuni volumi di viaggio, di versi, di
teatro. Una produzione letteraria a dir poco prodigiosa, durata in tutto
dieci anni. Sto parlando di Guy de Maupassant (1850 – 1893). Non era un
intellettuale sofisticato, non credeva in nessuna corrente letteraria e
accettò di essere inserito nel gruppo dei naturalisti più per amicizia che
per convinzione. Scrivere per lui non era una scelta teorica, ma un bisogno
istintivo, un che di primordiale. A trent'anni, raggiunto il successo,
sembrava una vera forza della natura. Sfornava migliaia di pagine a un ritmo
incredibile, era ricco e famoso, sfogava la sua energia nel canottaggio
lungo la Senna e in incontri femminili di ogni genere, senza andare tanto
per il sottile.
Eppure questa fretta di fare e di dire tutto nascondeva una zona
d'ombra, destinata ad allargarsi sempre di più e che è testimoniata dalle
parole scritte da Maupassant a una nipote proprio nel periodo del suo
massimo fulgore: "In questo momento sento in maniera acuta l'inutilità di
vivere, la sterilità di qualunque sforzo, l'orrida monotonia degli eventi e
delle cose, e l'isolamento morale nel quale tutti viviamo".
Nonostante tutte le apparenze, questa specie di gigante che
sprigionava forza ed energia, che amava le donne e l'allegria, aveva dentro
di sé un essere tormentato, angosciato, ossessionato dalle paure. Una prova,
splendida e disperata nello stesso tempo, di questo aspetto oscuro è il
bellissimo racconto L'Horlà, del 1887.
All'inizio della storia il protagonista ci rende partecipi della
sua felicità in una magnifica mattinata di maggio, ma poi, giorno dopo
giorno, il racconto diventa un implacabile diario della discesa verso la
follia, personificata dal suo Horlà, questo strano essere invisibile che si
insinua nella sua anima fino a possederla del tutto. A un certo punto il
giovane lancia un'occhiata alla specchio e non riesce a vedere il proprio
riflesso. Poi scorge se stesso sullo sfondo dell'immagine, in mezzo a una
nebbia, che a poco a poco si dirada finché il protagonista riesce a vedersi
per intero e, riferendosi a quella sorta di velo, grida: "L'avevo visto!".
Alla fine il protagonista dà fuoco alla propria casa con l'intento di
ammazzare il suo Horlà, ma dimentica di avvisare i servitori che vengono
divorati dalle fiamme insieme all'edificio. Quando si rende conto che il
demone è ancora vivo, il giovane conclude il racconto dicendoci che sarà
costretto a uccidersi.
L'Horlàrientra a pieno titolo nella categoria dei racconti
dell'orrore, ma più giusto sarebbe classificarlo come un racconto profetico,
perché con quelle pagine su un individuo sull'orlo della pazzia l'autore
sapeva di profetizzare la propria follia e il proprio tentato suicidio.
Maupassant soffriva di un'affezione sifilitica del sistema nervoso, che fino
al 1890 restò localizzata, manifestandosi con terribili emicranie, insonnia,
incubi, ma che poi si diffuse nel cervello conducendolo alla pazzia. Nel
gennaio del 1892 Maupassant tentò il suicidio, poi fu condotto a Parigi e
rinchiuso nel manicomio di un famoso medico dell'epoca, dove dopo diciotto
mesi si spense, senza che la sua mente fosse risalita dalle tenebre in cui
era sprofondata.
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